West Virginia

West Virginia
Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

martedì 1 aprile 2014

Rose e Lyseblå, di Cristina Mantisi

 


Rose e Lyseblå


Il vecchio marinaio giunse nel piccolo paese di Mefjordvær  in una fredda giornata di luglio. Il vento, teso e pungente, spingeva le onde oltre il molo, facendole allungare sulla piccola spiaggia bianca, al di sotto delle piccole case di legno, colorate, per lo più, di rosso. Solo la vecchia fabbrica del pesce, sulla palafitta che si spingeva parallela alla punta del porto, si staccava dalle case per il suo colore bianco. L’odore dei  merluzzi essiccati, appesi tutti in fila ai sostegni di legno, si mescolava al profumo salmastro dell’aria. L’uomo, di nome Johan Christian, posteggiò la sua vecchia roulotte, tirata da una macchina ancora più datata, nel piccolo slargo proprio all’inizio della passeggiata sul molo. Si sarebbe fermato lì finché ne avesse avuto voglia, fino a quando la sua instancabile irrequietudine di nomade senza pace non lo avesse spinto a cambiare zona. A quell’ora le strade erano deserte o quasi. I fari di un’auto si profilarono dalla curva in fondo alla via principale. Era una macchina familiare, di un colore come ormai non se ne vedevano più da anni. Il marinaio si consolò, guardando la sua. Non era il solo a girare con un pezzo d’”antikvitet”! Mentre preparava la lenza, caricando il rocchetto con del filo nuovo,  riguardò in direzione della macchina distrattamente, ma con un  quel poco di  attenzione da permettergli di notare che l’auto era stata fermata da  due bambine. “Saranno parenti venuti in visita”,  pensò tra sé. “Accidenti!”, inveì con gesto di rabbia: il venditore del negozio di Husöy  lo aveva imbrogliato e gli aveva rifilato un filo più sottile. Non avrebbe tirato su che sardine!  La macchina era sempre ferma. Si sarebbe potuto dire, anzi,  che stava cercando di spostarsi  per proseguire, ostacolata dalle due  bambine che continuavano a saltellarle intorno. “Beati i bambini  che han sempre voglia di giocare!”, pensò. Il mare era veramente brutto. Un’onda saltò tanto in alto da superare lo sbarramento dei grossi massi addossati al muraglione del molo. “Non fa niente”, pensò deciso, adocchiando un angolo più riparato,  “per ora proverò a pescare due pesci per la cena; semmai ci tornerò più tardi, se il vento si sarà calmato”. Generalmente dopo la mezzanotte il tempo cambiava decisamente, o in meglio o, anche, in peggio. Anche la punta all’imboccatura della baia avrebbe potuto essere un posto buono per pescare, a patto che il fondo non fosse stato pieno di alghe.  Una raffica di vento, più violenta delle altre, passando tra le due case vicine, soffiò forte come un ululato improvviso  facendolo trasalire. Si diede dello stupido: a lui il vento non aveva mai fatto paura, neppure quando usciva in barca spingendosi al largo. Allora sì che c’era da ridere. C’erano giornate in cui si ballava tanto  forte che, una volta tornati con i piedi per terra, si continuava a camminare come se si fosse ancora sulla gobba dell’onda.

