Quando pensi agli anni '60 e al folk-rock, non puoi non
pensare a lui e al suo amico di una vita, Paul Simon. Insieme formavano i
leggendari Simon & Garfunkel. Paul Simon scriveva canzoni
incredibili, ma la magia vera veniva fuori quando Art apriva bocca.
Art Garfunkel ha una voce... beh, è difficile da descrivere.
È così pura, alta e cristallina che ti sembra di sentire un angelo che canta. È
la sua voce che senti su capolavori che tutti conosciamo, come The Sound of Silence (il silenzio non è mai stato così bello!), Mrs. Robinson e,
ovviamente, Bridge Over Troubled Water, dove la sua performance vocale è
semplicemente da brividi.
Nonostante il duo abbia avuto le sue belle liti e si sia
separato più volte, l'impronta che hanno lasciato nella musica è eterna. Dopo
la rottura, Garfunkel ha fatto anche cose da solista ed è persino finito al
cinema, dimostrando che sapeva fare anche l'attore.
Insomma, oggi alziamo un bicchiere (o mettiamo su un vinile)
in onore di Art Garfunkel: l'uomo che, con la sua voce, ha trasformato la
musica popolare in poesia.
Il 4 novembre, data incisa nel calendario italiano per
l'Armistizio e la Giornata dell'Unità Nazionale, ha un significato in più per
la musica, in quanto si ricorda la nascita di Vittorio
De Scalzi(Genova, 4 novembre
1949 – 24 luglio 2022), un uomo che ha incrociato la sua vita con la Storia,
nascendo in un giorno solenne e destinando la sua arte a unire mondi
apparentemente distanti: il rigore della musica classica e la libertà selvaggia
del rock.
Vittorio De Scalzi non è più con noi fisicamente, ma l'eco
delle sue melodie risuona oggi più potente che mai, quasi a voler marcare il
tempo, come un inconfondibile rintocco genovese.
Nel 1971, il progetto del Concerto Grosso per iNew
Trolls segnò una svolta: un audace esperimento di fusione tra barocco e rock,
ideato dal compositore Luis Bacalov e sostenuto dal produttore Sergio Bardotti.
Fu nei New Trolls che questa visione trovò la sua voce, e in Vittorio De Scalzi
uno dei suoi interpreti più ispirati. Polistrumentista sensibile e curioso,
seppe accogliere la sfida: far dialogare il flauto con il fuzz, la fuga con
l’improvvisazione, l’orchestra con la band. Non fu solo esecuzione, ma adesione
profonda a un’idea di musica che potesse essere colta e popolare, rigorosa e
libera. Il Concerto Grosso fu il frutto di questa alchimia, dove nessuno
fu artefice unico, ma tutti furono necessari.
Nato nella città dei cantautori e dei poeti maledetti, il suo
percorso fu segnato fin dall'inizio da legami sacri. L'album d'esordio, Senza orario senza bandiera, vide la penna di Riccardo Mannerini e il filtro di
Fabrizio De André, una triade che scolpì nel rock versi di protesta e di
malinconia ligure. Vittorio era il musicista che dava ali a queste parole, che
trasformava la poesia in una nota lunga e vibrante.
Ascoltare oggi la sua voce, roca eppure avvolgente in brani
come Quella carezza della sera, è come sfogliare un diario sentimentale
che appartiene a tutti. È la carezza che cerca e la ricerca che non si arrende
mai.
Vittorio ha sempre guardato oltre. In un mondo musicale
spesso effimero, lui cercava l'essenza, il profumo della sua terra (celebrato
in dialetto genovese nell'album Mandilli), l'eternità dei grandi
maestri. E quando, nel luglio del 2022, la sua famiglia ha annunciato il suo
addio, l'ha fatto con parole degne di un finale sinfonico: "Ha
raggiunto la sua Aldebaran".
Aldebaran, la stella rossa più luminosa del Toro, dà il
titolo al settimo album in studio dei New Trolls, ed è diventata, nella
narrazione della sua vita, la meta finale del suo viaggio interiore.
Brindiamo alla sua memoria non con silenziosa reverenza, ma
con il volume alto, perché l'opera di Vittorio De Scalzi è un invito a credere
nella bellezza che nasce dall'unione degli opposti.
Recensione di un viaggio poetico tra memoria, emozione e resistenza al tempo
C’è una domanda che attraversa silenziosamente ogni pagina di
Sospese nel tempo, la nuova raccolta poetica di Fulvia Diotti: che speranza di vita ha
un’emozione? La risposta non è mai diretta, ma si svela nei versi, nei
silenzi, nei ritorni della memoria che l’autrice intreccia con delicatezza e
determinazione.
Diviso in tre sezioni — Passioni nel tempo dissolte, Il
tempo non esiste, Senza fine — il libro si muove lungo un asse
temporale che non è mai lineare. Il tempo, infatti, è il grande antagonista e
al tempo stesso il complice di queste poesie: viene sfidato, negato, evocato,
ma mai subito. Fulvia Diotti lo attraversa con la forza della parola,
restituendogli forma attraverso immagini che oscillano tra il quotidiano e il
mitico, tra l’intimo e l’universale.
I testi sono densi di riferimenti culturali e letterari — da
Dante a García Lorca, da Woodstock al mito greco — ma non cedono mai alla
citazione fine a sé stessa. Ogni richiamo è funzionale a un’emozione, a un nodo
da sciogliere, a un ricordo da salvare. Così Beatrice e Dante nel XXI secolo
diventa una riflessione sull’amore oltre il tempo e lo spazio, mentre Granada
1979 è un omaggio vibrante alla poesia e alla passione andalusa.
