West Virginia

West Virginia
Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

sabato 22 novembre 2014

Raffaello Corti


Accadde un paio di anni fa...

Quando mi ritrovo in un ambiente che percepisco confortevole, mi lascio andare e sciorino le mie perle di saggezza, le mie convinzioni, i miei dogmi, che mi sento autorizzato a descrivere perché… ho un po’ vissuto. Tra i tanti ce n’è uno che riguarda la musica, la sua capacità di abbattere le barriere e di far entrare rapidamente in sintonia persone che apparentemente non hanno molto in comune.
Non approfondisco, ma sabato 29 settembre, nel corso della premiazione del 1° Concorso letterario “La Parola e la Musica”, organizzato da MusicArTeam, mi sono ritrovato in questa situazione, nonostante alcune persone fossero lì quasi per dovere… alla fine si è percepita una sincera e non faticosa partecipazione.
Uno quasi obbligato alla presenza era Raffaello Corti, vincitore del 1° premio nella sezione “Racconto breve”, proveniente da Bergamo.
Uno scrittore eclettico, più portato alla poesia, per sua stessa ammissione, ma capace di “colpire” in qualunque caso. 
Un uomo dalla vita avventurosa e dolorosa, costellata però di soddisfazioni e di successi personali, sia in campo lavorativo che in quello delle passioni.
Per approfondire è sufficiente visitare il suo esauriente sito:


Lo scambio di battute a seguire rivelerà qualcosa in più di questo poeta particolare che ho avuto la fortuna di conoscere.


L’INTERVISTA

Ripeto una domanda posta nel momento del nostro incontro, sul palco. Cos’è per te la musica… oltre la letteratura?

Ho sempre amato la musica sin da ragazzo, con una predilezione per i cantautori italiani dei primi anni ‘70, da Gaber a De Andrè, da Lolli a Guccini e così via (di cui conservo con gelosia maniacale tutti i vinili all’epoca da me acquistati). Seguendo quindi l’istinto del 14enne d’allora mi iscrissi ad un corso di chitarra, dal quale fui però respinto perché secondo il Maestro avevo “le mani grosse… da meccanico… e non avrei mai potuto suonare”. Da allora, ho continuato il mio percorso come ascoltatore, affinando i miei gusti ed avvicinandomi al jazz e alla musica popolare, specialmente quella sudamericana, brasiliana e portoghese. Oggi, non potrei vivere senza musica, per me è uno “stato mentale”necessario, una sorta di “continuum” esistenziale quotidiano, un’estensione naturale dei miei pensieri muti, la forma d’aria trasparente con la quale avvolgere il mio Tutto. La musica ha il meraviglioso potere di modificare il mio stato d’animo, e guidarlo su mondi paralleli, ove ritrovare sensazioni ed emozioni unicamente mie.

Leggendo le note biografiche inserite nel tuo sito sono rimasto colpito dalla  descrizione della tua vita “faticosa”, soprattutto agli inizi, cosa che evidenzi contrapponendo i tuoi viaggi e il tuo lavoro, quasi a dire… però, sudando e soffrendo ce l’ho fatta lo stesso… e ti chiedo in modo un po’ retorico, ma utile a comprendere la tua storia: “ Che cosa ti ha dato tanta forza?”.

La capacità di superare difficoltà di quella portata, penso sia stata soprattutto l’educazione e l’amore ( dolcemente  ruvido ) ricevuto dalla famiglia affidataria, con la quale ho condiviso qualche anno, tra un istituto e l’altro. Da bambini è difficile misurare l’intensità del dolore e la sua capacità distruttiva che si manifesta, solitamente, in età più adulta. Da bambini, specialmente se in gruppo ed uniti nello stessa sofferenza, si cerca inconsciamente ed istintivamente di lottare contro gli elementi esterni che aggrediscono il tuo essere, siano essi fisici e/o psicologici. Solo successivamente se ne comprende l’entità valutando, con la giusta misura, ciò che veramente si è subito e fatto. Oggi, a 52 anni, ogni qualvolta “rileggo” la mia vita, io stesso mi stupisco di come ho saputo reagire, di ciò che sono riuscito a costruire ! Porto ancora i segni della mia infanzia mancata e nel mio libro “Nomen Nescio n°55” descrivo le disavventure successe a me ed ai miei compagni e di come io sia riuscito a superarle.
Non saprei quindi cosa mi ha dato tanta forza in questi anni, forse solo e semplicemente, la paura di essere nuovamente abbandonato e di morire dentro, spingendomi, di conseguenza, a dimostrare a me stesso e al mondo che io c’ero… che nonostante tutto io ce l’avevo fatta!

