Ho da poco terminato la lettura di “Stelle grigie-racconti”, in una
modalità per me anomala, un file PDF che scorre più o meno veloce sotto ai miei
occhi. Pare sia il futuro, ma la carta, se si parla di libri, resta ancora la
mia scelta primaria.
Dopo l’immagine
iniziale, capace di dare indicazioni, se si possiede un certo allenamento e un
minimo di sensibilità, sono “caduto” sulla prefazione di Emanuele Rozzoni, eminente letterato che fornisce una sua visione
precisa dell’autore e della sua opera.
Per avere un’idea
della lunghezza dello scritto, ho fatto scorrere velocemente il cursore e mi
sono arrestato sulla postfazione di Fabrizio
Fantoni, professionista nel campo della Psicologia e Psicoterapia, che nell’occasione
indaga sui personaggi e sulle ambientazioni che li vedono in azione, motivando
alcuni comportamenti all’interno di episodi caratterizzanti, utilizzati per un’analisi
precisa e coinvolgente.
Raccontata così
potrebbe sembrare l’inutile scoperta dell’assassino, in un giallo avvincente, prima di aver letto le premesse, e come ci viene spesso
ricordato, l’obiettivo non è la meta, ma il percorso. Concordo.
Ciò che Luca Vicenzi
descrive non è fortunatamente materia per soli esperti e studiosi, e questo mi
permette di affermare con soddisfazione
che “Stelle
grigie” non è parto per sola nicchia.
Conosco Luca da molti
anni, ma non lo conosco.
Specifico, non ho mai
avuto il piacere di un incontro personale, ma attraverso conoscenze comuni e un
po’ di sana tecnologia, sono entrato nel suo mondo musicale, ho conosciuto i
suoi progetti, e ho estrapolato un’immagine di genio, che crea indipendentemente
da ciò che il mercato vorrebbe, utilizzando il mondo dei suoni per comunicare,
anche se l’impressione è che sia più importante la ricerca rispetto alla
preoccupazione di essere compresi sino in fondo. Sì, la musica che ho
assimilato, la sua musica, non si preoccupa dell’eventuale isolamento, e forse
proprio in quello trova una buona motivazione nello sperimentare.
Intendiamoci, il
problema riguarda migliaia di anime che rifiutano la sfera commerciale, ma nel
caso specifico, ritornando al libro, posso dire che quanto ho letto non mi ha
stupito, anzi, ha arricchito la mia picture di Luca, confermando le impressioni
basate su alcuni CD e su qualche scambio di battute via mail, diventate poi
interviste.
Luca Vicenzi snocciola
una serie di racconti - ventidue mi pare - che sforando nel campo musicale
potrei definire elementi di un concept album, interconnessi tra loro, eppure
episodi singoli che vivono di vita propria.
Ripensando ai diversi
momenti in cui ho portato avanti la lettura, direi che ogni narrazione potrebbe
essere considerata rappresentativa dell’intero libro, essendo un concentrato
capace di contenere un significato che si ritrova cammin facendo, riga dopo
riga.
Se dovessi dare un
colore con cui dipingere adeguatamente il libro, associando umore a contenuti,
non esiterei nell’usare il grigio, sfumatura che mi ha accompagnato per tutta
la lettura, e sono certo di non essere stato influenzato dal titolo dell’opera.
Impossibile non
immedesimarsi in una delle tante situazioni descritte, talmente reali che
devono per forza far parte del vissuto - più o meno diretto - di Vicenzi.
Stati di disperazione,
di alienazione, di disagio acuto, di apparente sollievo e rapido ritorno alla
realtà, con epiloghi che aspettano una continuazione, e momenti in cui si è
presi dall’angoscia. E’ un racconto del sociale malato che è ben conosciuto,
che per lungo tempo si legge solo nei contenitori di altri, mantenendo le distanze, e che poi arriva a
colpirci quando meno ce lo aspettiamo, e capiamo magari che da tempo era in
atto una pericolosa convivenza, forse latente, inconscia, all’improvviso manifesta.
Mestieri precari,
amori impossibili, racconti di fantasia, con un fondo estremamente corposo che
si chiama solitudine, anche in mezzo a milioni di persone.
Viviamo in un’era
caratterizzata da immense possibilità tecnologiche, e la comunicazione viaggia
in un nanosecondo verso gli estremi del mondo, rimandandoci indietro una risposta,
più o meno soddisfacente, nello stesso spazio temporale. Eppure… nessuno è
capace di ascoltare, in modo attivo intendo.
La lettura ha contemplato
numerose soste riflessive, e in una di queste mi è venuto spontaneo pensare a
quante persone ho conosciuto nella vita capaci di “saper ascoltare”, e la
risposta che mi sono dato è drammatica, perché, ben che vada, sono racchiuse
nel pugno di una mano.
Che cosa può alleggerirci
nel percorso? Cosa può attenuare il dolore?
Forse condividerlo
senza pudore, alla ricerca di un positivo punto di incontro.
Forse il viaggio della
nostra vita, reale o immaginario, purché in corretta compagnia.
Il tutto non può
prescindere dall’amore, anch’esso da mettere in comune, amore per una donna,
per un uomo, per qualsiasi entità capace di dare una risposta e chiudere il
loop. O forse il solo sapere donare, senza chiedere niente in cambio, è un modello perfetto a cui ispirarsi.
Ritorno alla musica,
una trama scritta apposta per “Stelle
grigie”.
Abbandona per un
attimo l’avanguardia, la sperimentazione, l’elettronica, Luca.
Inventa qualcosa che
possa diventare il sottofondo dei tuoi personaggi, dall’operaio demotivato all’impiegato
frustrato, dall’amante ferita al tassista vissuto.
Ma inventa soprattutto
la colonna sonora dell’infelicità diffusa di cui racconti.
Per me è chiara la scelta, solo un lungo e sofferto blues può esprimere
certi sentimenti: “no pain no blues…”. E assieme al grido di dolore
nascerà anche la speranza che solo quella musica è capace di contenere,
una visione che tende ad allontanarsi dal grigiore a cui accennavo, verso la
ricerca di colori più decisi e positivi, gradazioni che hanno a che fare con la
certezza che prima o poi qualcosa accadrà. E noi sapremo cogliere l’attimo.
“E dopo un viaggio lungo una vita, muovendo sempre nella
stessa direzione, si ritrovò al punto di partenza, con occhi nuovi per vedere,
e finalmente la sua sete si placò: la meta era raggiunta, finalmente a casa...".
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