West Virginia

West Virginia
Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

venerdì 31 ottobre 2014

Il mio Halloween




Oggi è il 31 ottobre.
Per noi italiani non è un momento particolare, se si esclude il fatto che rappresenta il passaggio verso l’inverno “vero”.
Ma le tradizioni cambiano a seconda del paese ed è risaputo che in America, ad esempio, oggi si celebra una festa decisamente importante, e non solo per i ragazzi.
Sto parlando di Halloween, cioè quel particolare giorno in cui i ragazzi si vestono come i nostri a carnevale, e girando di casa in casa “arraffano “ dolci formulando la fatidica frase: ”Dolcetto o scherzetto?”.
Da un pò di anni anche gli italiani si sono adeguati.
I giovani intravedono l’occasione per un divertimento supplementare ed i negozianti incrementano le vendite.
Ma francamente, la “nostra festa” ha un sapore lontano da quello visto in TV, nei film americani.
Sarà poi vero ciò che ci propinano da sempre?
Sì e’ vero, ho avuto la fortuna di provarlo, del 1996, e ho un ricordo bellissimo, che avevo descritto così:

“… il 31 ottobre è una tradizione in America, come il Tank’s Giving o appunto il Natale: Halloween!
Il paese dove mi trovo si chiama Boochannon, in West Virginia.
Sono invitato al party di una persona in vista. E’ il mio ultimo giorno in questo posto e sono un pò come ... un cliente, e tutti mi seguono con riguardo.
La casa è la solita mega abitazione, rigorosamente di legno, ed è disposta in linea con decine di case simili, e sul lato opposto la scena si ripete.
All’entrata di ognuna di esse è posizionato un cestino pieno di dolci, in attesa dei bambini mascherati.
La mia videocamera riprende tutto, dalle decine di invitati che riempiono tutti gli ambienti sino ai numerosi bambini che girano per le strade, con maschere spaventose.
Un gruppo variopinto arriva e sale i gradini con mani posticce che escono da ogni parte del corpo, io mi avvicino e mi faccio immortalare, tra gli schiamazzi assordanti, mentre sento la canonica frase:” Trick-or-treat?”.
E’ una festa incredibile, bambini ovunque, strade stracolme, vestiti di ogni genere... un carnevale atipico che sa contagiare anche chi, come me partecipa per la prima volta.
Cosa da bambini forse, ma talmente nitide e precise nei miei ricordi che vale la pena ricordarle…”

Difficile da spiegare l’aria che si respirava, l’atmosfera festaiola e contaminante.
Probabilmente il mio amore per quel paese mi rende poco obiettivo …
Sentiamo qualcosa che si riferisce all' America… suonato da inglesi, messi sotto accusa per aver bruciato polemicamente la bandiera a stelle e strisce, durante un concerto.

America (The Nice)





lunedì 27 ottobre 2014

Perfect day



Un piccolo ma sentito omaggio ai Velvet Undergroud, a Lou Reed, a Nico.
Un pò di tempo fa ho scritto un racconto che è rimasto in forma di bozza. Ha molto di autobiografico e c’è molta musica e, bello o brutto che sia, racchiude parte del mio passato ed è quindi assolutamente da preservare.
L’ho fatto leggere a poche persone, ma non ho notato alcun tipo di entusiasmo, della serie… “nessun commento critico per non ferire”. Tutto questo non mi ha incoraggiato, ovviamente, ma mi sono onestamente detto:” se non piace a nessuno vorrà dire che ha poco valore!”. In fondo non sono uno scrittore.
Però ogni tanto lo rileggo (e ogni volta modifico qualcosa) perché è la sintesi di ciò che mi spinge a scrivere quotidianamente: non per gli altri, ma per me, per poter riviver momenti che sono riuscito a fissare per sempre sulla carta. Naturalmente non abbandono mai l'idea di condividere, qualsiasi cosa io scriva.
Un passaggio di questo racconto mi da l’occasione di omaggiare Lou Reed e Nico, personaggi che mi hanno sempre intrigato.

Ryan e Uma sono i protagonisti, fidanzati (e successivamente marito e moglie) che assistono assieme al loro primo concerto, a Pittsbourgh. L'artista è Nico, con cui hanno un incontro ravvicinato in un bar, prima della performance. Non la riconoscono, ma rimangono entrambi ammaliati da ”una donna alta, magrissima, con un viso scarno segnato da rughe profonde, e su di esso si potevano leggere le vicende di una vita vissuta intensamente.”

