West Virginia

West Virginia
Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

lunedì 16 dicembre 2024

Claudio Sottocornola-"La fatica dell'intero-Il pensiero come arte dell'incontro", di Elisa Enrile

 


Claudio Sottocornola

La fatica dell'intero-Il pensiero come arte dell'incontro

Oltre Edizioni


Commento di Elisa Enrile

La fatica dell'intero - Il pensiero come arte dell'incontro di Claudio Sottocornola è un'opera filosofica che si distingue per la sua riflessione profonda sul ruolo del pensiero nel contesto delle relazioni. L'autore, attraverso un linguaggio ricco e accessibile, affronta tematiche fondamentali del vivere e del percepito umano, che vengono trattate in modo da sollecitare una revisione critica e trasformativa del modo in cui viviamo le nostre interazioni con gli altri e con il mondo, invitando il lettore a concepire il pensiero come un'arte dell'incontro, un processo di apertura all'altro che abbatte le barriere tra l'individuo e la realtà collettiva.

Il libro si sviluppa attraverso tredici quesiti dicotomici, che si incastrano l’uno nell’altro proponendo al lettore una profonda riflessione su alcune categorie strutturali che da sempre costituiscono le basi della società, provando a scardinare alcune convinzioni e mettendo sotto i riflettori la storia - conosciuta e meno conosciuta – di molti costrutti sociali e culturali.

Così l’autore si muove sapientemente tra concetti come bisogno o libertà, verità o disuguaglianza, eroismo o gentilezza, saltando da una casella all’altra senza perdere il filo, ma anzi tessendo una trama piena di incroci e rimandi che donano al lettore un quadro complesso e completo della realtà in cui viviamo.

Muovendosi tra esperienze vissute in prima persona, attualità, cultura popolare sacra e profana, Il libro si distingue per un linguaggio chiaro ma sofisticato, che riesce a comunicare concetti complessi in modo accessibile. La riflessione filosofica di Sottocornola si sviluppa infatti attraverso richiami ad autori e correnti filosofiche contemporanee, come l’ermeneutica e il pensiero dialogico, riuscendo a fare delle incursioni nelle tradizioni spirituali senza rinunciare all’aspetto emotivo, in un intreccio di temi, dove l'autore esplora concetti di interconnessione, di appartenenza e di trasformazione, invitando il lettore a superare le barriere che isolano l’individuo per abbracciare una visione più ampia e integrata del mondo. Questo approccio multidimensionale conferisce al libro una profondità che va oltre la filosofia pura, permettendo di aprire nuovi orizzonti di pensiero anche per chi non è un esperto del settore.

Sottocornola invita il lettore a considerare il pensiero non come un atto solitario e introspettivo, ma come una pratica sociale e comunitaria che si realizza attraverso l'incontro con l'altro. Il pensiero, dunque, non è solo un’attività individuale, ma si fa "arte dell'incontro", in cui l’interazione con l'altro diventa il motore di un processo creativo che arricchisce la nostra comprensione della realtà. Il titolo stesso dell’opera - La pratica dell’intero - suggerisce un'idea di totalità che abbraccia non solo la dimensione individuale ma anche quella collettiva, in un dialogo continuo tra il pensiero e la realtà. Da qui emerge l’importanza dell’ascolto reciproco, che assume più valore che mai se calato in una società in cui la comunicazione risulta ormai superficiale e distratta.

La fatica dell’intero è un'opera affascinante che invita a una riflessione profonda sul valore del pensiero come strumento di incontro e trasformazione. La proposta di Sottocornola non è solo teorica, ma si presenta come un invito concreto a cambiare il nostro approccio alle relazioni e al pensiero, facendo dell’ascolto e del dialogo una pratica quotidiana. Un libro consigliato a chi è interessato alla filosofia contemporanea, al pensiero dialogico e a chi desidera riflettere sulla propria esperienza del mondo e degli altri in modo più profondo e significativo.


L'AUTORE

Claudio Sottocornola (Bergamo, 1959) si è laureato all’Università Cattolica di Milano con una tesi in Storia della teologia. Già ordinario di Filosofia e Storia nei licei, è stato anche docente di IRC, Materie letterarie, Scienze dell’educazione e Storia della canzone e dello spettacolo alla Terza Università di Bergamo. Iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 1991, ha collaborato con diverse testate, radio e tv.

Come filosofo si caratterizza per una forte attenzione alla categoria di interpretazione, alla cui luce indaga il mondo contemporaneo, ed ha spesso utilizzato musica, poesia e immagini per parlare a un pubblico trasversale, nelle scuole, nei teatri e nei più svariati luoghi del quotidiano.

È autore di numerose pubblicazioni, che coinvolgono tre aree tematiche prevalenti: l’autobiografia intellettuale, la cultura popular contemporanea, l’attuale crisi del sacro in Occidente e la sua possibile rimodulazione teologico-filosofica.

Fra le opere più recenti, Saggi Pop (Marna, 2018), Parole buone (Marna/Velar, 2020), Occhio di bue (Marna, 2021), Tra cielo e terra (Centro Eucaristico, 2023), Così vicino, così lontano (Velar, 2023).

 


lunedì 25 novembre 2024

Riflessione e libri di Renata Rusca Zargar: storie di donne

Quando ho iniziato a scrivere più assiduamente dopo la nascita della mia seconda figlia 32 anni fa, ho scelto di raccontare in maggioranza storie di donne proprio per mettere in evidenza la violenza contro le protagoniste e la mancanza di rispetto della pari dignità di tutti gli esseri umani.

I miei racconti sono ambientati sia in Oriente, mia seconda patria, che in Occidente e persino in un mondo futuro nello spazio perché purtroppo la sudditanza della donna è ancora un grave problema ovunque (in Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni e non si sa quante siano obbligate a subire maltrattamenti, botte e ingiurie).

In occasione del 25 novembre, Giornata contro la violenza sulle donne, pubblico qui un mio racconto.

Renata Rusca


UN AMORE

Malini apre la porta che dà sul giardino. È sera inoltrata e l’intenso profumo dei fiori le penetra nelle narici. Intorno, il buio ricopre i vialetti ben curati e il prato verde, tagliato all’inglese. La porta si richiude alle sue spalle e con essa scompare anche il breve fascio di luce che rischiarava la veranda. Malini avanza sicura e, oltrepassato il cancello, si spinge nella notte, verso il fiume. Il velo bianco che le ricopre i capelli neri ondeggia leggermente all’aria e raccoglie i raggi della luna che spicca tonda nel cielo. Il terreno scende dolcemente ed ella ricorda che, da piccola, correva all’impazzata su quel pendio con gli altri bambini del villaggio e poi andavano, tutti insieme, al fiume a bagnarsi. Allora ridevano, scherzavano, ancora non avevano compreso che cosa fosse la vita. Ma, come un tempo, Malini vuole di nuovo abbandonarsi completamente alla linfa dell’esistenza e, al ridosso di un piccolo gruppo di alberi, si sdraia sul terreno. La terra umida le rinfresca le membra, vicino sente lo sciacquio dell’acqua che scorre tranquillamente sulle pietre levigate. I suoi occhi sono chiusi.

