Un incontro casuale in una libreria, savonese, mi ha condotto
sulla strada di una scrittrice, genovese, che proponeva l’ultimo risultato
della sua passione attraverso una delle tante pubblicizzazioni possibili, il “firmacopie”.
In realtà il primo contatto è avvenuto con mia moglie, mentre
io girovagavo tra i book nel reparto “narrativa musicale” alla ricerca, vana,
di qualcosa di cui sono autore.
Dopo una breve conoscenza - e la scoperta di amicizie comuni - arriva l’acquisto, sulla fiducia, dovuta anche all’effetto “induzione”, ovvero… se conosce Sarah Cogni e ne condivide sentieri e idee, sarà sicuramente brava!
Lei è Paola Zagarella,
e da quanto si evince dalle note ufficiali esordisce con una pubblicazione del 2020
(“Storie di una donna di oggi”), per poi proseguire l’attività sino ad
arrivare all’oggi, rappresentato dal nuovo libro “Villa Ponente”.
Mi allargo e immagino scenari, magari sbagliando, ma ci
provo.
Paola mi appare membro di un club nutritissimo, quello di chi
trova forza, coraggio, magari solo l’occasione, di realizzare nel corso della
maturità ciò avrebbe potuto essere il percorso della vita.
Accade in tutti i settori, dalla musica alla pittura, in ogni
rappresentazione dell’arte e della creatività, e basterà lasciar scorrere poche
pagine del book per catturare le grandi qualità dell’autrice.
Sono abituato al commento di situazioni musicali e oggi invado un campo che non mi appartiene, e quindi il mio pensiero è quello del comune lettore, che sente il bisogno di dire la sua alla fine di una lettura gratificante.
L’ambientazione in cui si snodano le vicende della famiglia
Ponente mi è nota, un paese decentrato rispetto alla città, come ce ne sono
tanti in Liguria, luogo perfetto per la narrazione di una saga familiare che si
concentra sulla vita e sulle azioni di una famiglia, seguendone le
vicissitudini di generazione in generazione e raccontando il modo in cui i suoi
membri sono legati gli uni agli altri da scelte, tradizioni e destini personali.
In uno spazio temporale tutto sommato contenuto si dipanano le vite di un nucleo di anime benestanti, invidiate, chiacchierate, giudicate, osservate senza neanche troppa discrezione.
Una stirpe che nasce dall’intuito e dalle capacità di una
persona, il capostipite da cui si diramano le naturali derivazioni, il
generatore di nobiltà e ricchezza, il giovin Carlo, da cui tutto nasce e
prolifica, attraverso l’opera degli eredi.
Un’azienda che funziona, una villa vicino al mare, un piacere
nel rimarcare le diversità di ceto e di possibilità.
All’interno del nucleo famigliare si snodano vicende tipiche
del patriarcato, ma il focus è rappresentato dai tanti aspetti relazionali, uno
su tutti il rapporto tra le due sorelle Carla e Aurelia, lontane anni luce per
quanto riguarda la visione del mondo, ma legate da qualcosa di profondo che emerge
con lo scorrere delle pagine.
Ma se il rapporto tra sorelle riporta a differenze naturali - spesso incomprensibili - tra persone coeve, quello esistente tra figlie e genitore è altrettanto complesso, ed evidenzia egoismi e pretese che, almeno all’apparenza, nulla hanno a che fare con l’amore, e mentre la pellicola scorre e gli anni passano rapidamente, le vicende presentano una drammaticità coinvolgente, e appare complicato non trovare connessioni con situazioni vissute personalmente.
Le scelte condizionano il futuro, come nel caso di Carla e Lia, e quando manca la forza di ribellarsi a ciò che altri hanno stabilito per noi, quando non è chiaro dove sia il giusto e il meno appropriato, quando una personalità importante sovrasta chi possiede meno forza morale, la nebbia si fa spessa, e l’idea che basterà solo aspettare affinché il cielo possa tornare limpido appare pura utopia.
La progressione temporale che descrive lo scorrere della vita di Lia induce profonda tristezza nel lettore, che intravede nella protagonista principale l’ovvia infelicità unita all’incapacità reattiva esasperata, mentre sullo sfondo emergono i tipici profumi della Liguria al passaggio delle stagioni.
Inaspettato l’epilogo, ma non mi spingo oltre per ovvi motivi.
Ho letto “Villa Ponente” tutto d’un fiato.
Trovo che il modello narrativo proprio di Paola Zagarella sia
molto efficace, capace di mettere al centro messaggi universali conditi dalla
piacevolezza del racconto e dei dettagli, ed è quindi un libro molto “trasversale”
che consiglio a chiunque possegga un po’ di sensibilità e virtuosismo.
Chiudo con la dedica iniziale dell’autrice, una frase che
faccio mia per sempre…
A chi non c’è più… e alle loro foto
sui comodini.
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