West Virginia

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Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

giovedì 20 marzo 2014

Riflessioni ... finali


Settembre 2008

A Roberto.

Partecipare a un’onoranza funebre è un fatto tanto comune quanto sgradevole.
Forse “sgradevole” potrebbe essere sostituito da aggettivi differenti, ma l’evento non sarà mai associato a un ricordo positivo. I nostri “luoghi di pace”, quelli italiani intendo, non aiutano a vivere con serenità un momento che spesso significa “fine del dolore”, magari dopo una lunga malattia. Altra cosa in America, dove ho potuto valutare con i miei occhi come il verde assoluto, l’ordine,  l’uguaglianza e la semplicità dei sepolcri, non mettono addosso l’ansia che si prova nei nostri cimiteri.
Ripensando all’esperienze personali posso dire che tutte le cerimonie funebri a cui ho partecipato mi hanno provocato dolore variabile, in funzione del grado di parentela o meglio, del grado di affetto, e ogni volta ho cercato di ripercorrere con la mente i momenti  che mi legavano alla persona che veniva ricordata in quel contesto.
La logica delle cose fa si che ci si abitui all’idea che prima  o poi possa mancare un genitore o comunque esseri più grandi di noi e in questo senso credo di aver pagato quasi per intero il tributo. Ma anche un funerale può trasformarsi in un  momento di riflessione che non è solo di carattere religioso, ma l’osservazione attenta di quel particolare spazio temporale, in quel preciso contesto, può diventare la  valutazione di una o più vite.
E’ quello che mi è capitato ieri in quello che è stato “l’evento conclusivo” più “importante” a cui abbia mai  partecipato. L’aggettivo “importante” è utilizzato soltanto per evidenziare il livello dei partecipanti e non per stabilire una “graduatoria di merito”, dal momento che è palese che nell’atto finale tutte le differenze si annullano. Non so cosa accade dopo.
Non farò nomi e tanto meno cognomi, anche se mi piacerebbe rendere omaggio a un uomo che avevo avuto la fortuna di conoscere molti anni fa, in ambito lavorativo, e di cui avevo grande stima.
Era diventato davvero importante, quasi  irraggiungibile ma, pur nella rigidità che il ruolo richiedeva, aveva mantenuto la voglia e la capacità  di privilegiare  il  contatto umano, elemento di cui spesso si sente il bisogno, e quando lo si nominava difficilmente uscivano sguardi e parole fuori misura. Quanti episodi potrei raccontare!
Se ne è andato giovanissimo, forse appena arrivato alla pensione, ma il suo stato precario di salute non era di pubblico dominio.
In quella piazza ho trovato gente conosciuta direttamente e persone decisamente irraggiungibili, alcune delle quali arrivate in modo organizzato, con un bus dedicato.
In quella grande  piazza c’era tutta la capacità di un uomo di raccogliere consensi da tutte le direzioni possibili.
Ho visto tornare il passato antico rappresentato dalle persone che lo avevano conosciuto agli inizi della sua storia lavorativa, ho visto il passato più recente rappresentato da tanti collaboratori di diverse nazionalità, ho visto il presente e anche il futuro… perché una parte di mondo andrà avanti con gli stessi protagonisti. E poi i familiari, e il contatto tra loro e i conoscenti più intimi.
Forse qualcuno era presente per obbligo, come accade in tutte le circostanze simili, ma credo che la maggior parte delle anime  fosse spinta dai miei stessi sentimenti, e cioè desiderasse essere presente nell’atto conclusivo, per un  ultimo doveroso omaggio.
E’ un mondo dove niente avviene per caso, e anche il sedersi su di una panca, in una determinata posizione, può avere un significato.
Tutto nella norma. Ma la mia riflessione principale, non supportata da un’approfondita conoscenza di tutti i presenti e quindi basata su istinto e opinioni, è che in quella chiesa ci fossero solo parenti e figure legate al mondo del lavoro.
Gli ingranaggi che regolano i movimenti della nostra quotidianità stritolano le leggi del buon senso e tengono a far risultare l’uomo segregato all’interno di un sistema che tutto macina, restituendo solo scarti.
Non c’è niente di politico in questo mio pensiero, ma la consapevolezza che la vita dura un attimo e non è nemmeno un attimo felice, non tutto almeno. Parlo per esperienza personale.
In una dimensione infinitamente più piccola, sono passato anche io nel sentiero del “… senza di me il mondo non può andare avanti…”, salvo poi capire che il mondo corretto non è quello che mi impedisce di passare il giusto tempo con i miei cari, non é quello che annienta i miei interessi personali.
Ma è solo un punto di vista, peraltro diverso da quello che avevo anni fa, e sicuramente condizionato da fattori diversi e mutevole da persona a persona.
Il risultato è che tutti finiamo nello stesso posto, allo stesso modo, più o meno giustamente.
La consapevolezza di questa situazione non impedisce noi poveri mortali di proseguire con le nostre scelte sbagliate, e solo fatti estremi possono farci cambiare direzione, come fumatori incalliti che trovano la forza di smettere solo dopo un infarto.
Discorsi retorici, luoghi comuni, leggende metropolitane, storie popolari… tutto vero, ma se potessi disegnare  adesso il mio mondo ideale, la mia giornata ideale, il mio tempo ideale, inventerei un contenitore capace di miscelare in maniera equa gli interessi, i doveri, i piaceri, i diritti, le fatiche, i riposi e non permetterei a nessuno… a nessuno… di impormi quale degli ingredienti debba essere il più importante.
Che sia questa la saggezza legata alla maturità?

Quella piazza, quel momento, quell’uomo, resteranno per sempre con me.

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