Settembre 2008
A Roberto.
Partecipare a
un’onoranza funebre è un fatto tanto comune quanto sgradevole.
Forse “sgradevole”
potrebbe essere sostituito da aggettivi differenti, ma l’evento non sarà mai
associato a un ricordo positivo. I nostri “luoghi di pace”, quelli italiani
intendo, non aiutano a vivere con serenità un momento che spesso significa “fine
del dolore”, magari dopo una lunga malattia. Altra cosa in America, dove ho
potuto valutare con i miei occhi come il verde assoluto, l’ordine, l’uguaglianza e la semplicità dei sepolcri,
non mettono addosso l’ansia che si prova nei nostri cimiteri.
Ripensando
all’esperienze personali posso dire che tutte le cerimonie funebri a cui ho
partecipato mi hanno provocato dolore variabile, in funzione del grado di
parentela o meglio, del grado di affetto, e ogni volta ho cercato di
ripercorrere con la mente i momenti che
mi legavano alla persona che veniva ricordata in quel contesto.
La logica delle
cose fa si che ci si abitui all’idea che prima
o poi possa mancare un genitore o comunque esseri più grandi di noi e in
questo senso credo di aver pagato quasi per intero il tributo. Ma anche un
funerale può trasformarsi in un momento
di riflessione che non è solo di carattere religioso, ma l’osservazione attenta
di quel particolare spazio temporale, in quel preciso contesto, può diventare
la valutazione di una o più vite.
E’ quello che mi è
capitato ieri in quello che è stato “l’evento conclusivo” più “importante” a
cui abbia mai partecipato. L’aggettivo
“importante” è utilizzato soltanto per evidenziare il livello dei partecipanti e
non per stabilire una “graduatoria di merito”, dal momento che è palese che
nell’atto finale tutte le differenze si annullano. Non so cosa accade dopo.
Non farò nomi e
tanto meno cognomi, anche se mi piacerebbe rendere omaggio a un uomo che avevo
avuto la fortuna di conoscere molti anni fa, in ambito lavorativo, e di cui
avevo grande stima.
Era diventato
davvero importante, quasi
irraggiungibile ma, pur nella rigidità che il ruolo richiedeva, aveva
mantenuto la voglia e la capacità di
privilegiare il contatto umano, elemento di cui spesso si
sente il bisogno, e quando lo si nominava difficilmente uscivano sguardi e
parole fuori misura. Quanti episodi potrei raccontare!
Se ne è andato
giovanissimo, forse appena arrivato alla pensione, ma il suo stato precario di
salute non era di pubblico dominio.
In quella piazza ho
trovato gente conosciuta direttamente e persone decisamente irraggiungibili,
alcune delle quali arrivate in modo organizzato, con un bus dedicato.
In quella
grande piazza c’era tutta la capacità di
un uomo di raccogliere consensi da tutte le direzioni possibili.
Ho visto tornare il
passato antico rappresentato dalle persone che lo avevano conosciuto agli inizi
della sua storia lavorativa, ho visto il passato più recente rappresentato da
tanti collaboratori di diverse nazionalità, ho visto il presente e anche il
futuro… perché una parte di mondo andrà avanti con gli stessi protagonisti. E
poi i familiari, e il contatto tra loro e i conoscenti più intimi.
Forse qualcuno era
presente per obbligo, come accade in tutte le circostanze simili, ma credo che
la maggior parte delle anime fosse
spinta dai miei stessi sentimenti, e cioè desiderasse essere presente nell’atto
conclusivo, per un ultimo doveroso
omaggio.
E’ un mondo dove niente
avviene per caso, e anche il sedersi su di una panca, in una determinata
posizione, può avere un significato.
Tutto nella norma. Ma
la mia riflessione principale, non supportata da un’approfondita conoscenza di
tutti i presenti e quindi basata su istinto e opinioni, è che in quella chiesa
ci fossero solo parenti e figure legate al mondo del lavoro.
Gli ingranaggi che
regolano i movimenti della nostra quotidianità stritolano le leggi del buon senso
e tengono a far risultare l’uomo segregato all’interno di un sistema che tutto
macina, restituendo solo scarti.
Non c’è niente di
politico in questo mio pensiero, ma la consapevolezza che la vita dura un
attimo e non è nemmeno un attimo felice, non tutto almeno. Parlo per esperienza
personale.
In una dimensione
infinitamente più piccola, sono passato anche io nel sentiero del “… senza di me il mondo non può andare avanti…”, salvo poi capire che il mondo
corretto non è quello che mi impedisce di passare il giusto tempo con i miei
cari, non é quello che annienta i miei interessi personali.
Ma è solo un punto
di vista, peraltro diverso da quello che avevo anni fa, e sicuramente
condizionato da fattori diversi e mutevole da persona a persona.
Il risultato è che
tutti finiamo nello stesso posto, allo stesso modo, più o meno giustamente.
La consapevolezza
di questa situazione non impedisce noi poveri mortali di proseguire con le
nostre scelte sbagliate, e solo fatti estremi possono farci cambiare direzione,
come fumatori incalliti che trovano la forza di smettere solo dopo un infarto.
Discorsi retorici,
luoghi comuni, leggende metropolitane, storie popolari… tutto vero, ma se
potessi disegnare adesso il mio mondo
ideale, la mia giornata ideale, il mio tempo ideale, inventerei un contenitore
capace di miscelare in maniera equa gli interessi, i doveri, i piaceri, i
diritti, le fatiche, i riposi e non permetterei a nessuno… a nessuno… di impormi
quale degli ingredienti debba essere il più importante.
Che sia questa la
saggezza legata alla maturità?
Quella piazza, quel
momento, quell’uomo, resteranno per sempre con me.
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