West Virginia

West Virginia
Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

giovedì 23 novembre 2023

“C'è ancora domani”: le mie impressioni!



Non è usuale per me scrivere a proposito di un film visto, perché non ne ho le competenze, ma ho la licenza, come chiunque altro, di descrivere ciò che il contenuto di una pellicola mi suscita, e questo mio piccolo commento mi esce spontaneo e so già che andrò a personalizzare la cosa! Non ho quindi la pretesa di sfornare una recensione ma mi limito a descrivere quanto provato.

Esiste un antefatto che risale a domenica scorsa, quando mi trovavo a Milano per la presentazione di un libro. I miei figli vivono e lavorano nel capoluogo lombardo, e a tavola Elisa ci racconta dell’esperienza appena vissuta, la visione di quello che comunemente è chiamato “il film della Cortellesi”. A tutti i presenti è piaciuto, e ciò mi ha incuriosito, perché in questo periodo tutto mi passa affianco senza che io me ne accorga, e così ho colto al volo la sollecitazione.

Argomento molto caldo che mette in risalto il ruolo della donna nella società, e il racconto a tavola si evolve tendente verso i macro-concetti su cui non si può non essere d’accordo. Mio figlio ammette che alla fine aveva le lacrime agli occhi e… mi fermo qui. Mi convinco, ci convinciamo. Risultato, blocchiamo subito un paio di biglietti per il mercoledì a seguire, ultimo giorno di proiezione savonese.

Ma perché mai dovrei andare a vedere un film dove il mio cuore tenero, ne sono certo, dovrà soffrire?

Sono abbastanza antico, ma ho ricordi indelebili di come funzionassero le famiglie a inizio anni ’60, una quindicina di anni dopo l’ambientazione storica del “film della cortellesi”. Ma non ho voglia di stare male, e so, mentre mi sto avvicinando alla sala cinematografica, che prestissimo dovrò fare i conti con la pellicola che scorrerà davanti ai miei occhi.

A metà strada incontro un amico che non vedevo da tempo e nel suo saluto finale ci scappa un suo: “hai visto il film della Cortellesi?”. Ormai non posso fuggire, tra pochi minuti capirò meglio!

Siccome non provo più alcuna vergogna nel mostrare i miei sentimenti, posso dire tranquillamente che anche a me sono scese le lacrimucce. L’ho fatto nella scena finale, ma mi è capitato anche ascoltando le canzoni di sottofondo, il cui abbinamento tra nuovo e antico mi ha colpito: non avrei mai creduto che funzionasse così bene! Il top del mio dolore interiore è arrivato quando una scena particolarmente toccante è stata colorata da “La sera dei miracoli”, di Lucio Dalla.

E gli altri brani? Eccoli…

Aprite le finestre – Fiorella Bini

Nessuno – MUSICA NUDA di Petra Magoni & Ferruccio Spinetti

Perdoniamoci – Achille Togliani

A bocca chiusa – Daniele Silvestri

M’innamoro davvero – Fabio Concato

La sera dei miracoli – Lucio Dalla

Calvin – The Jon Spencer Blues Explosion

B.O.B. – Bombs Over Baghdad – OUTKAST

The little things – Big Gigantic featuring Angela McCluskey

Swinging on the right side – Lorenzo Maffia e Alessandro La Corte

Tu sei il mio grande amor – Lorenzo Maffia e Alessandro La Corte (Voce Enrico Rispoli)

 

Qualche dato oggettivo, partendo dal titolo su cui sino ad ora ho giocato ma che è ben definito e induce alla speranza: C'è ancora domani”, per un film co-scritto, diretto e interpretato da Paola Cortellesi.

Girato in bianco e nero, riporta ad una Roma del 1946, appena terminata la guerra, ed è sinteticamente la storia di Delia, donna che, nel primissimo dopoguerra, si trova a mantenere - facendo tre lavori, oltre a quelli di casa - una famiglia in cui i due figli maschi seguono l’esempio paterno - un comportamento basato sulla violenza e disprezzo totale per lei - e la figlia femmina, rivedendosi nella madre, la accusa di non saper reagire.