Lentamente e delicatamente, una mano estranea prende ad accarezzarla sul braccio, poi sul ventre e sul seno. Indi, le solleva il sari di seta e le toglie le mutandine: l’uomo giace con passione e amore su di lei.

Due ore dopo, Malini rientra in casa. I suoi capelli lunghi si sono sciolti, morbidi, tra le mani del suo amante e ancora risente sul corpo le carezze che le hanno bruciato il sangue. Ella trascorre il resto della notte sveglia, a rivivere quei momenti.

La sera successiva, ultimate le faccende domestiche e atteso che tutti siano finalmente a dormire nelle loro stanze, riapre la porta ed esce nel giardino. I suoi piedi, inanellati e calzati da sandalini decorati in oro, la conducono ancora verso il fiume. Si siede ansante, con la bocca carnosa leggermente aperta, appoggiate le spalle a un albero, la testa un po’ all’indietro, chiude gli occhi e attende.

E l’amore ritorna, forte, prepotente, e le sue braccia l’accarezzano con un sentimento che mai prima aveva provato. Infine, Malini apre gli occhi e scorge, per la prima volta, il viso di chi, nella notte, ha sedato la sua sete infinita…

Eppure, ella sapeva bene chi fosse, anche senza averlo guardato né avergli parlato. Il suo cuore non le aveva mentito!

-Vieni, - egli le diceva quando erano bambini –andiamo a pescare al fiume, ci sono dei pesci grandi quanto il mio braccio!

-Va bene, vengo, ma non mi importa dei pesci, voglio raccogliere i sassolini bianchi per farmi una bella collana…-

Insieme, mano nella mano, perlustravano la campagna circostante ed era lui a proteggerla se un serpente scivolava lento tra l’erba mettendole paura. Gopal… Erano stati anni di spensieratezza e gioia.

Uscire di nascosto la sera, ormai, era diventata un’abitudine: egli l’aspettava tra i cespugli e di nuovo potevano stringersi le mani, parlare, riempire il loro cuore di quell’amore che aveva atteso anni per esplodere.

Di giorno, invece, l’esistenza era sempre la stessa: la cognata la comandava a bacchetta e le diceva tutto ciò che dovesse fare e, persino, ciò che dovesse dire, agli ospiti che praticavano la casa o, addirittura, ai familiari… Da quando suo marito era morto, due anni prima, non c’era più nessuno a proteggerla ed ella si sentiva sempre più estranea in quella casa.

“Ma ora” ella pensava “ho il mio segreto, anch’io ho qualcosa che nessuno può portarmi via.” E sorrideva tra sé, ripensando agli abbracci, ai sussurri, alla dolcezza degli occhi di lui.

Infine, però, le sue passeggiate serali non erano rimaste del tutto inosservate. Sua cognata Ruini, moglie di Balù, il fratello più anziano di suo marito, aveva notato che ella aveva un volto più disteso e roseo e sembrava sempre un po’ distratta. Così, aveva preso a esaminarla con attenzione. Ma non aveva trovato niente di sospetto. Malini si comportava nello stesso modo: non parlava con più familiarità con gli ospiti, non usciva quasi mai di casa, né chiedeva di farlo più spesso. “Tutto si dimentica!” aveva concluso Ruini “Ormai, il marito è morto da parecchio tempo ed ella si sentirà, forse, più sollevata perché l’avrà già dimenticato. Anche lei, come me, non ha avuto figli che rimangano a far ricordare le sembianze di chi non c’è più… E per noi, in questa casa, adesso è solo un’inutile bocca da sfamare!”

Malini captava questi pensieri: sapeva bene che le vedove sono un peso per la famiglia e, se non hanno figli che le possano accudire, rimangono, come oggetti abbandonati, ad attendere prima la vecchiaia e poi la morte. Purtroppo, ella non aveva generato ed era stata accusata dalla suocera, quando era ancora viva, di essere una buona a nulla, di non saper dare il sospirato erede al marito, un ricco proprietario terriero, dell’onorabile casta dei vaisya. Ma, ormai, di tutte queste angosce non si preoccupava più. Viveva in un suo mondo, dove non esiste tempo né dolore.

Una sera, però, Ruini, quando tutti erano già a letto, era scesa a piedi scalzi in cucina alla ricerca di qualcosa che le facesse passare il mal di stomaco. Per non disturbare i familiari che dormivano, non aveva acceso la luce. Allora, aveva scorto un’ombra scura aprire la porta che dava sul giardino e allontanarsi svelta nella notte.

La luna era offuscata dalle nuvole che preparavano le piogge dei monsoni e l’ombra scendeva svelta il pendio con un dupata giallo che veleggiava leggero intorno ai suoi lunghi capelli sciolti. Era Malini! “Dove va, a quest’ora?” si domandava la donna “È pericoloso uscire di notte, inoltrarsi nella campagna!” Ma non l’aveva chiamata, né si era fatta scorgere. L’aveva seguita. Quasi vicino al fiume, un’altra ombra dal lunghi bianco l’aveva avviluppata: i due si erano uniti in un abbraccio travolgente come quelli che si vedono nei film, poi, avevano proseguito mano nella mano, bisbigliando e ridendo felici come due bambini.

Tenendosi dietro agli alberi, ella si era avvicinata a loro ed aveva potuto distinguere chi fosse l’uomo. Lo conosceva bene, Gopal, l’intoccabile, colui che non poteva neppure avvicinarsi alla loro casa per non sporcarla, che non poteva sfiorare ciò che loro usavano! Essi erano discendenti di proprietari terrieri da molte generazioni, la loro famiglia stimata manteneva intatto il suo prestigio nel villaggio… E quella svergognata stava per distruggere il loro buon nome! Chi non accetta le divisioni di casta –tutti lo sapevano- non potrà procedere nella catena delle incarnazioni, sarà costretto a reincarnarsi in un essere inferiore, forse, addirittura in un animale! Inoltre, se la storia fosse diventata pubblica, nessuno dei nipoti, figli degli altri fratelli di suo marito, avrebbe potuto più avere una moglie o un marito onorevoli, degni della loro casta!

In silenzio, Ruini era tornata a casa. Il giorno seguente, e quelli successivi, non aveva detto nulla. Forse, il suo tono, quando comandava a Malini qualche lavoro domestico, era più acre del solito, ma non tanto da farci caso. E Malini, presa dalla sua passione, non vi aveva badato. Inoltre, da qualche giorno non si sentiva bene, aveva sempre un po’ di nausea, anzi, una mattina aveva persino vomitato.

L’estate stava per finire, ma il giardino era ancora zeppo di fiori dai mille colori. Era uno spettacolo ammaliante. Così pure il “loro pendio” era tutto verde, fertile di cespugli, arbusti, foglioline profumate. Là, nell’erba, mentre il cielo blu appariva e scompariva tra i rami scossi da una leggera brezza, ella dimenticava tutto, pianta tra le piante, foglia tra le foglie, anima nell’eterno divenire dell’universo. Era con lui, il suo tutto, l’unica ragione di vita, il diretto filo che la univa al Creatore.

E ogni sera si affrettava a raggiungerlo.

