West Virginia

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Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

venerdì 22 agosto 2014

“Ufficio di scollocamento”, di Simone Perotti e Paolo Ermani.



Avevo la ferma intenzione di recensire - parola grossa! - “Ufficio di scollocamento”, di Simone Perotti e Paolo Ermani.
Mentre Simone scriveva una dedica sul libro appena acquistato, gli anticipavo le mie intenzioni: “Lo leggo e butto giù qualcosa”… una promessa? Una minaccia? Sarebbe certamente più utile se le parole uscissero copiose e obiettive, e venissero pubblicate dal quel famoso giornalista da lui citato, censore volontario per “esigenze politiche”. Ma il mosaico si completa con tanti minuscoli frammenti, e alla fine anche il mio pensiero potrà forse rappresentare un piccolo contributo alla diffusione di questo saggio atipico.
Purtroppo sono esageratamente coinvolto da situazioni personali, e risulterà alla fine impossibile il restare entro i confini che normalmente si dovrebbero rispettare in queste occasioni.
Parto quindi dalla genesi di questa mia conoscenza per esaltare il positivo derivante dalla tecnologia avanzata, fatto doveroso perché senza di essa non avrei probabilmente mai conosciuto “Ufficio di scollocamento” e uno dei suoi autori.
E’ un mercoledì sera quando nella posta elettronica trovo l'usuale comunicazione della Libreria Ubik, foriera di novità e di futuri incontri.
Il titolo del book mi colpisce immediatamente e le note di accompagnamento sono talmente efficaci che d’istinto cerco “Simone Perotti” su facebook e lo trovo. Scrivo d’istinto un piccolo messaggio e dopo un’ora trovo una risposta, e mi convinco che il giorno dopo, alle 18, devo ascoltare cosa lui ha da dire, nella mia città, Savona.
Arrivo con un po’ di anticipo e lo vedo girare nelle vie circostanti, lo chiamo e pare si ricordi di me; qualche parola e prendiamo posto nella saletta dove il libro verrà presentato.
Prima di proseguire nel racconto della giornata devo evidenziare che mai mi era capitato di trovarmi nella situazione in cui l’esposizione e l’interazione avessero una tendenza verso l’infinito; se l’incontro fosse stato programmato in un’ora più favorevole - ma le 18 sono perfette per la maggior parte dei casi- tre ore non sarebbero bastate, tenuto conto che una l’avrei portata via io. Vedremo qualche dettaglio in più a seguire.
Scollocarsi” non è un gioco di parole, ma è esattamente il contrario di ”collocarsi”, e sta a significare, in soldoni, smettere di lavorare e cominciare a vivere. Detto così suona come utopistico, anarchico, superficiale, riassunto populistico di un comune malessere che trova facili consensi.
E per “scollocarsi” nascono reali “uffici di scollocamento”, sparsi in tutta Italia, e gestiti con professionalità, con l’intento di aiutare a cambiare vita.
Non posso proseguire senza sottolineare che non ho avvertito nessuna posizione politica specifica. E’ questo un libro politico, e far riflettere sulla necessità di lasciare il mondo del lavoro significa assolutamente fare politica, ma non saprei attribuire a Perotti nessuno dei colori che siamo soliti dare, seguendo categorie ben conosciute  e rassicuranti.
Aggrapparsi alla situazione sociale attuale, immaginando di essere  buoni manager, e ipotizzando quindi la realtà, fatta di disastrosi scenari futuri, porta con facilità a condividere il pensiero contenuto nel libro.
La nostra società non funziona… non funziona più, e qualcuno avrebbe dovuto spingerci a pensare per tempo che non si può crescere all’infinito e che il momento della saturazione non era cosa che riguardava altri. Sarebbe lungo, ma facile, fare ora un elenco delle cose che abbiamo assorbito, accumulato, e ritenuto indispensabili per uniformarci, incoscienti e speranzosi che la cosa potesse durare per molto, almeno sino alla pensione, momento tutt’altro che destinato al riposo, ma, al contrario, l’inizio della vera vita.
E come è noto tutto quanto ci è ora negato da chi ha deciso che l’asticella si è alzata e che vivremo molto più a lungo. Beh… riutilizzo la parola “manager”, perché in uno dei miei innumerevoli corsi sulla comunicazione mi è stato spiegato che “… il MANAGER ha la capacità di prevedere scenari futuri e quella di pianificare le azioni atte a guidare i cambiamenti”, e quindi i  grandi manager del momento sono al lavoro secondo l’assioma appena citato, e ci aspetta un roseo percorso da settantenni.
Non credo che il problema sia ciò che sta accadendo ora, o ciò che è avvenuto venti… trenta anni fa, con differenti “conduttori” al potere. Mi sono guardato attorno, ho posato un occhio sull’azienda in cui lavoro, assumendola come significativa e rappresentativa di qualcosa di più generale, e  ho pensato alle persone che la popolano, tutti, senza esclusione alcuna: operai, impiegati, quadri, dirigenti… nessuno, nessuno, nessuno, ha scelto il mestiere che esercita… tutto è stato casuale, fortuito, necessario per la sopravvivenza, per la formazione di quel microcosmo familiare che potesse ricreare il modello sociale che altri hanno disegnato per noi, e che alla fine abbiamo ritenuto fosse l’unico possibile, e degno della medaglia dopo i venticinque anni di lavoro, per non parlare dell’orologio d’oro dei trentacinque, a un passo dalla pensione. In realtà è un mondo di infelici, dove far passare la giornata è un enorme peso psicologico, oltre che, in molti casi, fisico. Un mondo di lavativi e fannulloni? Ingrati? Superficiali?