Siamo nel mese di maggio, la città è divisa tra la povertà lasciata dalla Seconda guerra mondiale, le milizie degli Alleati in giro per le strade e la voglia di cambiamento alimentata dal referendum istituzionale e dall'elezione dell'Assemblea Costituente che avverrà nei successivi 2 e 3 giugno (la notazione temporale è funzionale ad un finale che non racconterò).

Non mi soffermo sui particolari della narrazione, e ancor meno sulla conclusione, per non rovinare una possibile futura visione a chi ancora non lo avesse visto, ma… la prendo alla larga.

Col passare dei minuti e lo scorrere delle immagini sono diverse le situazioni famigliari che evidenziano il rapporto moglie/marito, e anche laddove il comportamento è basato su una normale civiltà, il rigido rispetto dei ruoli all’interno della coppia rimane una costante, perché la donna era condannata alla sottomissione, con una quotidianità vissuta sotto gli occhi dei figli, che quando erano femmine apprendevano ciò che la società si aspettava da loro e se erano maschi captavano il presunto senso di superiorità che doveva farli prevalere all’interno della vita matrimoniale.

In questo caso abbiamo una violenza, una vessazione continua e immotivata, se non con la giustificazione dietro alla quale si nasconde Delia/Cortellesi, la protagonista, che, quando qualcuno le fa notare la cattiveria del marito afferma: “Eh, ma lui è stressato, ha fatto due guerre!”.

Una casa indecente, le cui finestre aperte regalano i piedi dei passanti, qualche topo che vagola sotto il letto, una camera dove trovano spazio la figlia Marcella e i due figli più piccoli e difficili da digerire! Un’altra stanza dedicata ad un suocero perennemente a letto, che rimprovera il figlio perché ha sposato un’estranea e non una cugina come il suo credo avrebbe suggerito, e che redarguisce la violenza del figlio, che andrebbe perpetrata non in modo continuo, ma ogni tanto e con grande impeto, insomma, “le mogli vanno picchiate ogni tanto, ma forte, in modo che non possano scordare chi comanda in casa!”.

Le vicende si snocciolano con la tragedia che si sposa alla comicità a cui la Cortellesi non ha voluto rinunciare, e che va colta nei dettagli nascosti negli anfratti, mentre la figlia dimostra ostilità verso una madre incapace di ribellarsi. Ho lasciato per ultimo Ivano/Valerio Mastandrea, attore, anche in questo caso superlativo, che riesce ad attirare su di sé l’odio dello spettatore, e che contribuisce a chiarire in modo perfetto il modello di famiglia dell’epoca.

Mi fermo qui per quanto riguarda la storia per non rischiare il reato di spoileraggio, ma qualche considerazione personale mi nasce spontanea.

Ciò che Paola Cortellesi descrive così bene nella sua creazione è una cartolina del lontano passato, perché esiste una logica evoluzione che ha modificato i rapporti uomo/donna esistenti un tempo, ma è proprio la quotidianità che ci racconta come il retaggio culturale antico abbia ancora in pancia delle scorie che non si vogliono eliminare. Senza entrare nel campo sociologico e antropologico che non padroneggio, evidenzio che l’unica vera distinzione tra i generi, quella che attraverso leggi di natura stabilisce una relazione di forza ben definita, è ancora utilizzata per prevaricare e sopprimere sentimenti e voleri altrui. Anche nel campo lavorativo ho esperienze dirette di come le opportunità e la considerazione professionale passino ancora attraverso la valutazione di genere.

Arriviamo agli attimi finali, da vivere col cuore che aumenta i battiti, come quando si è in attesa di un evento aspettato di cui non si intravede il possibile risultato, e… una emozione unica, e in quel finale, peraltro interpretabile, c’è la speranza di una famiglia, di una donna, di tutte le donne, che di lì a poco avrebbero visto un cambiamento epocale della società, e anche della loro condizione personale.