Quella volta, però, era un po’ in ritardo. I suoi cognati le avevano lasciato una grande quantità di lettere da battere a macchina (incarico sempre affidato a lei che aveva avuto una discreta istruzione superiore) ed ella voleva finirle per sentirsi più libera. Così, quando, di corsa, aveva disceso il prato nero per l’oscurità, non l’aveva trovato ad attenderla come al solito. “Forse, stanco di aspettare, sarà andato a fare un giro.” aveva ragionato e si era seduta appoggiata al solito albero. Indossava uno splendido sari rosso con ricami in oro che spiccavano anche sul velo, ugualmente rosso ma trasparente. Sapeva che gli sarebbe piaciuto.

Forse, si era appisolata, perché stava già per spuntare il primo chiarore dell’alba e un brivido di freddo le scuoteva le membra. Ma egli non era ancora arrivato. Un po’ preoccupata, si era alzata per rientrare a casa e, girando lo sguardo all’intorno, aveva notato qualcosa di bianco spuntare da un cespuglio. Si era avvicinata. Gopal giaceva con la faccia in giù, la bocca nella terra scura e un coltello piantato nella schiena! Era morto!

Malini era tornata a casa tremando e si era messa a letto. Quel giorno non era scesa nel soggiorno, come faceva di solito, per i pasti e la cognata Ruini era venuta in camera a portarle il pranzo.

–Forse hai un po’ di influenza. - le aveva detto premurosa – ti ho portato un po’ di brodo, ti farà bene. -

Il suo stomaco non avrebbe potuto ingerire neppure una goccia d’acqua, per cui ella aveva gettato il brodo dalla finestra che dava sul prato del lato posteriore della casa, perché non si accorgessero di nulla, e aveva detto a tutti di avere la febbre.

Il giorno dopo, la cognata era salita nuovamente nella sua camera: -Sai, - le aveva raccontato con la voce bassa che usano le donne per confidarsi qualche pettegolezzo -nel nostro piccolo paese ne succedono proprio di tutti i colori! Un certo Gopal, figlio di un bracciante agricolo che, per anni, ha lavorato sulle terre di tuo suocero, è stato trovato morto vicino al fiume, con un coltello nella schiena. Sicuramente tu non lo ricordi perché, anche se eravate bambini nello stesso periodo, egli è un intoccabile e quindi tu l’avrai sempre evitato, come fanno tutte le persone delle caste superiori. Chissà, avrà fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare, si sarà avvicinato a chi non avrebbe dovuto avvicinare… Era un intoccabile e doveva rispettare il suo ruolo. È la giusta punizione, tutti lo dicono, oggi, al villaggio.- Con un sorriso sulle labbra, Ruini l’aveva salutata ed era tornata al piano di sotto, in soggiorno.

“Ecco, -ora un lampo le squarciava la mente- in qualche modo Ruini sapeva. Tutto era tornato come allora…”

Infatti, un giorno lontano, mentre era al fiume con Gopal, intenta a cercare nella ghiaia qualche pietrolina colorata, suo fratello l’aveva scorta. Immediatamente, l’aveva trascinata a casa dove il padre l’aveva castigata rinchiudendola per qualche mese nella sua camera. Là le venivano serviti i pasti ed ella non poteva uscire neppure per andare in bagno.

–Possibile che tu abbia tradito la mia fiducia in questo modo!- aveva affermato seccamente il padre – Nessun uomo per bene ti vorrà più, se si saprà che hai frequentato un intoccabile! Come ti è saltato in mente? Non ricordi che noi non possiamo neppure toccare ciò che è stato toccato da loro? Ora sarai in castigo fino a che non avrai compreso il tuo errore. Verrà un guru a insegnarti i sacri testi Veda, in modo che tu sappia ciò che è giusto e non debba mai più sbagliare. Non andrai più a scuola insieme agli altri, ma svolgerai le tue lezioni qui, a casa, sotto la guida di un buon maestro. Poi, cercheremo una famiglia in cui sistemarti, prima che tu distrugga il nostro prestigio. E ricordati di non parlare mai con alcuno di questo increscioso incidente! -

Un anno dopo, l’avevano fidanzata con quello che sarebbe stato suo marito e non era più uscita di casa se non al momento del matrimonio, quattro anni dopo il fidanzamento, per trasferirsi nell’abitazione di lui.

Aveva quattordici anni. Altro che harijan, amati da Dio, come chiamava Gandhi gli intoccabili! Nonostante la Costituzione del 1947 avesse soppresso le caste, esse rimanevano spesso tali nella pratica.

Era vero ciò che le aveva raccontato Gopal in una notte in cui ella giaceva tra le sue braccia forti e il silenzio del creato sottolineava le sue dure parole: -La nozione di casta apparve nel clan degli Arii (bianchi) che avevano conquistato la pianura indo-gangetica. Le caste, varna, in sanscrito, che significa, appunto, colore, sono state rifiutate da tutti i riformatori, tra cui anche Budda, eppure hanno attraversato i millenni. Oggi non esistono più per legge, anzi, sono stati previsti dal Governo un certo numero di posti di lavoro riservati a beneficio degli intoccabili, specialmente nelle carriere mediche e paramediche, proprio per eliminare le distanze tra gli uni e gli altri. Eppure, dopo aver concluso gli studi all’Università, il posto in ospedale a me riservato, non mi è stato dato. Le manifestazioni contro queste evidenti ingiustizie hanno insanguinato lo Stato, ci sono stati centinaia di morti, migliaia di feriti… Io stesso sono stato arrestato e quindi ho deciso di tornare qui, non come medico ma ancora come contadino. In India i cambiamenti sono molto più lenti dello scorrere delle vite! -

Dopo qualche giorno, Malini aveva dovuto alzarsi dal letto e riprendere le solite faccende. Ruini non sembrava diversa dal solito con lei, per cui spesso ella dubitava che avesse saputo veramente della sua relazione e concludeva che era solo la paura a scatenarle l’immaginazione.

Ella continuava, però, a non sentirsi bene, qualche volta vomitava la mattina, aveva dei capogiri. Un pomeriggio di sole, Ruini, gentilmente, l’aveva accompagnata dal medico e, durante la visita, era rimasta ad aspettarla pazientemente nella sala d’attesa.

-Signora, - le aveva detto il medico dopo aver ascoltato la descrizione dei sintomi e averla visitata acuratamente – lei attende un bambino. Non ci aveva pensato?

-Un bambino?!- aveva ripetuto Malini e il sangue le era affluito alla testa. -Ma io non so fare bambini. Mia suocera me lo diceva sempre!

-Da quanto tempo non ha le mestruazioni?

-Mah, non ricordo, adesso che ci penso, potrebbero essere due mesi, forse tre… Credevo fosse per l’età, ormai non sono più giovanissima, e non ci ho fatto caso…

-No, lei non ha l’età per la menopausa. Mancano ancora diversi anni per quello. -

Il medico la conosceva bene, curava tutti i membri della famiglia. Sapeva anche che suo marito era deceduto due anni prima. Anzi, era stato proprio lui a costatarne la morte!

