Non è usuale per me scrivere a
proposito di un film visto, perché non ne ho le competenze, ma ho la licenza,
come chiunque altro, di descrivere ciò che il contenuto di una pellicola mi
suscita, e questo mio piccolo commento mi esce spontaneo e so già che andrò a
personalizzare la cosa! Non ho quindi la pretesa di sfornare una recensione ma
mi limito a descrivere quanto provato.
Esiste un antefatto che risale a
domenica scorsa, quando mi trovavo a Milano per la presentazione di un libro. I
miei figli vivono e lavorano nel capoluogo lombardo, e a tavola Elisa ci
racconta dell’esperienza appena vissuta, la visione di quello che comunemente è
chiamato “il film della Cortellesi”. A tutti i presenti è piaciuto, e ciò
mi ha incuriosito, perché in questo periodo tutto mi passa affianco senza che
io me ne accorga, e così ho colto al volo la sollecitazione.
Argomento molto caldo che mette in
risalto il ruolo della donna nella società, e il racconto a tavola si evolve
tendente verso i macro-concetti su cui non si può non essere d’accordo. Mio
figlio ammette che alla fine aveva le lacrime agli occhi e… mi fermo qui. Mi
convinco, ci convinciamo. Risultato, blocchiamo subito un paio di biglietti per
il mercoledì a seguire, ultimo giorno di proiezione savonese.
Ma perché mai dovrei andare a vedere
un film dove il mio cuore tenero, ne sono certo, dovrà soffrire?
Sono abbastanza antico, ma ho ricordi
indelebili di come funzionassero le famiglie a inizio anni ’60, una quindicina
di anni dopo l’ambientazione storica del “film della cortellesi”. Ma non
ho voglia di stare male, e so, mentre mi sto avvicinando alla sala
cinematografica, che prestissimo dovrò fare i conti con la pellicola che
scorrerà davanti ai miei occhi.
A metà strada incontro un amico che
non vedevo da tempo e nel suo saluto finale ci scappa un suo: “hai visto il
film della Cortellesi?”. Ormai non posso fuggire, tra pochi minuti capirò
meglio!
Siccome non provo più alcuna vergogna
nel mostrare i miei sentimenti, posso dire tranquillamente che anche a me sono
scese le lacrimucce. L’ho fatto nella scena finale, ma mi è capitato anche
ascoltando le canzoni di sottofondo, il cui abbinamento tra nuovo e antico mi
ha colpito: non avrei mai creduto che funzionasse così bene! Il top del mio
dolore interiore è arrivato quando una scena particolarmente toccante è stata
colorata da “La sera dei miracoli”, di Lucio Dalla.
E gli altri brani? Eccoli…
Aprite le finestre – Fiorella Bini
Nessuno – MUSICA NUDA di Petra Magoni
& Ferruccio Spinetti
Perdoniamoci – Achille Togliani
A bocca chiusa – Daniele Silvestri
M’innamoro davvero – Fabio Concato
La sera
dei miracoli – Lucio Dalla
Calvin
– The Jon Spencer Blues Explosion
B.O.B.
– Bombs Over Baghdad – OUTKAST
The
little things – Big Gigantic featuring Angela McCluskey
Swinging on the right side – Lorenzo
Maffia e Alessandro La Corte
Tu sei il mio grande amor – Lorenzo
Maffia e Alessandro La Corte (Voce Enrico Rispoli)
Qualche dato oggettivo, partendo dal
titolo su cui sino ad ora ho giocato ma che è ben definito e induce alla
speranza: “C'è ancora
domani”, per un film co-scritto, diretto e interpretato da Paola Cortellesi.
Girato in bianco e nero, riporta ad
una Roma del 1946, appena terminata la guerra, ed è sinteticamente la storia di
Delia, donna che, nel primissimo dopoguerra, si trova a mantenere - facendo tre
lavori, oltre a quelli di casa - una famiglia in cui i due figli maschi seguono
l’esempio paterno - un comportamento basato sulla violenza e disprezzo totale
per lei - e la figlia femmina, rivedendosi nella madre, la accusa di non saper reagire.
Siamo nel mese di maggio, la città è
divisa tra la povertà lasciata dalla Seconda guerra mondiale, le milizie degli
Alleati in giro per le strade e la voglia di cambiamento alimentata dal
referendum istituzionale e dall'elezione dell'Assemblea Costituente che avverrà
nei successivi 2 e 3 giugno (la notazione temporale è funzionale ad un finale
che non racconterò).
Non mi soffermo sui particolari della
narrazione, e ancor meno sulla conclusione, per non rovinare una possibile
futura visione a chi ancora non lo avesse visto, ma… la prendo alla larga.
Col passare dei minuti e lo scorrere
delle immagini sono diverse le situazioni famigliari che evidenziano il
rapporto moglie/marito, e anche laddove il comportamento è basato su una normale
civiltà, il rigido rispetto dei ruoli all’interno della coppia rimane una
costante, perché la donna era condannata alla sottomissione, con una
quotidianità vissuta sotto gli occhi dei figli, che quando erano femmine
apprendevano ciò che la società si aspettava da loro e se erano maschi
captavano il presunto senso di superiorità che doveva farli prevalere
all’interno della vita matrimoniale.
In questo caso abbiamo una violenza,
una vessazione continua e immotivata, se non con la giustificazione dietro alla
quale si nasconde Delia/Cortellesi, la protagonista, che, quando qualcuno le fa
notare la cattiveria del marito afferma: “Eh, ma lui è stressato, ha fatto
due guerre!”.