Sono tornato indietro nel tempo, ai ricordi, frutto di anni di pranzi e cene tra parenti che avevano vissuto in quello stesso periodo, ma anche io ho potuto constatare con i miei occhi i comportamenti e le relazioni di genitori e nonni, paragonandoli e notando come esistesse una totale sudditanza da parte di una donna nata nel 1909 nei confronti del marito nato nel 1909: i miei cari nonni. Nulla di violento, per carità, ma la figura di padre padrone ha campeggiato a lungo tra le mura domestiche.

Questo un mio ricordo scritto anni fa, messo in prosa e riferito a fine anni ’70, quando ormai l’impeto giovanile di Luccio e Olga era finito, anche se certi comportamenti rimangono appiccicati per sempre a chi è intriso di un credo radicato.

Lei era ormai vecchia… beh, in realtà avrà avuto una sessantina d’anni, ma ai miei occhi era anziana.

Aveva sofferto, per effetto delle vicissitudini legate alla guerra e per una vita non certo felice, con un marito padre padrone, che sperperava i tanti soldi disponibili in feste e donne, mentre lei doveva misurare ogni tipo di spesa.

Lui non era cattivo, ma aveva nel DNA il distorto ruolo del capo famiglia, quell’immagine che tanto andava di moda agli inizi dello scorso secolo, atteggiamento difficile da modificare. Lei se ne andò molto prima di lui.

Ricordo un giorno, un episodio negativo che la turbò sino a condurla alle lacrime.

Era andata a fare la spesa, e per qualche strano motivo aveva perso il portafoglio, una misera busta che conteneva ciò che lui le aveva dato, come cifra quotidiana destinata all’acquisto del cibo.

Rifece la strada più volte, rientrò nei negozi disperata, si aggirò nel quartiere, accecata dalla preoccupazione, più che dalla rabbia. Ma niente, non c’era stato verso. Sarebbe stata sgridata come una bambina? Lo avrebbe sentito urlare?

Arrivò a casa piangendo e raccontò tutto... svuotò il sacco e si liberò.

“.. ma sì, vada come vada, non l’ho mica fatto apposta!”

Lui la guardò e… sdrammatizzò, si mise a ridere e lei, che si era mantenuta a debita distanza, incredula, diede dimostrazione di riconoscenza per quella reazione composta e adeguata alla pochezza dell’evento… fece un piccolo gesto che aveva un grande significato, anche se lui non poteva capire, come d’altronde accadeva da una vita.

Rimanendo sulla soglia della porta della cucina, alzò il braccio e, fissandolo negli occhi azzurri, avvicinò alla bocca il palmo della mano, contrasse le labbra e soffiò con estrema dolcezza.

Il bacio partì, uscì dalla bocca, rimbalzò sul polso e attraversò la mano, disperdendosi nell’aria.

Lei si convinse di aver centrato l’obiettivo, e questa fu alla fine la cosa più importante.

Non ho goduto abbastanza la mia nonna!

 


I cambiamenti culturali sono lenti, in qualunque rappresentazione della vita, e si accetta sempre, con entusiasmo moderato, una progressione, seppur minima, verso il positivo; certo, perlustrando altre strade, altre culture, altri modi di vivere c’è da rabbrividire al pensiero degli arretramenti che impediscono alle donne, in certi paesi, una conduzione di vita decente, giacché il concetto di “parità” non è certo contemplato!

Che sorpresa “C'è ancora domani”!








sabato 18 dicembre 2021

Savona, vecchia Savona


"La forma d'una città cambia, ahimè, più in fretta del cuore di un mortale."
Charles Baudelaire

L'arrivo del Natale ci fa riscoprire la città e le sue luci migliori.
L'aria che si respira é per taluni festosa, per altri un po' meno, ma il cuore cittadino pulsa come mai accade nel corso dell'anno.
Sono quei momenti in cui mi ritrovo a dire:"Ma è proprio bella Savona!", e in questa affermazione risiede la consapevolezza di conoscerla poco e di viverla ancor meno.

