Avevo la ferma intenzione di recensire - parola grossa! - “Ufficio di scollocamento”,
di Simone
Perotti e Paolo Ermani.
Mentre Simone scriveva una dedica sul libro appena
acquistato, gli anticipavo le mie intenzioni: “Lo leggo e butto giù qualcosa”… una promessa? Una minaccia?
Sarebbe certamente più utile se le parole uscissero copiose e obiettive, e venissero
pubblicate dal quel famoso giornalista da lui citato, censore volontario per
“esigenze politiche”. Ma il mosaico si completa con tanti minuscoli frammenti,
e alla fine anche il mio pensiero potrà forse rappresentare un piccolo contributo alla
diffusione di questo saggio atipico.
Purtroppo sono esageratamente coinvolto da situazioni
personali, e risulterà alla fine impossibile il restare entro i confini che
normalmente si dovrebbero rispettare in queste occasioni.
Parto quindi dalla genesi di questa mia conoscenza per
esaltare il positivo derivante dalla tecnologia avanzata, fatto doveroso perché
senza di essa non avrei probabilmente mai conosciuto “Ufficio di scollocamento” e uno dei suoi autori.
E’ un mercoledì sera quando nella posta
elettronica trovo l'usuale comunicazione della Libreria Ubik, foriera di novità e di futuri incontri.
Il titolo del book mi colpisce immediatamente e le note di
accompagnamento sono talmente efficaci che d’istinto cerco “Simone Perotti” su facebook e lo trovo.
Scrivo d’istinto un piccolo messaggio e dopo un’ora trovo una risposta, e mi
convinco che il giorno dopo, alle 18, devo ascoltare cosa lui ha da dire, nella
mia città, Savona.
Arrivo con un po’ di anticipo e lo vedo girare nelle vie
circostanti, lo chiamo e pare si ricordi di me; qualche parola e prendiamo
posto nella saletta dove il libro verrà presentato.
Prima di proseguire nel racconto della giornata devo evidenziare
che mai mi era capitato di trovarmi nella situazione in cui l’esposizione e
l’interazione avessero una tendenza verso l’infinito; se l’incontro fosse stato
programmato in un’ora più favorevole - ma le 18 sono perfette per la maggior
parte dei casi- tre ore non sarebbero bastate, tenuto conto che una l’avrei
portata via io. Vedremo qualche dettaglio in più a seguire.
“Scollocarsi” non è
un gioco di parole, ma è esattamente il contrario di ”collocarsi”, e sta a
significare, in soldoni, smettere di lavorare e cominciare a vivere. Detto così
suona come utopistico, anarchico, superficiale, riassunto populistico di un
comune malessere che trova facili consensi.
E per “scollocarsi” nascono reali “uffici di scollocamento”,
sparsi in tutta Italia, e gestiti con professionalità, con l’intento di aiutare
a cambiare vita.
Non posso proseguire senza sottolineare che non ho avvertito
nessuna posizione politica specifica. E’ questo un libro politico, e far
riflettere sulla necessità di lasciare il mondo del lavoro significa
assolutamente fare politica, ma non saprei attribuire a Perotti nessuno dei colori
che siamo soliti dare, seguendo categorie ben conosciute e rassicuranti.
Aggrapparsi alla situazione sociale attuale, immaginando di
essere buoni manager, e ipotizzando
quindi la realtà, fatta di disastrosi scenari futuri, porta con facilità a
condividere il pensiero contenuto nel libro.
La nostra società non funziona… non funziona più, e qualcuno
avrebbe dovuto spingerci a pensare per tempo che non si può crescere
all’infinito e che il momento della saturazione non era cosa che riguardava
altri. Sarebbe lungo, ma facile, fare ora un elenco delle cose che abbiamo
assorbito, accumulato, e ritenuto indispensabili per uniformarci, incoscienti e
speranzosi che la cosa potesse durare per molto, almeno sino alla pensione,
momento tutt’altro che destinato al riposo, ma, al contrario, l’inizio della
vera vita.