Ecco, la canna era armata, la scatoletta degli ami e il secchio pronti. Avrebbe portato anche il retino. La macchina, intanto, sopraggiunse a velocità piuttosto forte superando di molto il limite dei trenta indicato dal cartello. Sgommando, nello slargo tra le case e la roulotte, eseguì un’ardita inversione di marcia con una sola manovra e, accelerando ulteriormente, ritornò sulla strada da dove era arrivata, sparendo, in un attimo, dietro la curva. L’uomo guardò le nuvole correre rapide, scure e accavallate le une sulle altre.
Correvano tanto veloci che Johan Christian si sentì sbandare, quasi fosse stato lui stesso un corpo in corsa nell’aria burrascosa. Avrebbe indossato  anche la cerata e gli stivaloni di gomma. Sulla strada, intanto,  era apparso un piccolo cane bianco che se ne andava tranquillamente a passeggio come se il resto del mondo non fosse esistito,  soffermandosi, ora vicino al muretto di un giardino, ora sotto un cespuglio o vicino a un palo. Non si curava del vento che gli arruffava il lungo pelo. L’uomo lo chiamò, ma il cane non lo degnò di uno sguardo. La lunga figura allampanata di un individuo gli passò vicino. Da dove era sbucato? Nessuno dei due salutò l’altro, ma quello sguardo gli trapassò l’anima.  Un brivido innaturale lo fece sussultare. Strano, neppure il vento lo aveva mai fatto rabbrividire in quel modo. Dicevano, al suo paese, quando era bambino, che quel brivido era  il diavolo, il freddo della morte che si avvicinava, travestendosi da viandante. Lo guardò allontanarsi lentamente. Come camminava piano! Chissà perché desiderò che accelerasse il passo e sparisse subito dalla sua vista.  Avrebbe aspettato un attimo, poi sarebbe andato a pescare. Si sorprese a chiedersi dove fossero finite le due bambine. Forse la mamma le aveva chiamate per la cena. Entrò nella sua roulotte per indossare un altro maglione, l’ultimo che gli aveva fatto la sua adorata moglie prima di andarsene all’altro mondo. Quanto gli mancava Charlotte! Se l’avesse ancora avuta vicino, non sarebbe diventato un orso solitario sempre alla ricerca di un posto in cui cercare  pace. Mai si sarebbe ridotto a girovagare come uno zingaro, mai… Accarezzò la morbida lana immaginandosi di toccare, con le sue, le mani di Charlotte. Forse, al culmine disperato dell’illusione, le sentì davvero quelle mani, filo dopo filo, in un intreccio di vecchi ricordi. Grosse lacrime gli scivolarono tra le rughe profonde del viso, seguendone il percorso come un ruscello percorre il suo alveo tortuoso. Dei pugni ripetuti e improvvisi alla porta della roulotte lo fecero trasalire. Quasi immediatamente altri due pugni ancora più forti e raccapriccianti. Si asciugò il viso con fare rabbioso e aprì la porta con violenza quasi a voler  cogliere di sorpresa gli autori di quel gesto così maleducato e irrispettoso. Sentì di odiarli ancor prima di averli visti: come  potevano permettersi di violare il suo dolce ricordo? Si sorprese nello scorgere le due bambine proprio lì, vicine alla sua roulotte. Le creature, dall’aspetto tanto innocente, vedendolo, cominciarono a ridere e a muovere un passo di danza come un girotondo infantile. L’uomo scrollò il capo, accennando un sorriso di rimprovero. Una delle due indossava una mantellina  e un berretto a larghe falde in tessuto cerato  color rosa come pure rosa erano gli stivaletti di gomma.  L’altra era tutta vestita di celeste. Entrambe bionde con grandi occhi azzurri. Erano molto graziose, pensò l’uomo, sarebbero sembrate due angeli se qualcosa in quello sguardo non lo avesse messo quasi a disagio. Ridendo vezzosamente risposero al suo saluto e corsero via saltellando e canticchiando un’antica  filastrocca. Quella filastrocca… l’aveva già sentita tanti anni addietro. Trafficò ancora in roulotte cercando un vecchio libro, l’unico libro di fiabe conservato. Dove era andato a finire? Era sicuro di averlo portato con sé. Rovistò nei contenitori sotto il divano, nei pensili, gettando fuori tutto ciò che gli venne tra le mani. Più cose ammassava sui piccoli divani, più sentiva crescere in lui un’ansia febbrile, da farlo star male. Doveva trovare quel libro, doveva leggere di nuovo quelle parole, doveva sapere chi erano le due bambine. Rammentava una storia che da piccolo gli faceva sempre tanta paura; ricordava le notti insonni mentre restava rannicchiato sotto la pesante coperta,  nascosto e fermo, vigile al minimo rumore, cercando quasi di non respirare  La mamma, però, non aveva mai saputo delle sue angosce, la sua voce era così tranquilla mentre  leggeva la sera, seduta vicino al suo letto. Johan Christian sapeva che, se fosse venuta al corrente delle sue paure, la mamma avrebbe smesso di leggergliele. Si guardò intorno: che pasticcio, adesso avrebbe dovuto rimettere tutto a posto. Stupido, si era proprio comportato da stupido, aver avuto di nuovo paura di una canzoncina come quando era un bambino!  Ma che cosa stavano cantando quelle due là fuori? C’era, in quelle voci, qualcosa di strano, avrebbe quasi detto di diabolico. L’uomo stava diventando irrequieto. Quella macchina, prima, non era andata via, no, quella macchina era …  fuggita via!Le onde si erano rigonfiate con più forza e, adesso, si accavallavano tutte sorpassando il molo. Ebbe la tentazione di riagganciare la roulotte alla macchina e scappare. Si diede nuovamente dello sciocco. Qualche anno prima non si sarebbe fatto suggestionare  così da una insensata combinazione d’eventi. Grandi nuvoloni avevano completamente ricoperto le montagne intorno; si erano abbassati talmente da sfiorare i tetti delle case. Adesso ricordava la filastrocca: narrava di due piccole streghe, Rose e Lyseblå, che vivevano sull’isola di Senja. Si presentavano sempre come due bambine dai volti ingenui e sorridenti. Arrivavano saltellando e giocando. Chiunque si fosse fermato ad ascoltarle, sarebbe stato catturato dalle loro voci. “Mio Dio!” esclamò Johan Christian e cadde in ginocchio, facendosi il segno della croce “non voglio morire adesso. Ti prego, salvami, non voglio morire” lo aveva gridato con una forza inaudita, mentre i singulti del pianto gli stavano squassando il petto. Si prese la testa tra le mani. Le sentì, erano dietro la porta della roulotte. Stavano ridendo perfidamente. Bussarono di nuovo con forti pugni ripetuti. 