Passeggiando con i miei figli mi ritrovo a dire: "Vedi, qui un tempo avevamo paura al solo pensiero di passarci, e ora la vecchia Darsena è un luogo tra i più vissuti e affascinanti!"

Girare in questo periodo mi intristisce... molto... ma colgo questa occasione per "omaggiare la mia città, rispolverando vecchie fotografie, che per me sono cariche di significati.
Il tutto condito da "Imagine" di Lennon.







mercoledì 28 agosto 2019

Bob e Fiorella, una storia vera...


Quella che sto per raccontare è una storia vera, condita da elementi fantasiosi. Anche i nomi sono presi in prestito, perché il privato va rispettato.
Una sintesi di vita estrapolata da una chiacchierata di un paio di ore, con la perdita di molti dettagli, perché cammin facendo ho lasciato qualcosa sul campo, non per difetto di attenzione, ma l’immagine che stava prendendo forma davanti ai miei occhi aveva bisogno di una chiusura rapida, per il dolore che mi stava provocando e per la voglia immediata di mettere tutto su carta, affrettando la chiusura dell’incontro.
Un storia di amore, di estrema felicità, di completezza; una vita fatta di viaggi, di tanta musica; un percorso terminato maledettamente presto, quando il bello, forse, doveva ancora incominciare.

Fiorella e Bob, Bob e Fiorella.
Due attività diverse, incontri successivi con esiti differenti, da amici ad amanti, da cari conoscenti a coniugi.
Una voglia di fuggire, ogni volta possibile, verso altri mondi, con il ritorno alle origini dettato dalle esigenze quotidiane. Europa, Sud America… nessuna differenza, ma l’avventura resta il sale di quelle vite.

Fiorella è una hippie moderna, un termine che contraddistingue un modo di vivere alternativo. E poi Jim Morrison è nel DNA.
Bob mi dice: “Sai cosa mi ha sempre colpito di lei? Ogni mattina si alzava col sorriso sulle labbra…”.
La musica è il pane quotidiano, tra Doors, Eagles e Dylan.
Niente come una canzone ha il potere di riportarci al passato, agli odori, ai gusti di un particolare momento: Bob e Fiorella, Hotel California, Knockin' on Heaven's Door, e chissà quanti altri episodi.

Tutto perfetto, un mondo in corto circuito tra due anime, senza la necessità di pensare alla continuazione, al proprio prolungamento, alla catena procreativa.
Tutto liscio come l’olio, o comunque superabile.

E’ lunedì, un lunedì qualsiasi, e l’esito dell’esame istologico non lascia dubbi… pochi, pochissimi giorni di vita, la vita di Fiorella.
Due letti di ospedale vicini, per il rush finale, che solo uno porterà a termine, anche se non è una gara quella che stanno affrontando fianco a fianco.
Giorni in cui la mente vola, senza pensare al triste futuro, ma alla ricerca dell’ultimo godimento, della perfezione, della compenetrazione delle menti, della più alta forma di corrispondenza di amorosi sensi.
Nessun rimorso, nessun rimpianto, inutile perdere tempo quando il gong sta per suonare, e poi, cosa ci si potrebbe rimproverare?
Sono ore in cui torna alla mente una vita intera, senza avere il coraggio di pensare al dopo, al sentiero nascosto dietro l’angolo, a come affrontare il futuro. Ma interessa davvero ciò che verrà? C’è una logica in tutto questo?

Racconto a Bob di qualche mia certezza: Fiorella è lì in attesa, per compiere assieme a lui un viaggio infinito, senza alcun limite spaziale e temporale. Non è retorica, ma è quello che immagino, che spero, che ho già descritto su qualche pezzo di carta.
Non credo servano molto, a Bob, le mie rassicurazioni irrazionali, senza alcuna prova di supporto, ma proietto tutto su me stesso… nessuno è immune da certe sofferenze terrene.