Simone Perotti (non ho idea dell’età di Paolo Ermani) ha capito precocemente ciò che prima o poi tutti riescono a capire, con il raggiungimento di una certa età, ma credo che certi sentimenti siano più forti in chi ha avuto buone opportunità di carriera, in chi godeva nel raccontare le sue dodici ore di lavoro medie, in chi si crogiolava nel raccontare che aveva dovuto trascurare la famiglia e i propri piaceri, in chi ha avuto una sana ambizione che magari lo ha condotto ad immedesimarsi con chi era la causa del suo enorme impegno, arrivando persino ad acquistare l’auto privata uguale, per colore e tipologia, a quella aziendale!
E arriva il giorno della verità, e tutto crolla, perché si realizza che il tempo a disposizione è limitatissimo e non si può più perdere un attimo e occorre pensare a vivere realmente, a dedicarsi a se stessi e ai propri cari, a osservare ciò che ci circonda, ad apprezzare le piccole cose, a imparare tutto ciò che prima non interessava o si pensava non potesse interessare, ad oziare.
I manager- sempre loro- che ci spiegano che avremo tempo per tutto questo perché vivremo a lungo, sono purtroppo poco credibili, e tutti i buoni proposti appena elencati riempiranno il libro dei sogni.
Ma il cambiare vita, secondo gli autori, diventerà una necessità, perché i presupposti su cui si è basato sino ad oggi il nostro benessere sono destinati a cadere.
Il libro di cui sto scrivendo propone cose concrete, e la nascita dei primi “uffici” ne è la prova.
La scelta di rinunciare a quella che è considerata tradizionalmente “la sicurezza di un futuro sereno”, è quella fatta da Perotti, che dopo venti anni di lavoro nel settore della comunicazione, con stipendio invidiabile e prospettive luminose -secondo canoni conosciuti- ha deciso di vivere in modo alternativo.
Casa decentrata e posta a contatto con la natura, autoproduzione di ciò che necessita (energia, cibo e prodotti della terra), antica pratica dello scambio, lavoro stagionale nel campo da lui conosciuto, quello della navigazione, riduzione massima di esigenze e costi, fabbisogno mensile ridotto al minimo consentito.
Gli uffici di “scollocamento” hanno quindi il compito di guidare il cambiamento e formare e supportare chi decide almeno di provare, seguendo il proprio istinto.
Il fenomeno non è certo nuovo ed esistono comunità fuori dai nostri confini che sono decisamente collaudate, così come non mancano gli esempi di chi ha estremizzato il concetto ed ha rinunciato completamente al denaro, per non parlare di chi, già nel secolo scorso, teorizzava la necessità di vivere secondo determinati canoni più a misura d’uomo.
La discussione nel corso della presentazione è stata davvero coinvolgente e ha stimolato domande di un certo spessore. Ma il fatto sorprendente e che l’incontro è “cresciuto” col passare dei minuti sino al punto massimo, registrato quando una donna presente si è consegnata nelle mani di Simone Perotti, chiedendo conforto per le proprie coraggiose scelte - come quella di aver optato volontariamente per il part time- e operando una sorta di confessione che ha dato la sensazione di  una liberazione terapeutica.
Ciò che sto trattando con una buona dose di cosciente e ricercata superficialità, e cioè i dettagli dell’opera, dovranno essere scoperti, step by step, nel corso della lettura.
Personalmente sono rimasto entusiasta dai principi e ritengo che ciò che gli autori hanno illustrato debba costituire uno stimolo alla riflessione; tra il bianco e il nero ci sono una vasta gamma di tonalità che rappresentano la posizione che ognuno di noi può assumere, magari modificandola col passare del tempo. L’importante è prendere coscienza che è finito il mondo che abbiamo ingenuamente creduto fosse l’unico possibile e che la “crescita continua” era un’illusione e, con un po’ di attenzione in più, lo avremmo potuto capire da tempo. Questa consapevolezza può portarci almeno a qualche piccola variazione nello stile di vita che, se passata ai nostri figli, può essere l’origine del vero cambiamento culturale.
Avrei potuto essere al posto di Perotti o meglio, assieme a lui, alla Ubik, e sarei stato in grado di parlare per ore, per giorni, forse, dando spunti per confermare le parole dello scrittore. Lo farò in altro modo, iniziando dal diffondere questo mio scritto.
In tutto quanto sentito e letto ho però trovato qualcosa che rende difficile l’applicazione in determinati casi, nonostante la convinzione di operare scelte coraggiose.
Colgo poche parole tratte dal libro: “ Lo scollocamento è una scelta dell’individuo…”. L’impressione che ho avuto è che, se da un lato capire e agire può essere fatto estremamente rapido, dall’altro diventano proibitive le scelte collettive, laddove i componenti di una famiglia, fatta di uomini e donne inseriti in contesti conosciuti, possono non condividere o non percepire il bisogno di cambio di rotta, così come la tranquillità economica può essere necessaria in alcuni momenti fondamentali, come ad esempio il completamento di un ciclo di studio.
Simone Perotti potrà darmi qualche delucidazione supplementare, ma credo che lui  e Paolo Ermani abbiano centrato almeno parte dell’obiettivo, consapevoli che i cambiamenti culturali richiedono del tempo, e che il loro libro è un concentrato di stimoli che vanno nella giusta direzione.
Da qualche parte occorre iniziare, senza pensare di scalare in un sol giorno una montagna, e una piccola e inusuale azione, prolungata nel tempo, può fornire il coraggio necessario ad un passo successivo. “Ufficio di scollocamento” mi ha dato la spinta per attuare una prima piccola, significativa modifica… e altre seguiranno, in quello che poteva essere lo speranzoso sottotitolo del libro…”effetto domino”.



