West Virginia

West Virginia
Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

sabato 13 dicembre 2014

The Substitute


Con lui, “The Substitute, tutto iniziò.
Arrivò attraverso un vecchio registratore a bobine, “Geloso”,  nuovo ritrovato tecnologico di cui un uomo antico andava fiero. C’era una bella compagnia su quel nastro, materiale umano d’avanguardia, “nobiltà” e novità.
Quel suono entrò talmente in profondità che il solo pensiero, ancor oggi, riporta alla “foschia” di quei giorni tutt’altro che sereni… ma non è chiaro il  motivo di tanto grigiore d’animo… non è facile trovare una giustificazione.
Tutto era bianco e nero… la televisione rifletteva ciò che girava attorno, e il commissario Maigret, mentre risolveva i suoi casi, regalava quintali di tristezza... sempre i soliti colori.
“Il sostituto” si arrotolava sulla bobina, non sempre alla giusta velocità… un po’ in avanti, un po’ all’indietro, e ad ogni passaggio si materializzavano gli stivaletti neri, elasticizzati sui lati… le camice disegnate, col colletto coreano… i pantaloni scampanati, le giacche british…
Ora… ora… ora… rivivono i pantaloni corti, la maglietta maniche lunghe a scacchi bianchi e blù, mentre si balla rossi in volto, pieni di timidezza, mentre qualcuno osserva con orgoglio il futuro in movimento.
“Il sostituto” continua a vivere, accompagna tutti e ovunque per lustri, insegna e suscita ammirazione.
Lo si  vorrebbe avere come un amico con cui parlare, o da mostrare come prezioso ricordo  di un viaggio.
Sarebbe stato bello vederlo da vicino… in quei tempi lontani.
La vita continua, il tempo massacra i corpi, i sentimenti, le anime, ma il “sostituto” ha sempre un gran potere e alla fine si fa vivo, per tutti quelli che lo hanno apprezzato.
Un vecchio e un bambino in un’arena si aspettano qualcosa, ma non sanno ancora cosa.
Il vecchio tiene per mano il cucciolo, cerca di proteggerlo, di  stimolarlo, di fargli capire che quello che sta per vivere gli rimarrà dentro per sempre, come quel “sostituto” che girava in una bobina, tanti anni fa.
E’ un passaggio di consegne forse… un’eredità prematura… chissà cosa accadrà!?
Si inizia, ma dura poco.
Qualcuno sputa acqua sul popolo, soprattutto su di loro, il giovane e il meno giovane, che  cercano un rifugio, al riparo dalla natura scatenata.
Ma la natura si può anche dominare, o forse è lei che dimostra indulgenza, volendo assistere al cambio di consegne.
Ora l’arena è di nuovo piena, ma qualcosa non funziona. Non escono note appropriate dall’ugola ferita e la magia sta per finire, prematuramente, lasciando incompiuto il miracolo che qualcuno ha pianificato… come se i miracoli seguissero un programma prestabilito!
Siamo a un passo dalla meta e qualcuno ci viene a raccontare che per oggi “i miracoli sono finiti”, che… “siamo davvero dispiaciuti”, ma… ripassate un’altra volta..”
Non è possibile!
Ma nessuno ha fatto il conto con “il sostituto”… il suo nome non è casuale.
Lui si ricorda di un bambino che ballava con i calzoni corti e la maglietta a scacchi bianca e blu, pieno di tristezza incalzante ad ogni nota.
“Il sostituto” prende la bacchetta in mano e decide di dirigere il coro, guardando in faccia il vecchio e il bambino, mentre tutti piangono, ridono e il motivo è sempre lo stesso: la felicità.
Ma sono illusi… il sostituto” non è lì per loro… la sua missione è quella di realizzare l’alchimia, di essere il testimone della continuità tra un vecchio e un bambino… e la nave giunge in porto.
Nessuno potrebbe dire se il miracolo è avvenuto, troppo presto, troppo giovane il bimbo.
Ma il “sostituto”, ancora una volta, si è dimostrato all’altezza.
Il vecchio non ne avrebbe mai dubitato.