Fiorella se ne va, è domenica, sono passati solo sei giorni dalla sentenza di morte.
Resta un pugno di cenere, polvere che non può restare intrappolata in un’urna, non in una casa, non in un luogo pensato da altri.
Ovvia la soluzione nella testa di Bob.
Tra Milano e Parigi il percorso è breve.
Ancora un viaggio per Fiorella, l’ultimo prima del vero volo, assolutamente libero.
Cimitero di Père Lachaise, tomba di Jim Morrison, quale posto migliore per allontanare la sofferenza!

venerdì 8 gennaio 2016

Incomunicabilità, tratto dal book "Cosa resterà di me?"


La storia dell’abbinamento immagine/ parole che presento a seguire è singolare.

La fotografia: scattata da me in West Virginia nel 1996

Le parole: un giorno, partecipando ad un quesito letterario su di un forum, nacque una competizione pacifica; l’ideatrice del “gioco” fornì una decina di parole (viaggio, vita, corsa, cielo…) e il nostro compito era quello di creare un piccolo racconto che avesse senso compiuto. A me uscì una serie di pensieri che successivamente sarebbero diventati... “Incomunicabilità”: li misi in un cassetto… era il 2009. 

Ritrovai quegli appunti per caso, un paio di anni dopo e, non so come, spuntò anche la fotografia: improvvisamente legai le due cose, realizzando come quell’immagine era per me la perfetta espressione di quanto avevo scritto… e viceversa.

Il tutto finì poi, assieme ad altre storie/immagini/musiche, nel book “Cosa resterà di me?


 Incomunicabilità

La mia vita era un viaggio in salita e io non trovavo mai la velocità giusta per raggiungerti.
La tua vita era piena di ghiaccio e tu eri talmente insensibile da non  rallentare mai la tua corsa per farti raggiungere … neanche solo un momento.
Tutto questo accadeva sotto a un cielo terso, apparentemente rassicurante, ma infido.
Nascondeva situazioni avverse, ed era testimone di guerre che, solitamente, non risparmiano nessuno.
Seduti nel nostro giardino, eravamo al riparo dal male fisico, e il libro che tu stavi leggendo cercava solo sfumature rosa.
Non era quella pace assoluta che inventava il nostro deserto!
Improvvisamente il tempo cambiò, e le gocce di pioggia ti agitarono, più del dovuto.
Ma basta un attimo, e con il sole ritorna la normalità.
E se fossimo ancora seduti nel nostro giardino … ci aspetterebbe un altro assordante silenzio?



Pulp Fiction



"Pulp Fiction" è un film super famoso di Quentin Tarantino.
Non voglio tracciarne la trama, o parlare del cast, ancorché di assoluta rilevanza, ma mi interessa rivedere una delle scene che preferisco.

Il boss, impegnato nei propri affari vuol fare divertire la moglie e delega lo scagnozzo John Travolta. Sarà suo compito accompagnare Uma Thurman in un locale dove, casualmente, avrà luogo una gara di ballo.
E come fa Travolta a disertare una pista ? Impossibile.
Si abbandona con Uma ad una scenetta che, estrapolata dal contesto, perde il vero significato, ma resta comunque gustosissima da vedere .
Tra sangue, morte, droga e... tante parole, i due bravi attori sembrano isolarsi completamente, lasciandosi andare al ritmo di "You Never Can Tell", di Chuck Berry.
Si muovono come in trance, senza un'apparente comunicazione, dando l'impressione di essere lì per caso, mentre Uma approccia un John che avverte il pericolo.

Guardiamola...