E’ banale dire come l’appropriarsi di elementi di differenti culture sia utile per lo sviluppo personale, ma quali sono i maggiori insegnamenti che hai tratto dal vivere in posti lontani da quello in cui sei nato?

In realtà, io sono nato “già lontano”. La consapevolezza delle radici, della casa, della famiglia, mi appartiene di più ora, da adulto, perché fino a pochi anni fa il  pensiero di avere un luogo definito, deputato ad essere la magione in ogni senso era una concezione astratta. L’essere costretto a continui spostamenti, tra orfanatrofi, collegi, famiglie e quant’altro, mi ha creato da sempre un senso del viaggio, fisico e psicologico. Ognuno di questi cambiamenti, mi ha donato qualche cosa ed ha contribuito a rendermi diverso dai miei coetanei, rendendomi più “selvaggio” e più famelico di conoscenza, di sensazioni, di emozioni di cui ero stato privato. Il vivere poi, per diversi anni, in paesi stranieri culturalmente diversi tra loro, mi ha regalato una arricchimento personale incredibile. Ho imparato ad affrontare ed apprezzare le persone e la diversa umanità,  a “confondermi” con esse e con la loro cultura, per diventare insieme una sorta di opera d’arte comune, in cui ognuno donava all’altro le sue conoscenze, la sua sete di curiosità, la ragione del suo essere vivo. Ogni viaggio era come attraversare le pagine di un libro… ed era poesia il mio amico siberiano Victor, che mi portava nella tundra sul fiume e con cui comunicavo solo a mezzo disegno, mentre mangiavamo cetrioli, lardo e vodka… era poesia Pedro, che nella sua favelas della Rocihna mi invitava a “cena” con cocco e birra da condividere con lui e i suoi otto figli nelle notti violente di Rio de Janeiro… era poesia il piccolo monaco buddhista di Malacca, che durante l’ascolto dei mantra mi dedicava un sorriso e poi una ciotola di riso… era poesia la prostituta di Ho Chi Min City, che mi salutava ogni giorno con un sorriso smagliante sebbene avesse bruciato l’amore  per pochi dollari nel suo Apecar, trasformato in paradiso vellutato-rosso-fuoco. Ecco cosa ho portato con me dai miei viaggi intorno al mondo, e cosa ho appreso da tutto questo, la capacità di leggere “poesie” reali, di comprendere che non esiste il diverso, ma siamo noi stessi che ha volte non sappiamo vedere, né leggere, né interpretare gli altri, convinti, troppo spesso, e  arroccati sulle nostre “educazioni e certezze”, di essere i migliori!