E come è noto tutto quanto ci è ora negato da chi ha deciso
che l’asticella si è alzata e che vivremo molto più a lungo. Beh… riutilizzo la
parola “manager”, perché in uno dei miei innumerevoli corsi sulla comunicazione
mi è stato spiegato che “… il MANAGER ha
la capacità di prevedere scenari futuri e quella di pianificare le azioni atte
a guidare i cambiamenti”, e quindi i
grandi manager del momento sono al lavoro secondo l’assioma appena
citato, e ci aspetta un roseo percorso da settantenni.
Non credo che il problema sia ciò che sta accadendo ora, o
ciò che è avvenuto venti… trenta anni fa, con differenti “conduttori” al potere.
Mi sono guardato attorno, ho posato un occhio sull’azienda in cui lavoro, assumendola come significativa e rappresentativa di qualcosa
di più generale, e ho pensato alle
persone che la popolano, tutti, senza esclusione alcuna: operai, impiegati,
quadri, dirigenti… nessuno, nessuno, nessuno, ha scelto il mestiere che
esercita… tutto è stato casuale, fortuito, necessario per la sopravvivenza, per
la formazione di quel microcosmo familiare che potesse ricreare il modello
sociale che altri hanno disegnato per noi, e che alla fine abbiamo ritenuto
fosse l’unico possibile, e degno della medaglia dopo i venticinque anni di
lavoro, per non parlare dell’orologio d’oro dei trentacinque, a un passo dalla
pensione. In realtà è un mondo di infelici, dove far passare la giornata è un
enorme peso psicologico, oltre che, in molti casi, fisico. Un mondo di lavativi
e fannulloni? Ingrati? Superficiali?
Simone Perotti (non ho idea dell’età di Paolo Ermani) ha
capito precocemente ciò che prima o poi tutti riescono a capire, con il
raggiungimento di una certa età, ma credo che certi sentimenti siano più forti
in chi ha avuto buone opportunità di carriera, in chi godeva nel raccontare le
sue dodici ore di lavoro medie, in chi si crogiolava nel raccontare che aveva
dovuto trascurare la famiglia e i propri piaceri, in chi ha avuto una sana
ambizione che magari lo ha condotto ad immedesimarsi con chi era la causa del
suo enorme impegno, arrivando persino ad acquistare l’auto privata uguale, per
colore e tipologia, a quella aziendale!
E arriva il giorno della verità, e tutto crolla, perché si
realizza che il tempo a disposizione è limitatissimo e non si può più perdere
un attimo e occorre pensare a vivere realmente, a dedicarsi a se stessi e ai
propri cari, a osservare ciò che ci circonda, ad apprezzare le piccole cose, a
imparare tutto ciò che prima non interessava o si pensava non potesse
interessare, ad oziare.
I manager- sempre loro- che ci spiegano che avremo tempo per
tutto questo perché vivremo a lungo, sono purtroppo poco credibili, e tutti i
buoni proposti appena elencati riempiranno il libro dei sogni.
Ma il cambiare vita, secondo gli autori, diventerà una
necessità, perché i presupposti su cui si è basato sino ad oggi il nostro
benessere sono destinati a cadere.
Il libro di cui sto scrivendo propone cose concrete, e la
nascita dei primi “uffici” ne è la prova.
La scelta di rinunciare a quella che è considerata
tradizionalmente “la sicurezza di un futuro sereno”, è quella fatta da Perotti,
che dopo venti anni di lavoro nel settore della comunicazione, con stipendio
invidiabile e prospettive luminose -secondo canoni conosciuti- ha deciso di
vivere in modo alternativo.
Casa decentrata e posta a contatto con la natura,
autoproduzione di ciò che necessita (energia, cibo e prodotti della terra), antica
pratica dello scambio, lavoro stagionale nel campo da lui conosciuto, quello
della navigazione, riduzione massima di esigenze e costi, fabbisogno mensile
ridotto al minimo consentito.
Gli uffici di “scollocamento” hanno quindi il compito di
guidare il cambiamento e formare e supportare chi decide almeno di provare,
seguendo il proprio istinto.
Il fenomeno non è certo nuovo ed esistono comunità fuori dai
nostri confini che sono decisamente collaudate, così come non mancano gli
esempi di chi ha estremizzato il concetto ed ha rinunciato completamente al
denaro, per non parlare di chi, già nel secolo scorso, teorizzava la necessità
di vivere secondo determinati canoni più a misura d’uomo.