“Ufficio di scollocamento” ,  di  Simone Perotti e Paolo Ermani
Editore Chiarelettere


INFO DALLA RETE

Simone Perotti (www.simoneperotti.com) dopo quasi vent’anni di lavoro nel settore della comunicazione ha lasciato tutto e oggi si dedica a scrivere e navigare. È autore del primo libro che ha portato in Italia il fenomeno del DOWNSHIFTING (scalare marcia, rallentare), ADESSO BASTA (Chiarelettere 2009, 11 edizioni). Con Chiarelettere ha pubblicato anche AVANTI TUTTA (2011).

Paolo Ermani (www.pensarecomelemontagne.it), presidente dell’associazione Paea (Progetti alternativi per l’energia e l’ambiente), da oltre due decenni lavora sui temi energetici, ambientali e degli stili di vita. Ha pubblicato, con Valerio Pignatta, PENSARE COME LE MONTAGNE (Ed.Terra Nuova 2011). È tra gli ideatori del quotidiano on line “Il Cambiamento”.


lunedì 4 agosto 2014

“Stelle grigie-racconti”. il libro di Luca Vicenzi



Ho da poco terminato la lettura di  “Stelle grigie-racconti”, in una modalità per me anomala, un file PDF che scorre più o meno veloce sotto ai miei occhi. Pare sia il futuro, ma la carta, se si parla di libri, resta ancora la mia scelta primaria.
Dopo l’immagine iniziale, capace di dare indicazioni, se si possiede un certo allenamento e un minimo di sensibilità, sono “caduto” sulla prefazione di Emanuele Rozzoni, eminente letterato che fornisce una sua visione precisa dell’autore e della sua opera.
Per avere un’idea della lunghezza dello scritto, ho fatto scorrere velocemente il cursore e mi sono arrestato sulla postfazione di Fabrizio Fantoni, professionista nel campo della Psicologia e Psicoterapia, che nell’occasione indaga sui personaggi e sulle ambientazioni che li vedono in azione, motivando alcuni comportamenti all’interno di episodi caratterizzanti, utilizzati per un’analisi precisa e coinvolgente.
Raccontata così potrebbe sembrare l’inutile scoperta dell’assassino, in un giallo avvincente, prima di aver letto le premesse, e come ci viene spesso ricordato, l’obiettivo non è la meta, ma il percorso. Concordo.
Ciò che Luca Vicenzi descrive non è fortunatamente materia per soli esperti e studiosi, e questo mi permette  di affermare con soddisfazione che “Stelle grigie” non è parto per sola nicchia.
Conosco Luca da molti anni, ma non lo conosco.
Specifico, non ho mai avuto il piacere di un incontro personale, ma attraverso conoscenze comuni e un po’ di sana tecnologia, sono entrato nel suo mondo musicale, ho conosciuto i suoi progetti, e ho estrapolato un’immagine di genio, che crea indipendentemente da ciò che il mercato vorrebbe, utilizzando il mondo dei suoni per comunicare, anche se l’impressione è che sia più importante la ricerca rispetto alla preoccupazione di essere compresi sino in fondo. Sì, la musica che ho assimilato, la sua musica, non si preoccupa dell’eventuale isolamento, e forse proprio in quello trova una buona motivazione nello sperimentare.
Intendiamoci, il problema riguarda migliaia di anime che rifiutano la sfera commerciale, ma nel caso specifico, ritornando al libro, posso dire che quanto ho letto non mi ha stupito, anzi, ha arricchito la mia picture di Luca, confermando le impressioni basate su alcuni CD e su qualche scambio di battute via mail, diventate poi interviste.
Luca Vicenzi snocciola una serie di racconti - ventidue mi pare - che sforando nel campo musicale potrei definire elementi di un concept album, interconnessi tra loro, eppure episodi singoli che vivono di vita propria.