Citazione:

"Una delle cose che preferisco nel raccontare storie come faccio io è dare forti emozioni: lasciare che il pubblico si rilassi, si diverta e poi all'improvviso... boom! Voglio trasportarli improvvisamente in un altro film(Quentin Tarantino, a proposito di "Pulp Fiction).




lunedì 7 dicembre 2015

Il bed-in di John e Yoko




Domani è l’8 dicembre: New York, 1980, mentre John Lennon si accinge a rincasare con la moglie si trova di fronte all'ingresso del Dakota Building (il lussuoso palazzo in cui risiede, sulla 72ª strada, nell'Upper West Side a New York), un venticinquenne di nome Mark Chapman, che esplode contro di lui cinque colpi di pistola colpendolo quattro volte (il quinto colpo non va a segno) mentre esclama: «Hey, Mr. Lennon». Uno dei proiettili trapassa l'aorta e Lennon fa in tempo a fare ancora qualche passo mormorando «I was shot...» [Mi hanno sparato] prima di cadere al suolo perdendo i sensi. Soccorso da una pattuglia di polizia, Lennon perde conoscenza durante la corsa verso il Roosevelt Hospital, dove è dichiarato morto alle 23.07.
Ma vediamo un episodio significativo della sua vita, prima dell’8 dicembre 1980: il racconto è di Gianni Lucini.

Per la serie: "Fatti ed eventi del passato"
(Rock e Martello di Gianni Lucini)

31 maggio 1969 – Un letto, alcuni amici e una canzone che resterà nella storia


Il 31 maggio 1969 John Lennon e la sua compagna Yoko Ono sono impegnati nell'ennesimo "bed-in" per protestare contro la guerra nel Vietnam. Cosa sono i "bed-in"? Nell'impostazione di Lennon rappresentano una sorta di "pacifismo integrale". In genere funziona così: lui e la sua compagna si rinchiudono in una stanza d'albergo e stanno a letto per tutta la durata del "bed-in". Non è, ovviamente, un fatto privato, ma pubblico in cui non c'è niente di ozioso. John Lennon e Yoko convocano conferenze stampa, diffondono documenti, tengono riunioni, incontrano amici e giornalisti, con il solo limite di… non scendere mai dal letto. Nonostante gli scetticismi questo modo di manifestare per la pace e per il ritiro delle truppe statunitensi dal Vietnam ha una sua peculiare efficacia. Non può essere esteso perché non tutti sono in grado di attirare l'attenzione dei media come un componente dei Beatles, ma in questo caso funziona. Il 31 maggio 1969 i due sono rinchiusi da qualche giorno nella camera 1742 dell’Hotel La Reine di Montreal, in Canada. Il programma della giornata prevede la consueta conferenza stampa e vari incontri con alcuni esponenti dei movimenti pacifisti statunitensi e canadesi. Nonostante gli impegni John Lennon ha cercato di lasciare un'oretta libera, totalmente a sua disposizione. Vuole verificare la fattibilità di un'idea che gli frulla da qualche tempo nella testa. Convoca alcuni amici e fa portare nella camera un normalissimo registratore portatile. Uno dopo l'altro arrivano Tommy Smothers, Petula Clark, Timothy Leary e Allen Ginsberg. A tutti John consegna un foglio sul quale ha scritto alcuni versi di una canzone da lui composta. Impugna quindi la chitarra e con calma ne fa ascoltare la musica. Per fissare meglio l'andamento della melodia, che sembra un po' ostico a Leary e Ginsberg, canticchia il motivo scandendo bene le parole. Spiega poi a tutti che è sua intenzione registrare la canzone seduta stante con la loro collaborazione diretta. Ciascuno, oltre a cantare a squarciagola sul ritornello, può scandire il tempo con il battito della mani, con un tamburello o anche picchiando con le nocche su una sedia. Quando tutti sono pronti accende il registratore e lascia sul nastro una canzone destinata a restare nella storia della musica e a diventare uno degli inni della lotta per la pace: Give peace a chance.


sabato 25 luglio 2015

Luciano Regoli-La Bella Pittura


Luciano Regoli 

"La Bella Pittura"

1 - 9 Agosto 2015

Sala Telemaco Signorini
Portoferraio - Isola d'Elba

Vernissage 1 Agosto, ore 21,30

orario di galleria 10-13,  18-20,  21-24