La discussione nel corso della presentazione è stata davvero
coinvolgente e ha stimolato domande di un certo spessore. Ma il fatto
sorprendente e che l’incontro è “cresciuto” col passare dei minuti sino al
punto massimo, registrato quando una donna presente si è consegnata nelle mani
di Simone Perotti, chiedendo conforto per le proprie coraggiose scelte - come
quella di aver optato volontariamente per il part time- e operando una sorta di
confessione che ha dato la sensazione di una liberazione terapeutica.
Ciò che sto trattando con una buona dose di cosciente e
ricercata superficialità, e cioè i dettagli dell’opera, dovranno essere
scoperti, step by step, nel corso della lettura.
Personalmente sono rimasto entusiasta dai principi e ritengo
che ciò che gli autori hanno illustrato debba costituire uno stimolo alla
riflessione; tra il bianco e il nero ci sono una vasta gamma di tonalità che
rappresentano la posizione che ognuno di noi può assumere, magari modificandola
col passare del tempo. L’importante è prendere coscienza che è finito il mondo
che abbiamo ingenuamente creduto fosse l’unico possibile e che la “crescita
continua” era un’illusione e, con un po’ di attenzione in più, lo avremmo
potuto capire da tempo. Questa consapevolezza può portarci almeno a qualche
piccola variazione nello stile di vita che, se passata ai nostri figli, può
essere l’origine del vero cambiamento culturale.
Avrei potuto essere al posto di Perotti o meglio, assieme a
lui, alla Ubik, e sarei stato in grado di parlare per ore, per giorni, forse,
dando spunti per confermare le parole dello scrittore. Lo farò in altro modo,
iniziando dal diffondere questo mio scritto.
In tutto quanto sentito e letto ho però trovato qualcosa che
rende difficile l’applicazione in determinati casi, nonostante la convinzione
di operare scelte coraggiose.
Colgo poche parole tratte dal libro: “ Lo scollocamento è una scelta dell’individuo…”. L’impressione che
ho avuto è che, se da un lato capire e agire può essere fatto estremamente
rapido, dall’altro diventano proibitive le scelte collettive, laddove i
componenti di una famiglia, fatta di uomini e donne inseriti in contesti
conosciuti, possono non condividere o non percepire il bisogno di cambio di
rotta, così come la tranquillità economica può essere necessaria in alcuni
momenti fondamentali, come ad esempio il completamento di un ciclo di studio.
Simone Perotti potrà darmi qualche delucidazione
supplementare, ma credo che lui e Paolo
Ermani abbiano centrato almeno parte dell’obiettivo, consapevoli che i cambiamenti
culturali richiedono del tempo, e che il loro libro è un concentrato di stimoli
che vanno nella giusta direzione.
Da qualche parte occorre iniziare, senza pensare di scalare
in un sol giorno una montagna, e una piccola e inusuale azione, prolungata nel
tempo, può fornire il coraggio necessario ad un passo successivo. “Ufficio di
scollocamento” mi ha dato la spinta per attuare una prima piccola,
significativa modifica… e altre seguiranno, in quello che poteva essere lo
speranzoso sottotitolo del libro…”effetto domino”.
“Ufficio di scollocamento” , di Simone
Perotti e Paolo Ermani
Editore Chiarelettere
INFO DALLA RETE
Simone Perotti (www.simoneperotti.com)
dopo quasi vent’anni di lavoro nel settore della comunicazione ha lasciato
tutto e oggi si dedica a scrivere e navigare. È autore del primo libro che ha
portato in Italia il fenomeno del DOWNSHIFTING (scalare marcia, rallentare),
ADESSO BASTA (Chiarelettere 2009, 11 edizioni). Con Chiarelettere ha pubblicato
anche AVANTI TUTTA (2011).
Paolo Ermani (www.pensarecomelemontagne.it),
presidente dell’associazione Paea (Progetti alternativi per l’energia e
l’ambiente), da oltre due decenni lavora sui temi energetici, ambientali e
degli stili di vita. Ha pubblicato, con Valerio Pignatta, PENSARE COME LE
MONTAGNE (Ed.Terra Nuova 2011). È tra gli ideatori del quotidiano on line “Il
Cambiamento”.