Spiegazione

Il registratore “Geloso”, che ancora possiedo, funzionante, con bobine  che presentano l’incisione della mia voce da bambino,  è quello che utilizzavo all’età di otto anni per ascoltare i  primi brani beat/rock di cui ho coscienza. Era l’orgoglio tecnologico del mio buon padre.
L’unica (ma nitida) immagine che rimane nella memoria, è quella in cui io, vestito con una maglia a quadri bianchi e blu, con pantaloni corti, ballo, nonostante la mia timidezza, in casa di amici dei miei genitori, orgogliosi del proprio figlio dinamico. Il brano era “Substitute” degli Who, che per me sono diventati, col passare del tempo, Pete Townshend.


Gli Who non mi hanno mai abbandonato, anche se non avevo mai avuto occasione di vederli dal vivo. Sino all’anno di grazia 2007, momento in cui  gli “ Who dimezzati” arrivano all’Arena di Verona.
Per una serie di circostanze il secondo dei due costosi biglietti comprati sei mesi prima passa da moglie a figlio e così provo a spiegare a Niccolò l’importanza dell’evento a cui prenderà parte, cercando di convincerlo che rivaluterà la cosa col passare degli anni.
Il concerto inizia, con mia grande emozione. Il brano “Substitute” è ovviamente sempre presente, ma il diluvio interrompe per un’ora il concerto, impedendo di fatto il passaggio di consegne tra padre e figlio.
Ma un po’ di quiete arriva e si ricomincia. Purtroppo la voce di Roger Daltrey, il cantante, unico vero Who assieme a Townshend, sparisce, complice il tempo infame.
Il concerto sta per concludersi tra i fischi dei delusi, ma… arriva lui, “il sostituto”, Pete Townshend, che prenderà in mano le redini del gioco, canterà e suonerà, e permetterà che una magia si compia.
Anche un essere umano lontano da noi anni luce, può accompagnarci nel nostro percorso, diventando di volta in volta “il sostituto”,  il tappabuchi, l’amico e il compagno di gioco.
Poco importa se lui non lo saprà mai!

Il dramma durante "Behind Blue Eyes"



mercoledì 10 dicembre 2014

Larissa Molina- “Como Petalas AO Vento"


Molti, molti anni fa, mi pare fosse il 1990, quattro ragazzi brasiliani arrivarono a Savona, per questioni lavorative, con l’obiettivo di restarci un breve periodo, una sorta di tirocinio utile alla futura partenza di nuovi impianti in quella parte del mondo molto lontano dalla nostra. Le multinazionali offrono queste chance.
Ci affezionammo a loro, che furono i primi di una lunga serie di “ospiti”. Ma con loro stringemmo un rapporto particolare. Ad uno dei quattro, Molina, inviai successivamente un piccolo regalo, che ho scoperto conserva ancora, così come il biglietto che gli scrissi. La tecnologia accorcia le distanze e attraverso facebook ho ritrovato il vecchio amico, la moglie - anch’essa in Italia nell’antica occasione -  e la giovane figlia Larissa, giornalista di 22 anni.
Di lei ho saputo del suo amore per la musica, ma soprattutto per la scrittura, ed ora posseggo il suo libro - in attesa di pubblicazione - anche se in lingua portoghese e quindi non apprezzabile.
Perché scrivo tutto questo? Uno dei protagonisti del libro porta il mio cognome e questo mi fa pensare che una frettolosa conoscenza, di molti anni fa, abbia lasciato un forte ricordo positivo, tramandato ai figli, a dispetto del breve periodo di vita comune.
Oltre alla scrittura Larissa ama la musica e a seguire presento un video che lo testimonia.
E poi un trailer del book di Larissa, “Como Petalas AO Vento", perché anche se al momento non esiste una versione definitiva, men che meno in italiano, è bello presentare la premessa, nella speranza che qualcuno voglia pubblicare l’originale e magari la traduzione.
Larissa è una ragazza romantica, un po’ fuori dagli schemi che le vicende attuali di casa nostra ci propongono… sarà cultura o che cos’altro?
Leggiamo il suo pensiero pulito…


Come è nata la voglia di scrivere un libro?
In realtà ho iniziato a scrivere il libro quando ero molto giovane, a dodici anni. Ho sempre amato le storie legate ai secoli passati, e quelle che raccontano di principi e principesse sono sempre stati nella mia mente, quindi per me, scrivere "Como Petalas AO Vento" (come petali nel vento) è stato un modo per fare un grande salto indietro nel tempo, al XVII secolo, per descrivere una storia che avrei ammirato se fosse stata una storia vera. Non ho scritto da sola, ma con un mio amico che si chiama Vivian Limongi. A quel tempo aveva quattordici anni. Abbiamo creato legami molto stretti con i nostri personaggi.