-Dottore, lei è al corrente che mio marito non c’è più. La prego, non dica nulla a nessuno, troverò una soluzione…

-Stai tranquilla bellezza. Non dirò niente a nessuno. - aveva risposto l’uomo cambiando improvvisamente tono di voce e atteggiamento. Intanto le sue mani frugavano avidamente sotto il sari di Malini e le abbassavano le mutandine: -Stai buona. Vedrai, non succederà niente. Non vuoi fare uno scandalo, vero? -

Malini era rimasta immobile, come di pietra. Il terrore, misto a disgusto, la paralizzava mentre il medico, visibilmente eccitato, la toccava dappertutto, ansimando. Il suo alito puzzava di cipolla. La mente di Malini indagava freneticamente se potesse fare qualcosa, se potesse ribellarsi e come.

Ma non poteva fare nulla. Aspettava un bambino da un uomo che non era suo marito, un intoccabile che, per giunta, era stato ucciso! Per questo, con gli occhi chiusi, pregava solo che tutto quell’orrore che contaminava il suo corpo finisse presto. E infine, finalmente, egli si era abbattuto esausto su di lei.

–Sei bellissima. Torna presto. Il tuo corpo è caldo come una profonda tana dove entrare a ristorarsi. Ti curerò volentieri. Non rimpiangerai – una risatina aveva accompagnato quelle parole - chi ti ha messo incinta! -

Malini si era ripulita e ricomposta. Il medico l’aveva riaccompagnata nella sala d’aspetto e a Ruini, che s’informava della salute della cognata, aveva spiegato:

-Trovo la signora un po’ affaticata, ma nulla d’importante. Le prescrivo queste pastiglie che le ridaranno vigore. Gliene dia una al mattino prima di colazione e una prima di pranzo e cena. Ma me la riporti presto, però, che devo ricontrollarla e vedere se la cura fa effetto. -

A casa, i pensieri impazziti e le emozioni giostravano nella testa di Malini: “Un bambino! E tu Gopal non ci sarai a vederlo. Non ero, dunque, io l’incapace, ma mio marito! Cosa farò adesso? Tra qualche tempo si vedrà la pancia e che ne sarà di me? Sarà lo scandalo, mi scacceranno di casa, diventerò una mendicante, forse mi uccideranno… e con me nostro figlio! Il medico, quello schifoso maiale, ha subito approfittato della situazione… Come posso sopportarlo? E fino a quando tacerà? Cosa potrei fare? Un bambino tuo, Gopal, il figlio del nostro amore! Egli continuerà la tua vita.”

Varie e improbabili soluzioni affaccendavano la sua mente ma, poi, nel giro di qualche giorno, aveva messo a punto un suo piano: sarebbe rimasta in quella casa finché la sua condizione avesse potuto essere nascosta sotto gli abiti. Intanto avrebbe messo via un po’ di denaro, sottraendolo, poco per volta, alla cassa comune. Poi, sarebbe andata via e si sarebbe recata nella città dove si trovava la ditta alla quale la famiglia inviava i prodotti agricoli della loro terra per essere inscatolati e alla quale ella scriveva, per conto dei cognati, le lettere commerciali. Là avrebbe trovato un lavoro e si sarebbe sistemata. Avrebbe cresciuto il figlio di Gopal, Gopal junior, dalla pelle un po’ scura come quella dei membri delle caste inferiori, ed egli sarebbe vissuto ancora.

Nonostante il tremendo dolore per la perdita dell’unico amore della sua vita e dell’orrida relazione con il medico, pensando al piccolo Gopal, Malini riusciva a sopravvivere.

In famiglia, tutto sembrava tranquillo ed ella era ormai sicura che nessuno avesse intuito il suo segreto. Anzi, Ruini era abbastanza gentile, le raccomandava sempre di prendere la medicina per riprendersi al più presto e, ignara del comportamento del dottore, l’accompagnava spesso da lui. Egli, infatti, le praticava delle iniezioni di ferro per via endovenosa e, nel frattempo, approfittava per fare i suoi comodi sul corpo di Malini.

–Sei sempre più bella! - le diceva mentre la penetrava –Il tuo seno è inturgidito, mi fai impazzire. - e si agitava su e giù con foga.

Malini sopportava con pazienza. Chiudeva gli occhi e si concentrava sulle lettere da scrivere, le incombenze da sbrigare, i libri che aveva letto negli ultimi tempi…

Ma che altro avrebbe potuto fare? Ella sapeva, anche se non ne aveva mai viste, che esistevano delle donne, le prostitute, che sopravvivevano accettando che gli uomini facessero i propri comodi con il loro corpo. “Se esse, che sono donne come me, possono subire uomini spesso ripugnanti che si dimenano su di loro, perché non io dovrei farcela? Tutto ciò è per salvare mio figlio. Ormai, manca poco tempo alla partenza e quest’orribile tortura sarà finita! Gopal, perdonami, il mio cuore, come vedi, è solo tuo. Me ne andrò, dirò che sono vedova e che mio marito è morto da poche settimane. Nessuno dubiterà.”

Qualche volta, Ruini si rammaricava di non poterla aiutare: -Mi dispiace di non poterti sostituire nel disbrigo della corrispondenza in modo che tu possa riposarti almeno qualche giorno. Ma, come tu sai, non so leggere né scrivere. Mio padre non ha ritenuto utile farmi imparare.

-Non ti preoccupare – rispondeva lei – non è un lavoro faticoso ma piacevole. E mi mette in contatto con altri paesi e città, è un po’ come aprire una finestra sul mondo. -

Intanto il bimbo cresceva, ella lo avvertiva. Iniziava anche a muoversi dentro il suo ventre, a scalciare, ad allungare le braccine come a comunicare con lei, darle coraggio, farle sentire la sua presenza. A sera, dopo cena, si sdraiava sul letto nella sua camera, chiudeva gli occhi, si accarezzava il ventre e Gopal era lì, accanto a lei, e l’amava come qualche mese prima. Il suo respiro si faceva veloce e il bimbo si agitava felice.

Una notte, però, che sembrava come tutte le altre, aveva iniziato a provare dei tremendi dolori dappertutto nel corpo. Spaventata, aveva tentato di chiamare i parenti, ma la voce le usciva assai debolmente dalla gola e non ce la faceva neppure ad alzarsi dal letto. Solo Ruini, dunque, in attesa, l’aveva sentita. Ed era giunta, ma non certo in suo aiuto. L’osservava, come si osserva un ributtante insetto che si contorce mentre sta concludendo la sua vita.

Nella mente di Malini, infine, era tutto chiaro e, mentre la cognata se ne andava in silenzio, rinchiudendo lentamente la porta senza far rumore, ella aveva compreso che la vita del suo piccolo si era già spenta nel suo ventre. Indi, prostrata dal cocktail di veleni per uso agricolo che le era stato somministrato, misto alle verdure piccanti che condivano il riso, con la bava alla bocca, anch’ella aveva terminato quell’incarnazione tanto dolorosa.