Una casa indecente, le cui finestre
aperte regalano i piedi dei passanti, qualche topo che vagola sotto il letto,
una camera dove trovano spazio la figlia Marcella e i due figli più piccoli e
difficili da digerire! Un’altra stanza dedicata ad un suocero perennemente a
letto, che rimprovera il figlio perché ha sposato un’estranea e non una cugina
come il suo credo avrebbe suggerito, e che redarguisce la violenza del figlio,
che andrebbe perpetrata non in modo continuo, ma ogni tanto e con grande
impeto, insomma, “le mogli vanno picchiate ogni tanto, ma forte, in modo che
non possano scordare chi comanda in casa!”.
Le vicende si snocciolano con la
tragedia che si sposa alla comicità a cui la Cortellesi non ha voluto
rinunciare, e che va colta nei dettagli nascosti negli anfratti, mentre la
figlia dimostra ostilità verso una madre incapace di ribellarsi. Ho lasciato
per ultimo Ivano/Valerio Mastandrea, attore, anche in questo caso superlativo,
che riesce ad attirare su di sé l’odio dello spettatore, e che contribuisce a
chiarire in modo perfetto il modello di famiglia dell’epoca.
Mi fermo qui per quanto riguarda la
storia per non rischiare il reato di spoileraggio, ma qualche
considerazione personale mi nasce spontanea.
Ciò che Paola Cortellesi descrive così bene nella sua creazione è una cartolina del lontano passato, perché esiste una logica evoluzione che ha modificato i rapporti uomo/donna esistenti un tempo, ma è proprio la quotidianità che ci racconta come il retaggio culturale antico abbia ancora in pancia delle scorie che non si vogliono eliminare. Senza entrare nel campo sociologico e antropologico che non padroneggio, evidenzio che l’unica vera distinzione tra i generi, quella che attraverso leggi di natura stabilisce una relazione di forza ben definita, è ancora utilizzata per prevaricare e sopprimere sentimenti e voleri altrui. Anche nel campo lavorativo ho esperienze dirette di come le opportunità e la considerazione professionale passino ancora attraverso la valutazione di genere.
Arriviamo agli attimi finali, da vivere col cuore che aumenta i battiti, come quando si è in attesa di un evento aspettato di cui non si intravede il possibile risultato, e… una emozione unica, e in quel finale, peraltro interpretabile, c’è la speranza di una famiglia, di una donna, di tutte le donne, che di lì a poco avrebbero visto un cambiamento epocale della società, e anche della loro condizione personale.
Sono tornato indietro nel tempo, ai
ricordi, frutto di anni di pranzi e cene tra parenti che avevano vissuto in
quello stesso periodo, ma anche io ho potuto constatare con i miei occhi i
comportamenti e le relazioni di genitori e nonni, paragonandoli e notando come
esistesse una totale sudditanza da parte di una donna nata nel 1909 nei
confronti del marito nato nel 1909: i miei cari nonni. Nulla di violento, per
carità, ma la figura di padre padrone ha campeggiato a lungo tra le mura
domestiche.
Questo un mio ricordo scritto anni fa, messo in prosa e riferito a fine anni ’70, quando ormai l’impeto giovanile di Luccio e Olga era finito, anche se certi comportamenti rimangono appiccicati per sempre a chi è intriso di un credo radicato.
Lei era ormai vecchia… beh, in realtà
avrà avuto una sessantina d’anni, ma ai miei occhi era anziana.
Aveva sofferto, per effetto delle
vicissitudini legate alla guerra e per una vita non certo felice, con un marito
padre padrone, che sperperava i tanti soldi disponibili in feste e donne,
mentre lei doveva misurare ogni tipo di spesa.
Lui non era cattivo, ma aveva nel DNA
il distorto ruolo del capo famiglia, quell’immagine che tanto andava di moda
agli inizi dello scorso secolo, atteggiamento difficile da modificare. Lei se
ne andò molto prima di lui.
Ricordo un giorno, un episodio
negativo che la turbò sino a condurla alle lacrime.
Era andata a fare la spesa, e per
qualche strano motivo aveva perso il portafoglio, una misera busta che
conteneva ciò che lui le aveva dato, come cifra quotidiana destinata
all’acquisto del cibo.
Rifece la strada più volte, rientrò
nei negozi disperata, si aggirò nel quartiere, accecata dalla preoccupazione,
più che dalla rabbia. Ma niente, non c’era stato verso. Sarebbe stata sgridata
come una bambina? Lo avrebbe sentito urlare?
Arrivò a casa piangendo e raccontò
tutto... svuotò il sacco e si liberò.
“.. ma sì, vada come vada, non l’ho mica
fatto apposta!”
Lui la guardò e… sdrammatizzò, si
mise a ridere e lei, che si era mantenuta a debita distanza, incredula, diede
dimostrazione di riconoscenza per quella reazione composta e adeguata alla
pochezza dell’evento… fece un piccolo gesto che aveva un grande significato,
anche se lui non poteva capire, come d’altronde accadeva da una vita.
Rimanendo sulla soglia della porta
della cucina, alzò il braccio e, fissandolo negli occhi azzurri, avvicinò alla
bocca il palmo della mano, contrasse le labbra e soffiò con estrema dolcezza.
Il bacio partì, uscì dalla bocca,
rimbalzò sul polso e attraversò la mano, disperdendosi nell’aria.
Lei si convinse di aver centrato
l’obiettivo, e questa fu alla fine la cosa più importante.
Non ho goduto abbastanza la mia
nonna!
I cambiamenti culturali sono lenti,
in qualunque rappresentazione della vita, e si accetta sempre, con entusiasmo
moderato, una progressione, seppur minima, verso il positivo; certo,
perlustrando altre strade, altre culture, altri modi di vivere c’è da
rabbrividire al pensiero degli arretramenti che impediscono alle donne, in
certi paesi, una conduzione di vita decente, giacché il concetto di “parità”
non è certo contemplato!
Che sorpresa “C'è ancora domani”!