Non era un caso se nella notte dei tormenti, un ricordo dell’adolescenza era ancora così forte.
Al Crazy Cafè era rimasto senza respiro e ora, a distanza di anni, sentiva l’angoscia crescere, mentre accostava i dolori di Nico, e la morte a cinquantanni anni dopo una vita sempre al limite, ai dolori dell’universo, dolori che in questa notte erano tutti sulle sue spalle.
Alle immagini associò una canzone di Lou Reed che spesso aveva dedicato a Uma, ma che racchiudeva molto più di una dimostrazione d’amore per una donna.
Quel breve e semplice testo era la ricerca della tranquillità e della pace dopo tanta sofferenza e allo stesso tempo l’ammissione delle proprie colpe, e nel senso della velata confessione la canzone assumeva per lui un senso quasi religioso.
Quel tipo di sofferenza apparteneva a tutti, anche a persone “quadrate” come Ryan, e forse era questo che lo turbava e gli impediva di dormire.
La canzone si chiamava “A Perfect Day”, un giorno perfetto.

Proprio una giornata perfetto
bere sangria nel parco
e poi, più tardi, quando fa buio
tornare a casa

Proprio una giornata perfetta
dar da mangiare agli animali nello zoo
e poi, più tardi, anche un film
e poi a casa

Oh, è una giornata così perfetta
sono contento di averla trascorsa con te
Oh, una giornata così perfetta
mi fai venir voglia di restare con te

Proprio una giornata perfetta
i problemi messi da parte
turisti solitari
è così divertente

Proprio una giornata perfetta
mi ha fatto dimenticare me stesso
ho pensato di essere un altro
una persona migliore

Oh, è stata una giornata così perfetta
sono contento di averla trascorsa con te
Raccoglierai ciò che hai seminato

Si rese conto di come certe parole, estrapolate dal contesto e dalla musica che le accompagnava potessero sembrare banali, ma nella sua visione quella canzone rappresentava un mondo di dolore e un mondo di felicità, condizione oggettiva di ogni essere umano.
Col passare degli anni ci sarebbero state molte occasioni per tornare su quel brano, che Uma prese a pretesto per spiegare ciò che per lei significava una canzone.
Avendo perso l’esigenza primitiva di fare selezione musicale in funzione del nome dell’artista, Uma era arrivata a un’unica distinzione, quella tra buona e cattiva musica.
La buona musica era per lei quella che riusciva a darle forti emozioni e non quella riconosciuta in modo universale, secondo canoni stabiliti da altri.
Non era poi un percorso così facile.
Prendendo come esempio “Un giorno perfetto” aveva fatto un’analisi precisa e convincente per Ryan.

-Prendi il testo e leggilo, da solo, immagina di averlo trovato scritto su un pezzo di carta, in casa di un amico, senza sapere a cosa sia legato.
Sembrano parole che potrebbe scrivere chiunque, quasi elementari.
Ora immagina di sentire solo la musica della canzone, il testo non esiste, solo un pianoforte, una batteria molto soft e un arrangiamento apparentemente povero.
Mi sembra un passo avanti notevole, e immagina un vecchio pianista che intrattiene gli ultimi clienti del pianobar … molto, molto triste, ma capace di dare uno scossone che il testo da solo non riesce a fare.
Ora unisci le due cose, il testo e la musica. Non diventa un piccolo capolavoro?
Ma si può avere di meglio!
Cerca di capire cosa c’è dietro a quelle parole, la vita di chi le ha scritte, il contesto.
Tutto cambia prospettiva e tutto assume un significato preciso.
Prova ad andare a letto dopo averla ascoltata in questa modalità e ti troverai quasi in tranche, incapace di prendere sonno, emozionato o addolorato, sicuramente non indifferente-.
Ovviamente Uma non doveva convincere Ryan, ma era come stesse parlando a una platea di studenti, cercando di fornire elementi oggettivi e al contempo provando a spingerli nella direzione per lei migliore.

In questa notte, benedetta o maledetta, Ryan non aveva sentito “A Perfect Day “, eppure non riusciva a dormire.

giovedì 23 ottobre 2014

YES rivisitati da Michael Kuhlmann



Girovagando in lungo e largo su youtube ho scoperto una versione al piano di un capolavoro targato "YES", "Turn of the Century".
La mano è di tal Michael Kuhlmann, artista forse famoso, ma a me sconosciuto.
Mi è piaciuta moltissimo e riproporla nella doppia versione, YES e Kuhlmann, mi da l'occasione per ricordare un gruppo immenso, una canzone senza tempo e oltre ogni etichetta, e dei musicisti impareggiabili.