Tutto il resto si era svolto assai velocemente. Il giorno dopo, il medico, chiamato dal cognato poiché Malini era stata trovata esanime nella sua camera, aveva redatto il certificato di morte per collasso cardio-circolatorio. Subito, il suo corpo era stato avviato verso il fiume per la cremazione. Proprio in fondo al “loro” pendio, era stata innalzata la pira sulla quale Malini era bruciata con il suo amore e il suo futuro.

Poi, le sue ceneri erano state disperse nelle acque del fiume, come era successo a Gopal, non tanto tempo prima.

La sera, Ruini si era coricata nel letto matrimoniale, fatto venire molti anni prima apposta da Bombay. Le sue mani accarezzavano dolcemente il prezioso copriletto di broccato di seta ricamato a mano di Benares. Vicino a lei, suo marito, dormiva tranquillamente.

La tresca, che avrebbe potuto distruggere la famiglia, addirittura con la nascita di un figlio intoccabile e illegittimo, era definitivamente finita. L’onore era salvo e, anche se nessuno ne avrebbe saputo mai niente, era stata proprio lei a proteggerlo.

Con un sospiro di soddisfazione, si era girata su di un fianco e si era addormentata serenamente. 

Questo racconto è stato pubblicato nel libro: 

CHE TE NE FAI DI UN'ALTRA FEMMINA?

in vendita su Amazon 

https://www.amazon.it/CHE-FAI-UNALTRA-FEMMINA-occidentale-ebook/dp/B09M5QZ9VH

 

 

che comincia proprio con la storia della nascita della figlia che mi ha dato la forza di rimettermi a scrivere, una figlia in pericolo e ritenuta inutile perché femmina.

Leggendo l'estratto del libro, sul sito di Amazon, troverete proprio lei:

https://www.amazon.it/CHE-FAI-UNALTRA-FEMMINA-occidentale/dp/B09M57X9GP?asin=B09M5QZ9VH&revisionId=d006e8e6&format=1&depth=1

In ogni caso, io ringrazio i miei genitori che mi hanno dato la vita e la possibilità di studiare per essere libera.  Ringrazio mia madre che mi ha educata e mi ha resa forte e capace di conquistare la felicità.

So che ha fatto degli errori perché era una donna e le avevano insegnato a considerare le donne meno importanti dei maschi. Dato che ho avuto la fortuna di assisterla quando era malata, ho fatto del mio meglio -e anche di più- per lei, quindi, sono certa che nella prossima incarnazione avrà un'opinione molto diversa. 😍





lunedì 16 settembre 2024

Lucca, 14 settembre 2024, 2° presentazione del libro "Il filo di vetro racconta"

 


Secondo appuntamento dedicato alla presentazione del libro “Il filo di vetro racconta”, grappoli di aneddoti legati ad una vita di lavoro all’interno della Vetrotex Italia di Vado ligure.

Tutto quanto accaduto nel primo atto, quello del 18 aprile a Savona, è fruibile al seguente link: 

https://sfoghieracconti.blogspot.com/2024/04/presentazione-del-libro-il-filo-di.html


Ma questa seconda opportunità era doverosa, giacché l’ispiratore dell’iniziativa, Tullio Fulvio, risiede a Lucca, ed era quindi opportuno realizzare un momento di incontro “a casa sua”, a Capannori, nel Circolo Culturale Artemisia, che aveva ospitato nel 2023 una presentazione analoga.

Il giorno scelto è stato sabato 14 settembre.

Anche questa volta si è dimostrata compatta la squadra in movimento da Savona sino al punto di incontro, una reunion tra ex colleghi, non solo di carattere “savonese”, anzi, una fetta significativa aveva il marchio “Besana Brianza”, composta cioè da persone che avevano avuto ruoli trasversali, fondamentali, con cui è rimasto attivo un collante affettivo oggi depurato della rigidità che certe differenze di ruolo determinavano un tempo.

Palpabile l’emozione - qualche lacrimuccia è scesa -, tangibile la voglia di passare qualche ora insieme, per ricordare, per rivivere momenti toccanti, per coinvolgere anche quella parte di famiglia che ha spesso “subito” difficoltà lavorative non certo facili da comprendere.

Non farò elenchi di nomi, nei video a seguire e nelle foto sarà facile ritrovarsi, ma mi piace sottolineare l’atmosfera che si è creata, anche in questa occasione, tanto che il tempo è volato e si è sforato la durata prevista senza neanche accorgersene.

Il mio sondaggio fatto a posteriori su alcune moglie ha fatto emergere che, nonostante l’argomento fosse molto specifico, a volte tecnico, sicuramento basato su episodi chiari solo a chi li ha vissuti, la noia non è stata una delle componenti presenti, e avere un cospicuo numero di persone attente sino alla fine dell'evento ha rappresentato un ulteriore piccolo successo.

Tanto per riannodare le fila del contenitore letterario proposto, evidenzio che il libro non ha trama, non è un romanzo, ma è basato sui ricordi che chi ha voluto, in piena autonomia, ha rilasciato.

Un book che, difficilmente avrà una seconda chance, ma una porta verso la crescita è rimasta aperta, vale a dire la creazione di un libro digitale che ha il pregio di presentare tante fotografie (in questi casi importanti quanto le parti scritte), quelle impossibile da inserire in un cartaceo, e poi… se qualcuno vorrà aggiungere nuovi racconti, sarà agevole inserirli.

Il giorno dopo resta un senso di appagamento unito ad un briciolo di spleen, perché le storie emerse riguardano un passato lontano che però appare dietro l’angolo.

Trovare il piacere nel condividere momenti così semplici e genuini - magari giudicati negativamente da occhi esterni - conduce alla piacevole consapevolezza che eravamo - e siamo - anime virtuose, una bella soddisfazione quando si arriva a questo punto del percorso!

Ma forse le immagini video renderanno meglio l’idea dell’atmosfera di giornata.






giovedì 12 settembre 2024

Da Roma a Seattle e ritorno - Diario di bordo del mio primo tour degli Stati Uniti, di Massimo Pieretti (e Athos Enrile)

 

On stage

Massimo Pieretti propone a seguire una sintesi del suo recente viaggio negli Stati Uniti, un obiettivo di carattere musicale trasformato, ovviamente, in esperienza di vita.

La sua richiesta è quella di aggiungere qualche mio pensiero adeguato, ma sono talmente tante le cose viste e fatte negli USA che condensarle richiederebbe spazio notevole e… non voglio rubare la scena.

Posso però raccontare di come io abbia iniziato a sognare quel paese attraverso i film visti nella mia infanzia, e ricordo lo stupore del mio primo viaggio oltreoceano, nel ’93, quando New York mi si presentò davanti agli occhi proprio come l’avevo disegnata nella mente guardando la tv.

Da quel momento sono stati molti i viaggi verso quel mondo - che appare ideale, almeno per chi è di passaggio - l’ultima nel 2008, spesso per lavoro, ma ogni volta nasceva l’occasione per vivere e vedere qualcosa di sensazionale… la casa di Elvis a Memphis, il luogo in cui uccisero John Kennedy a Dallas, il museo di Andy Warol a Pittsburgh.

Avendo in comune con Pieretti l’argomento musica scelgo un aneddoto che racconto spesso di questi tempi nel corso delle presentazioni del mio libro (di cui sono coautore) su Woodstock.