Com’era raccapricciante quel loro bussare L’uomo si alzò di scatto e spalancò con forza la porta quasi a volerla scardinare. “Allora streghe, cosa volete, dannate! Eccomi, sono qui. Volete la mia anima, volete il mio corpo? Mai: Non mi avrete mai . Sparite subito dalla mia vista. Via! Mi avete sentito?”  La sua voce era un ruggito che prorompeva dalla sua anima tormentata. Il vento la sovrastava e il mare cercava d’inghiottirne  ogni suono. Le case del paese sembravano perdersi dietro il pulviscolo d’acqua che si levava dalle onde. Dov’erano tutte le anime di quel maledetto paese? Rose e Lyseblå lo presero per le braccia tirandolo verso di loro. “Lasciatemi”, gridò con voce sempre più alterata il pover’uomo. Ma le due bambine erano dotate di una forza che non poteva paragonarsi a nulla di umanamente possibile. I loro sguardi si andavano alterando a vista d’occhio e i volti, inizialmente infantili, adesso si erano trasformati, la pelle raggrinzita, i capelli scarmigliati. Le mani che lo tenevano prigioniero, erano diventati artigli dalle unghie ricurve. Risero sguaiatamente, con le bocche deformi, alitandogli addosso un fiato venefico. Johan Christian, al culmine della  disperazione, si liberò con un violento  strattone e corse veloce sul molo, su ciò che ormai del molo era rimasto. Il mare lo aveva  ricoperto quasi del tutto.  Si volse indietro ansimando. Rose e Lyseblå avevano accesso un fuoco e la sua roulotte vi stava bruciando dentro. “Non mi avrete mai” gridò di nuovo,  alzando il braccio in gesto di sfida. Si girò verso il mare andando incontro all’onda che stava sopraggiungendo più alta di tutte e vi si lasciò andare cercandovi l’ultimo respiro di pace. Un sottile raggio di luce  si stava muovendo dietro la punta del capo. Il tempo stava cambiando. A mezzanotte ci sarebbe stato il sole. Due uomini, usciti per strada a scrutare  il cielo, decisero che di lì a poco sarebbero andati a pescare. Il cane passò di nuovo soffermandosi vicino a qualche muretto, annusando l’aria. L’uomo allampanato si fermò un secondo per una rapida occhiata alla carcassa della roulotte e proseguì indifferente. Le due bambine avevano ripreso a correre e a saltellare, ridendo e canticchiando. I fari di una macchina si erano profilati nella curva della strada. 


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