Mi lascia uno strano sapore il rifacimento di un brano prog per la delizia di un maturo e attento pubblico, in un contesto serioso e classico. Questi artisti, a cavallo tra gli anni 60 e 70, avevano davvero qualcosa in più, a partire dalle idee per terminare col coraggio, passando per uno straordinario talento.

YES-Turn of the Century





Michael Kuhlmann-Turn of the Century




mercoledì 22 ottobre 2014

La strage di Bel Air


Ricordando il quarantennale di Woodstock, ho collegato che in contemporanea (una settimana prima) avvenne la strage di Bel Air.
Ero rimasto molto impressionato, all’epoca, dall’intera storia ma non l’avevo collocata nel giusto periodo, anche perché passarono due anni dal momento della strage alla scoperta della verità.
Le immagini di allora erano piene di dettagli dolorosi e i nomi di “personaggi” come Linda Kasabian, Susan Atkins o Charles «Tex» Watson divennero familiari e stimolarono una curiosità morbosa negli adolescenti dell’epoca.
Tra quegli adolescenti c’ero anche io e ricordo che l’evento fu accostato in qualche modo al mondo hippie , quello che tanto ci affascinava agli albori degli anni 70.
Ovviamente le filosofie di vita erano opposte e la non violenza dei figli dei fiori era anni luce lontana dalla ferocia della Manson’s Family, ma il semplice fatto che quella macabra tribù vivesse in piena comunione, favorì la similitudine.
Vorrei ricordare nei dettagli quei giorni, ma per farlo attendo di leggere il seguente libro di Vincent Bugliosi, l’uomo che scoprì la verità: “Helter Skelter, Storia del caso Charles Manson”.
Nel frattempo pubblico la breve storia trovata in rete.
Ne ho lette molte, con sfumature diverse, ma tutte evidenziano il percorso di vita drammatico che ha portato Charles Manson a diventare una delle menti più “feroci” e assassine di tutti i tempi, e quella che può sembrare una sorta di tentativo di giustificazione, credo sia in realtà la voglia di indagare e capire come si possa arrivare a tanta violenza gratuita, come si riesca ad abusare e infierire sul corpo di una giovane donna prossima alla maternità, come si possa pensare di uccidere ed essere nel giusto.