È un sabato di fine ottobre, siamo nel 1996, e io sono in una cittadina della West Virginia, Buckhannon.

Alcuni colleghi mi raggiungeranno la domenica ma al momento sono solo, in una sorta di B&B in mezzo alla foresta, il Dear Park, oasi di pace in mezzo alla natura. I gestori mi accolgono come fossi uno di famiglia e per un paio di giorni vivrò con loro.

Il venerdì sera il direttore dell’azienda in cui sono impegnato mi consegna l’auto aziendale, una magnifica Buick azzurra, ed una piantina per orientare il mio soggiorno nel fine settimana.

Consulto immediatamente la mappa e vengo colpito dal nome “Woodstock”, evocativo e importante nella mia formazione musicale.

Mi metto in viaggio e proseguo per tre ore verso la meta dei miei sogni.

Una volta sul posto mi giro intorno ma non vedo segnali che riportano all’evento del ’69… impossibile! Un museo? Una targa?

Fortunatamente trovo un gruppo di italiani residenti in loco da sei mesi, napoletani, gestori di una pizzeria appena aperta. E così mi illuminano… nessun festival, nessun museo… la mia Woodstock si trova in un luogo ben diverso, a 150 chilometri da New York!

Tanta strada per niente? Beh, fu un viaggio magnifico, toccando cittadine decentrate, campi da football, benzinai… insomma, quello che “Happy Days” mi aveva insegnato.

Woodstock, quella vera, mi sta ancora aspettando!

Ho scritto un libro dove ho raccolto i miei ricordi usando protagonisti inventati (https://athosenrile.blogspot.com/2019/12/accadde-buckannon-un-racconto-di-athos.html), ma sono al contrario reali i musicisti e i personaggi che Pieretti descrive ripercorrendo le tappe del suo recente viaggio, impreziosito dalla valenza professionale condita dall’empatia che nasce spontanea tra persone che, pur di cultura e lingua differente, parlano il linguaggio universale della Musica con la M maiuscola.

Leggiamo il suo racconto…

  

Da Roma a Seattle e ritorno - Diario di bordo del mio primo tour degli Stati Uniti

Di Massimo Pieretti


Premessa


Circa un anno fa, nell’agosto del 2023, grazie a Mark Preising di Progressive Rock Central, venivo messo in contatto con il cantautore e polistrumentista di Seattle Michael Trew, lead vocalist dei Moon Letters.
Con Michael, artista vero e mente illuminata, si è creata sin da subito un’ ottima intesa e unità d’intenti e, infatti, lui si è reso immediatamente disponibile ad interpretare uno dei miei nuovi brani, l’inno pacifista “I dreamed of flying”, scritto da me insieme a mia sorella Patrizia e al mio fido collaboratore Gianluca Del Torto.

 Il brano è uscito il 18 maggio scorso come secondo singolo dal mio nuovo imminente progetto da solista, “The Next Dream”, e ha ricevuto un discreto riscontro di critica nei vari siti e nelle emittenti radiofoniche di settore (anche grazie alla partecipazione di importanti ospiti, tra i quali Amy Breathe alla seconda voce, Ms Lisa Green al violino e Mattias Olsson degli Anglagard alle percussioni).

In seguito all’uscita di questo singolo, è proseguita una sempre più fitta collaborazione di carattere promozionale tra me e Michael e a metà aprile abbiamo iniziato a parlare della possibilità di organizzare un piccolo tour nel Nord Ovest degli Stati Uniti, Seattle, Portland e zone limitrofe.
Era da molto tempo che desideravo tornare a visitare l’America e quale migliore opportunità di questa, insieme ad un artista del posto, per lo più indipendente e non allineato, proprio come me! Quindi, superate le non poche perplessità iniziali (la paura di volare su tutte) e concordato ogni cosa nei minimi particolari con Michael, ho deciso di imbarcarmi in questa nuova incredibile avventura.

Il periodo scelto è stato quello di agosto, partenza da Roma il 1° ritorno il 20.


I fatti

Michael si è occupato praticamente di tutto, dall’organizzazione logistica della mia sistemazione sino all’allestimento e il coordinamento della band con cui esibirci ma, soprattutto, il reperimento delle varie serate arrivando a trovare ben sette club disposti ad accogliere noi ed altre band locali, tra cui i Maiden Moss, uno dei gruppi dell’area di Seattle in cui Michael milita come bassista e corista.

Appena atterrato sul suolo americano Michael era lì ad aspettarmi, mi ha accolto come uno di famiglia in casa sua, uno splendido cottage di campagna nei pressi di Seattle con tanto di scoiattoli selvatici, jacuzzi nel giardino e studio di registrazione annesso.
L’indomani è iniziata l’avventura, con le prime indimenticabili prove e a seguire i concerti in giro per il nord ovest degli States, tra gli stati di Washington e l’Oregon, in una cornice di natura incontaminata di rara bellezza.
Il primo concerto si è svolto il 4 agosto, proprio nella tenuta di Michael, di fronte a tanti nuovi amici accorsi ad ascoltare la mia musica e quella delle altre band che si sono esibite dopo di noi: i Flying Caravan e i Wavicle di Portland e, appunto, i Maiden Moss di Seattle.
La nostra scaletta iniziava sempre con una prima parte in acustico, piano, voce e flauto traverso, e che prevedeva: Dancing with the moonlit knight dei Genesis in medley con Spirit of the water dei Camel e Mother of violence di Peter Gabriel; seguivano Never going to touch the ground - il nuovo singolo di Michael - e la “nostra” I dream of flying.
A questo punto entravano in scena due componenti dei Maiden Moss, Jose Simonet alla chitarra e Kai Strandskov alla batteria, e con Michael in veste di bassista/cantante venivano eseguite nell’ordine: il mio ultimo singolo Creatures of the night part 1 e tre brani dal mio disco d’esordio, A new beginning Oh Father, In November e Growing old.                                                                               Concludeva il set Vassagonia, un brano di Michael dal suo primo album da solista.


Il minitour ci ha poi visti protagonisti nelle seguenti date:
-4 agosto, Lake Forest Park, Seattle, WA;
-6 agosto Atlantis Lounge, Portland, OR;
-8 agosto Conway Muse, Conway, WA;
-10 agosto Coast Fork Brewing, Cottage Grove, OR;
-13 agosto Rhythm’s Coffee, Olympia, WA.


La data di Portland è stata una delle più emozionanti in virtù della partecipazione del mio grande amico e collaboratore Billy Allen al basso.
Terminato il tour e salutato i miei nuovi amici, mi sono trasferito dalla casa di Michael in un albergo del centro di Seattle, a due passi dall’oceano, per vivere da turista gli ultimi giorni del mio soggiorno in terra americana.

In conclusione, posso dire di aver vissuto fino in fondo e goduto pienamente ogni singolo istante della mia incredibile “avventura americana”. Ogni serata è stata, a suo modo, un evento unico e speciale per me e difficilmente dimenticherò questa incredibile esperienza che porterò per sempre con me.