Mi parli un po’ delle opere letterarie che hai realizzato?ù+

Scrivo da metà degli anni 70, inizialmente pensieri gettati tra la folla, generati dal contesto sociale e politico dell’epoca, versi di rabbia e di speranza. Poi lentamente ho modificato il mio scrivere seguendo la mia maturità e la realizzazione di ciò che ero stato e di ciò che avevo vissuto, quindi la scrittura diventa catarsi, valvola di sfogo per metabolizzare il passato, e via di uscita per scoprire l’amore. Ho raccolto, quindi, negli anni un numero sempre più alto di poesie, che lette in sequenza compongono la mia vita. Ma solo negli ultimi quattro anni, grazie alla spinta di mia moglie, ho avutola la forza e il coraggio di propormi al pubblico, al suo giudizio e alla critica. Nasce così il primo librino d’artista edito da Pulcinoelefante con un’opera dell’artista/amico Carlo Oberti. A seguire vede la luce  “ Disegnando sull’acqua” una raccolta di poesie interamente dedicate a mia moglie, da cui si evince il desiderio e l’importanza che questo nuovo amore ha su di me, la mia opera più venduta. Segue poi la raccolta “Visioni imperfette”, opera che racchiude una serie di pensieri minimi e di brevi emozioni tracciate dal ricordo, menzione d’onore al Concorso Oubliette Magazine e finalista al Premio “Parole e Poesia” di Modena. Nel Marzo 2011 viene pubblicato “Scatti… di parole”, in questo volumetto la modalità creativa fiorisce nell’accostamento di poesia e fotografia e trae forza da due elementi: la trasposizione del pensiero in forma poetica e l’osservazione attenta e curiosa della realtà. La fotografia, tuttavia, non è semplice strumento esplicativo dei versi, ma offre uno spunto diverso, come fosse una “macchina” per tracciare liriche analogie. Poi nel Maggio 2011, vede la luce l’opera a me più cara, quella più sofferta e dolorosa, un’opera difficile e cruda “Nomen Nescio n°55”, titolo che rappresenta il mio identificativo al brefotrofio di Bergamo all’atto della nascita. Dalla prefazione di Maria Guerriero un breve estratto “…il componimento è scritto nella forma dell’autobiografia in versi liberi in cui l’autore, venuto al mondo come figlio di N.N. (Nomen Nescio), indaga nel suo profondo il germinare di ricordi, di stati d’animo e sentimenti legati ai primi anni di vita; la materia toccante di questo lavoro è il senso dell’abbandono, sofferto fin dalla nascita. Il racconto lirico diventa un journal intime in cui un flusso di coscienza, misurato e composto, rifonde dignità anche agli accadimenti più drammatici e umilianti aprendosi di continuo in una poesia degli affetti...”. Il libro raccoglie un buon successo di critica e vince il 3° premio al Concorso Oubliette Magazine, ed è in fase di elaborazione una breve pièce teatrale legata al tema del libro.
Verranno poi la silloge “Passi”, ed altre due pubblicazioni vincitrici di concorsi letterari e quindi edite dai rispettivi editori  ; “Impercettibili sospensioni” edito e tradotto anche in inglese da Edizioni Miele, e “Scorrerò pagine di memoria al tuo fianco” edito da Cicogna editore di Bologna.

Hai vinto il 1° premio del concorso letterario “La Parola e la Musica” con un racconto breve, ma mi hai raccontato di come tu prediliga la poesia. Che cosa ti da in più l’una rispetto all’altro?

Scrivere è per me un viaggio nell’anima, luogo deputato alla raccolta e alla elaborazione di tutti i ricordi ed emozioni. Diciamo quindi che non esiste una predilezione per l’uno o l’altro genere, penso però di esprimermi al meglio con la poesia, in quanto segue un flusso emozionale diretto, immediato, legato ad una immagine, un ricordo, un profumo, un luogo, qualsiasi cosa che risvegli in me sensazioni immediate, che trasporto sulla carta al momento, elaborandole poi con calma e dando loro una forma, che seppur breve nella maggiore parte dei miei componimenti, racchiude l’essenza di un attimo. I racconti, a cui mi sono avvicinato da poco, richiedono una elaborazione più complessa, più strutturale, e tendo quando compongo un racconto a lasciarmi trascinare dalla poesia, mischiando così a volte i due stili. Per questo mi limito alle “short story”, ai racconti brevi, che sono più affini alla mia forma di scrivere “di getto” sull’onda di un pensiero o di una immagine reale o fantastica che sia. Ho scritto diversi racconti brevi, quasi tutti pubblicati in antologie di vari editori, che seguono sempre una linea surreale, come il racconto con cui ho vinto il vostro premio. Direi quindi che la poesia, rappresenta la parte più profonda di me, mentre il racconto viaggia più sulla fantasia, sull’onirico, mettendo a nudo il mio essere sognatore ed un po’ utopista.

Trasportare su di un foglio di carta, o elettronico, le emozioni di un momento significa renderle eterne. Eppure non è la razionalità che porta a scrivere una poesia, che non potrebbe essere sincera se fosse frutto di un calcolo. Che cosa provi quando ti capita di rileggere le cose scritte nel passato?