La scrittura di Diotti è visiva, sensoriale, spesso
sinestetica. Le parole si fanno materia, odore, suono. In Si vedeva il mare…
il paesaggio diventa rifugio e metafora di libertà, mentre in Le parole del
vento il linguaggio stesso si trasforma in foglia, respiro, sogno. Non
mancano momenti di disincanto, come in Amore stanco o Atque autumno
carpere tempus, dove l’amore si confronta con la decadenza e la perdita, ma
sempre con uno sguardo che cerca la bellezza anche nella fragilità.
Il titolo della raccolta è emblematico: queste poesie sono
davvero “sospese nel tempo”, ma non inerti. Sono sospese come lo è una nota
musicale che vibra ancora nell’aria, come un ricordo che non vuole svanire,
come un’emozione che resiste all’oblio. E proprio questa resistenza — dolce,
ostinata, poetica — è il cuore pulsante del libro.
Fulvia Diotti nasce in una piccola città della provincia di
Savona, da genitori originari delle Langhe astigiane. Vive e lavora in Liguria,
dove ha costruito un percorso professionale e umano ricco e sfaccettato.
Laureata in Filosofia a Genova e in Psicologia a Roma, ha operato sia nel campo
formativo che clinico, ma è nella scrittura che ha trovato il suo rifugio
creativo. Dopo anni di attività poetica, ha pubblicato in raccolte collettive e
tre volumi personali: Microcosmo del Macrocosmo, Incipit – parole
miti emozioni, Erotica – la finestra sui ricordi. Sospese nel
tempo è il suo lavoro più maturo e articolato, dove la parola si fa ponte
tra vissuto e visione.
Un’opera che invita a rallentare, a sostare, a sentire. Un
invito prezioso, oggi più che mai.
Ai Watanabe incanta Savona: un
ritorno a Stella Maris tra virtuosismo e poesia
Giovedì 30 ottobre 2025, alle ore 17.30, la Sala
Stella Maris di Savona ha accolto nuovamente la pianista giapponese Ai Watanabe, protagonista di un recital che ha
saputo fondere raffinatezza tecnica e profondo trasporto emotivo. Il pubblico,
foltissimo nonostante il tempo impervio, ha riempito la sala con un silenzio
carico di attesa e rispetto, contribuendo a un’atmosfera aulica che ha reso
l’evento memorabile.
Il concerto, della durata di circa 60 minuti, ha
previsto una breve interruzione tra la prima e la seconda parte e si è concluso
con un piccolo bis. La scaletta ha offerto un viaggio musicale tra
impressionismo, romanticismo, modernismo e jazz, con il seguente ordine:
1.Maurice
Ravel (1875–1937) – Miroirs
oI. Noctuelles
oII. Oiseaux tristes
oIII. Une barque sur l’océan
oIV. Alborada del gracioso
oV. La vallée des Cloches
2.Sergej
Prokofiev (1891–1953) – da Romeo e Giulietta Op.75
o“Mercuzio”
3.Federico
Mompou (1893–1987) – da Canción y Danza n.6
4.Isaac
Albéniz (1860–1909) – Tango
5.Sergej
Prokofiev – da Romeo e Giulietta Op.75
o“Montecchi e Capuleti”
6.Alberto
Ginastera (1916–1983) – da Danzas Argentinas Op.2
o“Danza de la moza donosa”
7.George
Gershwin (1898–1937) – da Song Book
o“The Man I Love”
8.Earl
Wild (1915–2010) – Studio n.6 su “I Got Rhythm” di Gershwin
9.Alberto
Ginastera – da Danzas Argentinas Op.2
o“Danza del gaucho matrero”
L’interpretazione Ai Watanabe ha incantato con una padronanza
tecnica cristallina e una sensibilità interpretativa fuori dal comune. Il suo
tocco ha saputo restituire le sfumature più intime di Ravel, la teatralità di
Prokofiev, la malinconia di Mompou e l’energia ritmica di Ginastera. Il
passaggio da Gershwin a Wild ha mostrato la sua versatilità nel jazz, mentre il
bis finale - ancora “The man I love” - ha suggellato un’esibizione intensa e
generosa.
Già protagonista in passato alla Stella Maris, Watanabe ha
confermato il suo legame con Savona, accolta da un pubblico caloroso e attento.
Il suo ritorno ha avuto il sapore di un abbraccio musicale, in cui ogni nota ha
parlato direttamente al cuore degli ascoltatori.
In conclusione,
un concerto che ha unito eleganza e passione, lasciando il pubblico rapito e
riconoscente. Ai Watanabe ha dimostrato ancora una volta di essere una pianista
capace di trasformare la sala in un luogo sospeso, dove la musica diventa
esperienza viva e condivisa.
NOTE BIOGRAFICHE
Ai Watanabe è una pianista giapponese con formazione internazionale. Ha
studiato presso la Scuola Superiore e l’Università di Musica “Toho” di Tokyo,
dove ha seguito il corso di diploma solistico sotto la guida di Etsko Tazaki.
Nel 2009 ha vinto il Premio Via Vittoria, che le ha aperto le porte del Conservatorio
Santa Cecilia di Roma per il perfezionamento. Ha poi conseguito il Master di II
livello in pianoforte presso il Conservatorio G. Verdi di Milano, studiando con
Giovanni Bellucci.
Il suo repertorio spazia da Scarlatti a Ligeti, con
particolare attenzione alla musica del Novecento e alla letteratura pianistica
cameristica. Ha interpretato opere come i quartetti di Brahms, il Quintetto di
Schumann e la Sonata per due pianoforti e percussioni di Bartók. Attiva in
Italia come concertista e docente, vanta oltre vent’anni di esperienza
didattica.