 
God bless America!

https://massimopieretti.bandcamp.com/

https://wall.cdclick-europe.com/projects/A_New_Beginning_vinyl


Reportage fotografico

Arrivo a Seattle

Band to Cottage Grove

Con Billy Allen


Con Frankie McCabe

Con Michael

Olympia

Olympia

Olympia

Portland

Tour poster

Ultimo giorno






lunedì 9 settembre 2024

Claudio Sottocornola: "A che punto è la notte-Tracce di pensiero vigile"- Commento di Elisa Enrile

 


A che punto è la notte-Tracce di pensiero vigile

Di Claudio Sottocornola

Di Elisa Enrile

Uno spaccato sulle domande della contemporaneità e del passato

 

Sfogliando “A che punto è la notte” non è immediata la comprensione di quello che si sta per andare a leggere.

Si capisce che non si tratta di un romanzo, ma la divisione in capitoli e la varietà di argomenti trattati lo rendono un prodotto a metà tra un insieme di saggi e un compendio accademico, che potrebbe essere assegnato in un corso monografico all’università o consigliato come lettura da professori di liceo ad alunni particolarmente curiosi.

Avvicinandosi con più attenzione al volume, si apprende che in effetti si tratta di una raccolta di 10 saggi pubblicati dall’autore nella rivista “Il Cenacolo” nel 2023, a scopo appunto divulgativo. L’audience a cui lo scrittore, giornalista e ricercatore si rivolge è varia e spazia per età e formazione, condizione che lo porta a cercare di unire nei modi – così come nei temi – l’inclusività all’interesse e alla professionalità.

Si ramificano così attraverso i saggi alcune domande di interesse e cultura generale, alternandosi con quesiti esistenziali su alcune delle contraddizioni e degli aspetti più o meno evidenti della società, della cultura e della religione.

In un valzer che unisce cultura pop, scienza, politica e spiritualità, Claudio Sottocornola sfida i lettori a interrogarsi sui perché dell’umanità, fornendo un’analisi critica e oculata delle tematiche trattate sotto diversi punti di vista, tutti atti a stimolare il dialogo, l’ulteriore ricerca e la curiosità. Quali sono le forme narrative adatte per la nostra nuova società? Gli animali possono ancora essere considerati solo una fonte proteica da inserire nel nostro piatto? Esistono forme di vita intelligenti, oltre a noi e se sì, come la scienza trova un compromesso con la religione? Come i gender studies possono aprirci gli occhi sul mondo contemporaneo?

L’autore prova a dare una risposta a tutti questi interrogativi servendosi di diverse fonti e usandole in maniera puntuale per creare una trama narrativa ricca e coinvolgente, permettendo a ciascuno di aggrapparsi alle realtà meglio conosciute e avvicinarsi in punta di piedi alle altre, accogliendole o scontrandosi, in un cerchio che si apre e si chiude armonicamente senza mai risultare perentorio o saccente. Le domande vengono affrontate analiticamente ma la risposta non risulta chiara e univoca, permettendo a ciascuno la riflessione e la creazione interiore di una propria versione, di una propria verità, permettendo però ai lettori di avere gli strumenti per andare nella giusta direzione.

In un’azione che ripercorre l’attività ermeneutica dei grandi filosofi del passato, Sottocornola cerca di unire diverse voci e di dedicare a tutte lo spazio necessario per farle vibrare, permettendo al fil rouge dell’eterna attesa, che pure viene subito dichiarato dal titolo biblico, di agire indisturbato in sottofondo.  

“A che punto è la notte” ci proietta in un buio metafisico, un continuum notturno dal quale sembra difficile uscire ma non impossibile se le tenebre vengono scalfite con la giusta luce, quella della conoscenza e soprattutto della ricerca a cui si vuole dare una risposta.

 

L'AUTORE

Claudio Sottocornola (Bergamo, 1959) si è laureato all’Università Cattolica di Milano con una tesi in Storia della teologia. Già ordinario di Filosofia e Storia nei licei, è stato anche docente di IRC, Materie letterarie, Scienze dell’educazione e Storia della canzone e dello spettacolo alla Terza Università di Bergamo. Iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 1991, ha collaborato con diverse testate, radio e tv.

Come filosofo si caratterizza per una forte attenzione alla categoria di interpretazione, alla cui luce indaga il mondo contemporaneo, ed ha spesso utilizzato musica, poesia e immagini per parlare a un pubblico trasversale, nelle scuole, nei teatri e nei più svariati luoghi del quotidiano.

È autore di numerose pubblicazioni, che coinvolgono tre aree tematiche prevalenti: l’autobiografia intellettuale, la cultura popular contemporanea, l’attuale crisi del sacro in Occidente e la sua possibile rimodulazione teologico-filosofica.

Fra le opere più recenti, Saggi Pop (Marna, 2018), Parole buone (Marna/Velar, 2020), Occhio di bue (Marna, 2021), Tra cielo e terra (Centro Eucaristico, 2023), Così vicino, così lontano (Velar, 2023).




giovedì 29 agosto 2024

L'ultimo libro di Sarah Cogni: "Anna Lobont"


Seguo Sarah Cogni dal 2012, anno, anzi, estate, in cui scoprii la sua passione per la scrittura, con un focus particolare sui romanzi storici e su eventi ambientati in un passato da lei indagato nei dettagli, trasformati poi in elementi utili alla sua narrativa piacevole e intelligente.

In rete è possibile reperire facilmente la sua biografia e il frutto del suo impegno, nonché le scelte di vita che hanno portato lei e la sua famiglia ad una vita defilata in quel di Frabosa Soprana, alla ricerca di una qualità esistenziale che si trova più facilmente in un ambiente bucolico, che credo sia poi fonte di ispirazione e concentrazione, tessere necessarie all’interno del puzzle creativo.

Nel mese di maggio è uscito “Anna Lobont”, Morellini Editore, un libro che ho divorato e il motivo, credo, scaturirà nelle prossime righe.

La lettura suscita diversi sentimenti, tocca il cuore della persona sensibile e riesce a coinvolgere, ad eliminare il distacco tra finzione e realtà, permettendo al lettore di diventare parte del contenitore creato dall’autrice.

Immagino che Cogni non tratti fatti di cui è stata testimone più o meno diretta, ma storie simili, con miglior o peggior epilogo, dominano il mondo, quello attuale e quello più antico.

Al centro del romanzo troviamo Anna, una bambina che i casi della vita portano lontano dal suo focolare - una madre che viene a mancare e un padre che decide di affrontare il futuro affidando le sue due figlie - e per questo in continuo equilibrio tra la comunità e famiglie atte alla custodia, spesso inadeguate. L’iter narrativo parte dai cinque anni di Anna - due della sorella Diana - e si conclude con i sedici anni della protagonista, momento in cui si apre una luminosa finestra in cui può entrare la luce della speranza, con la possibilità che la vita possa proporre, da quel momento in poi, un percorso sereno.

Situazioni drammatiche succedute da momenti di apparente calma, incomprensioni e delusioni per una bambina che affronta il momento della crescita in assenza dell’affetto richiesto, necessario soprattutto in quella fase di vita.