Uno dei più famosi assassini della storia, lo psicopatico che ha dato adito a una serie innumerevole di leggende e di falsi resoconti sulla sua vita: Charles Manson è il prodotto malato di quello che furono gli sconvolgenti e irrefrenabili anni '60, il frutto marcio di una falsa idea di libertà partorito dalla frustrazione di non essere nessuno, mentre molti "nessuno" diventavano qualcuno.
Seguace dei Beatles e dei Rolling Stones, voleva diventare famoso: non riuscendoci con la musica, nel suo delirio ha scelto un'altra e ben più trasgressiva strada.
Nato il 12 novembre 1934 a Cincinnati, Ohio, l'infanzia del futuro mostro è stata assai squallida e segnata da continui abbandoni da parte della giovane madre, una prostituta alcolizzata, finita poi in carcere con lo zio per rapina. Il giovane Charles Manson imbocca ben presto la carriera del criminale, tanto che all'età di trent'anni, dopo una vita passata fra vari riformatori, ha già un curriculum da record, completo di contraffazioni, violazioni di libertà vigilata, furti d'auto, tentate fughe dalle carceri, aggressioni, stupri di donne e uomini.
Nel 1967, rilasciato definitivamente dopo anni di violentissime detenzioni in galera, in cui conobbe stupri ed abusi di ogni genere, sia fatti che subiti, comincia a frequentare la zona di Haight-Sansbury a San Francisco. Nel pieno della cultura hippy fonda una comune, poi ribattezzata in seguito con il nome di "Famiglia Manson". Nel suo periodo di punta, la Famiglia contava qualcosa come cinquanta membri, tutti naturalmente soggiogati dal carisma violento e fanatico di Charles. Il gruppo presto si trasferisce in un ranch nella valle di Simi dove si dedica alle attività più varie, tra la musica dei Beatles (Manson era convinto di essere il quinto Beatle mancato), il consumo di LSD e altre droghe allucinogene. Essendo sostanzialmente un gruppo di sbandati (Manson aveva raccolto intorno a sé tutte persone con gravi difficoltà di inserimento sociale o giovani dal passato difficile), la Famiglia si dedicava inoltre ai furti e agli scassi. Charles Manson intanto profetizza la cultura satanica e l'olocausto razziale che avrebbe dovuto portare la razza bianca al dominio totale su quella nera. E' in questo periodo che si consumano i primi bagni di sangue.
La notte del 9 agosto 1969 avviene il primo massacro. Un gruppo di quattro dei ragazzi di Manson irrompe nella villa dei coniugi Polanski a "Cielo Drive". Qui ha luogo la tristemente nota carneficina che vede coinvolta, come povera vittima sacrificale, anche l'attrice Sharon Tate: la compagna del regista all'ottavo mese di gravidanza, viene accoltellata ed uccisa. Con lei vengono trucidate altre cinque persone, tutti amici di Polanski o semplici conoscenti. Roman Polanski si salva per puro caso perchè assente per impegni di lavoro. La strage non risparmia comunque il guardiano della villa e lo sfortunato giovane cugino capitato sul luogo del delitto. Il giorno dopo stessa sorte tocca ai coniugi La Bianca, anch'essi assassinati nella loro casa con più di quaranta coltellate nel petto. E l'eccidio continua con l'uccisione di Gary Hinman, un insegnante di musica che precedentemente aveva ospitato Manson e la famiglia. Sono le scritte "morte ai maiali" e "Helter skelter" (nota canzone dei Beatles il cui significato simboleggiava la fine del mondo) tracciate con il sangue delle vittime sulle pareti della casa a condurre l'avvocato Vincent T. Bugliosi sulla pista di Charles Manson.
E' l'avvocato stesso a portare avanti la maggior parte delle indagini che durano oltre due anni. Convinto che a tirare i fili di questi macabri delitti vi sia proprio Manson, Bugliosi visita più volte il ranch "comune" dove intervista i ragazzi per cercare di capire come dei giovani innocenti si siano potuti trasformare in assassini spietati.
A poco a poco il puzzle viene assemblato: gli omicidi Tate-La Bianca-Hinman, e gli altri fino a quel momento rimasti estranei alle piste di indagine seguite dall'avvocato, sono tutti collegati. Gli autori sono proprio questi ragazzi appena ventenni che agiscono sotto i poteri allucinogeni delle droghe e, soprattutto, sotto l'influsso di Charles Manson. Arrivano anche le confessioni che inchiodano il loro mandante supremo. E' in particolare Linda Kasabian, un'adepta della Famiglia, la quale aveva fatto da palo all'omicidio di Sharon Tate, a divenire il più importante testimone d'accusa.
Nel giugno del 1970 comincia il processo contro Manson, poi ricordato come il più lungo mai svolto negli Stati Uniti, con oltre nove mesi di dibattimento. Il glaciale Manson, nella sua follia, confessa tutto e anche di più. Rivela che fra gli obiettivi della Famiglia, improntati alla sua filosofia malata, vi era quello di eliminare quanti più personaggi famosi possibile, fra cui emergono, tra i primi, i nome di Liz Taylor, Frank Sinatra, Richard Burton, Steve McQueen e Tom Jones.
Il 29 marzo 1971 Charles Manson e i suoi compagni di strage vengono condannati alla pena di morte. Nel 1972 lo stato della California abolisce la pena capitale e la condanna viene trasformata in carcere a vita. Tutt'oggi questo inquietante criminale è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza.

Nell'immaginario collettivo è divenuto la rappresentazione stessa del male, ma lui continua imperterrito a inoltrare richieste per la libertà vigilata.




martedì 21 ottobre 2014

Guillermo Fierens e i suoi alunni


Successe un po’ di anni fa…

Quando un lustro fa mia figlia si iscrisse alla prima media, fui molto felice di sapere che l’istituto a pochi passa da casa mia aveva una peculiarità, quella di essere dotato di una sezione di studio musicale, con orari supplementari e quattro strumenti possibili: chitarra, violino, pianoforte e flauto traverso. Per accedere ai corsi era obbligatorio un test attitudinale da sostenere mesi prima, necessario in funzione della logica del “numero chiuso”. Il motivo per cui ero soddisfatto è facile da intuire.
Mia figlia iniziò a suonare la chitarra. Il professore, insegnante di chitarra classica alle Scuole medie Guidobono, era Guillermo Fierens. Un insegnante come tanti? In rete ho trovato e “rubato” la seguente biografia:

Guillermo Fierens, considerato e celebrato come uno dei principali chitarristi al mondo, è nato in Argentina a Lomas de Zamora, ma dagli anni Ottanta è cittadino italiano.
Ha iniziato gli studi musicali in Argentina e si è diplomato al conservatorio “M. de Falla” di Buenos Aires. Ottenuta una borsa di studio, si è recato a Santiago de Compostela per seguire i corsi di perfezionamento del Maestro Andrès Segovia, proseguiti poi presso la sede di Berkeley dell’Università della California. Questa sua associazione con il leggendario Maestro fu di grande importanza negli anni che lo portarono al suo debutto professionale in Spagna. Il Maestro Segovia ha detto di lui: ”La sua tecnica è meravigliosa. Esegue i più intricati passaggi senza sciupare una nota, ma possiede qualcosa di assai più importante della sola tecnica: suona con l’anima”. Ha ottenuto tre Primi Premi Internazionali: al Concorso Internazionale di Caracas nel 1967, nel 1971 al Concorso Internazionale “Città di Alessandria” e al concorso dedicato al Compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos a Rio de Janero, dove la vedova del Compositore gli ha consegnato la medaglia d’oro, diventando in quel momento l’unico chitarrista ad aver vinto tre Concorsi Internazionali. Da allora la sua attività concertistica ha toccato tutto il mondo.
Ha suonato nella Tonhalle di Zurigo, nel Palais de Beaux Arts di Bruxelles e a Londra, Rotterdam, Milano, Barcellona, Amburgo, Oslo, Helsinki, ecc.
Ha realizzato tournées di concerti negli Stati Uniti, Canada e Australia.
Guillermo Fierens è molto conosciuto in Inghilterra dove è stato invitato dai principali festivals e ha suonato come solista con la “London Symphony”, la “Royal Philarmonic”, la “Hallè” e la “English Chamber Orchestra”.
E’ stato inviato dall’Orchestra Nazionale Spagnola per eseguire il “Concerto de Aranjuez” in una tournée in Spagna sotto la guida del direttore Garcia Asensio.
Per diversi anni presso la Grand Valley State University in Michigan è stato “Artist in residence”, cioè un ricercatore in campo musicale, a cui veniva concessa la libertà di continuare la carriera di concertista. Ha inciso per la casa discografica ASV di Londra.
Negli U.S.A. è rimasto fino al 1981.
Dopo un suo concerto a Milano nel 1989 il Corriere della Sera lo ha salutato come “erede del grande Segovia.
Oggi risiede a Cairo Montenotte con la famiglia ed è insegnante di chitarra.

Dopo queste note, è intuibile come non possa esistere miglior insegnante per un alunno in erba, o già collaudato. Aggiungerei alcune caratteristiche non proprio trascurabili.
Chiunque avesse tali competenze e tali "mostrine sulle spalle", si sentirebbe autorizzato a salire su un gradino più alto, portato a evidenziare i propri meriti e il proprio valore.
Per quello che ho visto da spettatore in questi anni, e per come mi viene descritto, Guillermo Fierens è un campione di umiltà e preferisce il backstage alle luci del palco, proponendosi sempre in punta di piedi. Questione di carattere.
Ora che mia figlia non è più alle medie, e che Fierens non è più alle Guidobono, le occasioni per gli incontri musicali non sono terminate.
Per tutto l'anno in corso, i chitarristi ex alunni, con l'aggiunta di una violinista, si sono "allenati" col loro professore, trovando una diversa collocazione logistica(grazie a Don Camillo, parroco della chiesa S. Paolo)."

Alcuni giorni fa si sono esibiti in un saggio conclusivo che oltre a mettere in evidenza ragazzi volenterosi di rimanere aggrappati al loro strumento e al miglior insegnante possibile, ha permesso di vedere all'opera il grande Guillermo.

Che fortuna per i nostri ragazzi!







venerdì 17 ottobre 2014

I ricordi di Cristina Mantisi





Un pò di tempo fa Cristina Mantisi mi ha regalato il suo pensiero e qualche foto.

Ho visto e ciò che ho visto non ha fatto che accentuare questo senso di arrendevole impotenza di fronte a ciò che "succede" al di fuori di ogni nostra volontà.
Vorrei aggiungere che ho sempre percepito la nave come una cosa viva, la sento addirittura respirare... forse perché da bambina sono tornata in Liguria dal Canada. Quel viaggio mi ha lasciato nel cuore forti emozioni, la partenza, il distacco dal molo, lo strapparsi di stelle filanti (ben effimero legame col passato che stava per diventare un passato finito)...
Ogni volta che vedo partire una nave mille ricordi affiorano nella mia mente.
Vedere una così bella nave affondare è come vedere una grossa creatura del mare che muore.

Scusate questo mio trasporto forse fin troppo sentimentale, ma Athos ha contribuito a scatenarlo e a far venir fuori le parole che stavano sonnecchiando dentro...

Posso aggiungere alle immagini della fine un ricordo di vita? Tre foto di bei tempi... che risalgono al 2011.

Ho intitolato il trio "L'ultimo saluto"