Rileggere le proprie opere a distanza di anni, a volte è sorprendente, in quanto ritrovo una persona diversa, e mi accorgo di come sia cambiata la mia visione delle cose nel corso del tempo. A volte alcuni componimenti non li trovo particolarmente belli e/o rispondenti alla mia forma attuale di espressione, ma non li modifico perché sono una parte di me stesso e di com’ero: rileggo la distinta capacità di esprimere la rabbia, più violenta nel passato, più metaforica e potente ora, la diversa forma di disegnare l’amore vissuto o desiderato. E’ praticamente un percorso nella memoria che osservo sempre con un sorriso ed a volte con una lacrima, io sono le mie parole, che esse mi piacciano o meno!

Che cosa è per te la felicità?

Una domanda complessa che richiederebbe un’analisi profonda e non basterebbero tutte le pagine a disposizione. Ognuno ha descritto a suo mondo la felicità nel corso del tempo, le sue forme sono molteplici e soggettive, tracciare il mio concetto di felicità non è semplice, quindi la descriverei con una breve poesia dedicata a mia moglie, che racchiude il senso della mia felicità:

Ero tronco morto,
solo una piccola gemma
giaceva nascosta tra i rami.
Ora sono foglie verdi
E fiori profumati,
ora sono …Te!”

Mi hai raccontato del tuo amore per il jazz. Il blues soprattutto, ma analogamente il jazz, sono stati spesso la forma espressiva di chi soffriva, tanto che si è soliti dire…  no pain no blues. Quanto hanno a che fare i tuoi gusti musicali con i tuoi momenti difficili passati nell’infanzia?

Credo tutto, la musica è stata parte integrante del mio percorso fin dai primi dischi di musica classica ascoltati “in famiglia” all’età di 4 anni, alla scoperta dei cantautori che raccontavano le nostre piccole miserie in forma di poesie musicali, al blues e al jazz, che sono, per me, le parole che non riesco a scrivere, i momenti che non riesco a dimenticare, i volti di amici scomparsi troppo presto per colpe altrui. Ogni volta che mi immergo nell’ascolto di alcuni brani jazz, per esempio il piano di Luca Flores, il mio essere si divide, respiro la musica e mi allontano dalla mia fisicità, non più carne né ossa, solo immagini, brividi, sensazioni, storie che si muovono sotto le mie palpebre chiuse disegnando la mia malinconia e le mie piccole gioie.

 Che idea ti sei fatto, nonostante il poco tempo passato con noi, della nostra città e dell’ambiente trovato al Teatro Sacco?

Della città posso dire poco, in quanto ho fatto solo due passi e poi mi sono infilato in buon ristorante a mangiare dell’ottimo pesce, ma da quel poco che ho visto, credo sarà molto piacevole ritornarci e scoprirla con calma, assaporandone ogni angolo e sapore. Relativamente all’esperienza con voi presso il Teatro Sacco, sono rimasto davvero colpito ed emozionato. Non tanto per il premio vinto, che ovviamente mi riempie di orgoglio, ma per la sensazione di unità e di voglia di fare che aleggiava nell’aria, la passione per ciò che stavate facendo era palpabile, così come il senso di umanità e speranza che traspariva dalle vostre parole. Purtroppo le distanze non mi permetteranno di vivere appieno questa vostra avventura, ma farò quanto mi sarà possibile per essere partecipe anche da lontano, perché dietro quel palco ho trovato degli amici e delle persone rare, che fanno della propria passione un cammino di vita, ed io vorrei fare parte di tutto questo.

Che cosa ha pianificato Raffaello Corti per l’immediato futuro?

Al momento non ho progetti per l’immediato futuro, continuo a scrivere le mie poesie ed i miei micro racconti, partecipando a qualche concorso. Mi piacerebbe trovare la forma per potere promuovere meglio le mie opere ed il mio lavoro, anche se purtroppo la poesia è snobbata dai grandi distributori in quanto “non vende”. Raccoglierò sicuramente in un volumetto un’altra serie di poesie da sottoporre il prossimo anno a qualche editore, per il resto saranno le mie dita ed il mio cuore che guideranno il tempo a venire.