Nasce così la figura di Anna, scontrosa al punto giusto, diffidente, scostante, ribelle, spesso muta, in un caleidoscopio di disagio e resilienza in attesa, tra l’altro, del momento tradizionalmente più complicato, quello dell’adolescenza.

La musica, soprattutto quella dei Queen, diventa compagna di viaggio in un’era riconducibile agli anni Ottanta, tra “Happy Days” e “Portobello”, quando la lira era ancora di moda.

Ma qualcosa accadrà, fatti inaspettati, quasi da “noire”, mentre Anna, e di conseguenza Diana, impareranno una lezione che, con cautela, proveranno a mettere in atto, quel concetto di “dare una seconda chance” difficile da far digerire quando si è agli esordi del percorso di vita, ma avere la possibilità di ricostituire una famiglia, forse, vale qualche azzardo, un rischio da correre mentre ci si accorge che sentimenti come amicizia, amore e rispetto, possono guarire anche chi alberga nella propria mente i pensieri più oscuri.

Come accennato, ho letto con frenesia le vicende di Anna Lobont e di chi la circonda, apprezzando totalmente la scrittura scorrevole di Sarah Cogni, pronta a cogliere particolari che arricchiscono un racconto che potrebbe costituire la trama di un film.

Consigliatissimo!

Mi disse un giorno Sarah, quando uscì il suo primo libro: “La mia passione per la scrittura nasce parecchi anni fa quando, ragazzina delle superiori, mi dilettavo a scrivere piccole storie o romanzetti stile “Teenager”, che, riletti ora, mi fanno sorridere...”.

Beh, di strada ne è stata fatta!

Sarah Cogni è nata a Genova, dal 2018 vive con la famiglia a Frabosa Soprana. Insegnante di Scuola dell’Infanzia dal 1996, nel 2012 pubblica il suo primo romanzo storico, Il coraggio di Angela, cui nel 2013 fa seguito il secondo e ultimo capitolo di questa saga familiare, Il sentiero di Emma. Nel 2014 viene pubblicata la raccolta di racconti Magie di un Natale passato. È poi la volta del romanzo storico La signora dei gabbiani, nel 2016, e de La finestra sul ciliegio, nel 2018; nel 2020 viene pubblicato il breve romanzo storico Quando saremo liberi (Amazon kdp) e nel 2021 La bottega delle buone cose (Araba Fenice Edizioni).




venerdì 12 luglio 2024

Commento al libro "Villa Ponente", di Paola Zagarella.

 


Un incontro casuale in una libreria, savonese, mi ha condotto sulla strada di una scrittrice, genovese, che proponeva l’ultimo risultato della sua passione attraverso una delle tante pubblicizzazioni possibili, il “firmacopie”.

In realtà il primo contatto è avvenuto con mia moglie, mentre io girovagavo tra i book nel reparto “narrativa musicale” alla ricerca, vana, di qualcosa di cui sono autore.

Dopo una breve conoscenza - e la scoperta di amicizie comuni - arriva l’acquisto, sulla fiducia, dovuta anche all’effetto “induzione”, ovvero… se conosce Sarah Cogni e ne condivide sentieri e idee, sarà sicuramente brava!

Lei è Paola Zagarella, e da quanto si evince dalle note ufficiali esordisce con una pubblicazione del 2020 (“Storie di una donna di oggi”), per poi proseguire l’attività sino ad arrivare all’oggi, rappresentato dal nuovo libro “Villa Ponente”.

Mi allargo e immagino scenari, magari sbagliando, ma ci provo.

Paola mi appare membro di un club nutritissimo, quello di chi trova forza, coraggio, magari solo l’occasione, di realizzare nel corso della maturità ciò avrebbe potuto essere il percorso della vita.

Accade in tutti i settori, dalla musica alla pittura, in ogni rappresentazione dell’arte e della creatività, e basterà lasciar scorrere poche pagine del book per catturare le grandi qualità dell’autrice.

Sono abituato al commento di situazioni musicali e oggi invado un campo che non mi appartiene, e quindi il mio pensiero è quello del comune lettore, che sente il bisogno di dire la sua alla fine di una lettura gratificante.

L’ambientazione in cui si snodano le vicende della famiglia Ponente mi è nota, un paese decentrato rispetto alla città, come ce ne sono tanti in Liguria, luogo perfetto per la narrazione di una saga familiare che si concentra sulla vita e sulle azioni di una famiglia, seguendone le vicissitudini di generazione in generazione e raccontando il modo in cui i suoi membri sono legati gli uni agli altri da scelte, tradizioni e destini personali.

In uno spazio temporale tutto sommato contenuto si dipanano le vite di un nucleo di anime benestanti, invidiate, chiacchierate, giudicate, osservate senza neanche troppa discrezione.

Una stirpe che nasce dall’intuito e dalle capacità di una persona, il capostipite da cui si diramano le naturali derivazioni, il generatore di nobiltà e ricchezza, il giovin Carlo, da cui tutto nasce e prolifica, attraverso l’opera degli eredi.

Un’azienda che funziona, una villa vicino al mare, un piacere nel rimarcare le diversità di ceto e di possibilità.

All’interno del nucleo famigliare si snodano vicende tipiche del patriarcato, ma il focus è rappresentato dai tanti aspetti relazionali, uno su tutti il rapporto tra le due sorelle Carla e Aurelia, lontane anni luce per quanto riguarda la visione del mondo, ma legate da qualcosa di profondo che emerge con lo scorrere delle pagine.

Ma se il rapporto tra sorelle riporta a differenze naturali - spesso incomprensibili -  tra persone coeve, quello esistente tra figlie e genitore è altrettanto complesso, ed evidenzia egoismi e pretese che, almeno all’apparenza, nulla hanno a che fare con l’amore, e mentre la pellicola scorre e gli anni passano rapidamente, le vicende presentano una drammaticità coinvolgente, e appare complicato non trovare connessioni con situazioni vissute personalmente.

Le scelte condizionano il futuro, come nel caso di Carla e Lia, e quando manca la forza di ribellarsi a ciò che altri hanno stabilito per noi, quando non è chiaro dove sia il giusto e il meno appropriato, quando una personalità importante sovrasta chi possiede meno forza morale, la nebbia si fa spessa, e l’idea che basterà solo aspettare affinché il cielo possa tornare limpido appare pura utopia.

La progressione temporale che descrive lo scorrere della vita di Lia induce profonda tristezza nel lettore, che intravede nella protagonista principale l’ovvia infelicità unita all’incapacità reattiva esasperata, mentre sullo sfondo emergono i tipici profumi della Liguria al passaggio delle stagioni.

Inaspettato l’epilogo, ma non mi spingo oltre per ovvi motivi.

Ho letto “Villa Ponente” tutto d’un fiato.

Trovo che il modello narrativo proprio di Paola Zagarella sia molto efficace, capace di mettere al centro messaggi universali conditi dalla piacevolezza del racconto e dei dettagli, ed è quindi un libro molto “trasversale” che consiglio a chiunque possegga un po’ di sensibilità e virtuosismo.

Chiudo con la dedica iniziale dell’autrice, una frase che faccio mia per sempre…


A chi non c’è più… e alle loro foto sui comodini.