Ripensando ai diversi momenti in cui ho portato avanti la lettura, direi che ogni narrazione potrebbe essere considerata rappresentativa dell’intero libro, essendo un concentrato capace di contenere un significato che si ritrova cammin facendo, riga dopo riga.
Se dovessi dare un colore con cui dipingere adeguatamente il libro, associando umore a contenuti, non esiterei nell’usare il grigio, sfumatura che mi ha accompagnato per tutta la lettura, e sono certo di non essere stato influenzato dal titolo dell’opera.
Impossibile non immedesimarsi in una delle tante situazioni descritte, talmente reali che devono per forza far parte del vissuto - più o meno diretto - di Vicenzi.
Stati di disperazione, di alienazione, di disagio acuto, di apparente sollievo e rapido ritorno alla realtà, con epiloghi che aspettano una continuazione, e momenti in cui si è presi dall’angoscia. E’ un racconto del sociale malato che è ben conosciuto, che per lungo tempo si legge solo nei contenitori di altri, mantenendo le distanze, e che poi arriva a colpirci quando meno ce lo aspettiamo, e capiamo magari che da tempo era in atto una pericolosa convivenza, forse latente, inconscia, all’improvviso manifesta.
Mestieri precari, amori impossibili, racconti di fantasia, con un fondo estremamente corposo che si chiama solitudine, anche in mezzo a milioni di persone.
Viviamo in un’era caratterizzata da immense possibilità tecnologiche, e la comunicazione viaggia in un nanosecondo verso gli estremi del mondo, rimandandoci indietro una risposta, più o meno soddisfacente, nello stesso spazio temporale. Eppure… nessuno è capace di ascoltare, in modo attivo intendo.
La lettura ha contemplato numerose soste riflessive, e in una di queste mi è venuto spontaneo pensare a quante persone ho conosciuto nella vita capaci di “saper ascoltare”, e la risposta che mi sono dato è drammatica, perché, ben che vada, sono racchiuse nel pugno di una mano.
Che cosa può alleggerirci nel percorso? Cosa può attenuare il dolore?
Forse condividerlo senza pudore, alla ricerca di un positivo punto di incontro.
Forse il viaggio della nostra vita, reale o immaginario, purché in corretta compagnia.
Il tutto non può prescindere dall’amore, anch’esso da mettere in comune, amore per una donna, per un uomo, per qualsiasi entità capace di dare una risposta e chiudere il loop. O forse il solo sapere donare, senza chiedere niente in cambio, è un modello perfetto a cui ispirarsi.
Ritorno alla musica, una trama scritta apposta per “Stelle grigie”.
Abbandona per un attimo l’avanguardia, la sperimentazione, l’elettronica, Luca.
Inventa qualcosa che possa diventare il sottofondo dei tuoi personaggi, dall’operaio demotivato all’impiegato frustrato, dall’amante ferita al tassista vissuto.
Ma inventa soprattutto la colonna sonora dell’infelicità diffusa di cui racconti.
Per me è chiara la scelta, solo un lungo e sofferto blues può esprimere certi sentimenti: “no pain no blues…”. E assieme al grido di dolore nascerà anche la speranza che solo quella musica è capace di contenere, una visione che tende ad allontanarsi dal grigiore a cui accennavo, verso la ricerca di colori più decisi e positivi, gradazioni che hanno a che fare con la certezza che prima o poi qualcosa accadrà. E noi sapremo cogliere l’attimo.

“E dopo un viaggio lungo una vita, muovendo sempre nella stessa direzione, si ritrovò al punto di partenza, con occhi nuovi per vedere, e finalmente la sua sete si placò: la meta era raggiunta, finalmente a casa...".