Puoi riassumere il contenuto del libro?
Potrei riassumere il contenuto di " Como Petalas ao Vento" in una piccola frase : "Quando qualcosa trasforma in proibito ciò che realmente ami, l'amore può inondare il tuo cuore come non è mai accaduto prima ". Ci fu  un tempo a Parigi, nel corso del XVII secolo, in cui era in atto una ingiustizia sociale provocata da un re poco amato, anche dalle proprie figlie; la principessa francese Elisabeth Bourgogne si innamorò di un nobile coraggioso e rivoluzionario, che provava un odio mortale per il suo re. L’uomo insieme alla principessa organizza una lotta motivata dal malessere creato dal tiranno. Tuttavia, mancandogli la forza per iniziare la contesa abbandona il castello… fugge. Lei non capisce la sua decisione e perde ogni speranza di ritrovarlo,  non sapendo che anche lui è innamorato.  Lo cerca e lo ritrova e  lo riporta al castello, e… tutto cambierà, e per la prima volta l’uomo affronterà qualcosa di cui ha paura e che gli è proibito. Tuttavia, non è l'unico uomo disposto a dare la vita per avere la principessa: un duca svedese, chiamato Henrille Chirra, è anch’esso innamorato di Elisabeth. Sin da bambino a Chirra era stato promesso l’amore della principessa se avesse vinto la battaglia contro i draghi. Così  la principessa, per coronare il suo vero amore, deve superare diverse sfide. "Como Petalas ao Vento" è un libro che permette a tutti di rivivere le tragiche storie scritte da Shakespeare e dimostra che il significato della vita non è nel come la viviamo, ma risiede nella lotta che intraprendiamo per fare diventare nostro ciò che il nostro cuore vuole veramente.

Sei stata influenzata dal luogo in cui vivi?
Io vivo in una città tipica dell’interno del Brasile. Rio das Pedras (Stones 'River) è piccola e tranquilla, e ci vivono circa trentamila persone. Credo che tutta questa “calma” mi abbia influenzato. Certo, mi piacciono anche i posti affollati, ma solo per i fine settimana o per le vacanze. Ho il “vizio” di camminare per le strade per cercare di conoscere il nome della maggior parte delle persone che incontro. In questo modo si è sempre sicuri che quando si ha bisogno  di un aiuto ci sarà sempre qualcuno pronto a stendere una mano. Ma ho cercato di non lasciarmi influenzare dalla dimensione provinciale, rispetto agli elementi culturali e all’istruzione. Ho sempre voglia di conoscere nuove persone,  posti nuovi e vincere nuove sfide. Ma prendo tutto come un divertimento non come una routine. Mi piace questa vita tranquilla.

E quanto ti ha influenzato la tua famiglia?
Continuo ad imparare dai miei genitori, e li considero la mia bussola. Credo molto nell’ esperienza derivante dalla loro vita vissuta. Certo, ho le mie idee e opinioni precise che spesso discuto con loro, tuttavia quando li guardo vedo me stessa e, naturalmente, lo stesso accade a loro.

Sei molto giovane, ma hai le idee molto chiare. Dimmi qualcosa sui tuoi progetti per il futuro.
Il mio rapporto familiare è molto forte. Sono sempre stata convinta che avrei potuto trovare un uomo affidabile, che avrei sposato per creare con lui una nuova famiglia e un futuro. Ho cercato e incontrato questo uomo: mi sposerò il prossimo anno e il mio sogno diventerà realtà! Successivamente vorrei scrivere nuove storie, nuovi libri e cercare di pubblicarli, perché è questa l’attività che vorrei intraprendere, ed è questo un desiderio molto forte, avere un’attività che amo e indipendente.

Quanto è importante per te la musica?
La musica è la mia ispirazione per le storie che scrivo. Amo ascoltare canzoni mentre scrivo.


Se dovessi scegliere tra la musica e la scrittura?
Sceglierei di scrivere, perché questo risiede nel mio cuore. Amo viaggiare usando le parole, e con loro divertirmi; amo raccontare storie vere e crearne altre, frutto della mia fantasia. L'amore per l'arte della scrittura hanno determinato la mia professione, quella di giornalista.

Che cosa sogni per il tuo futuro?
Beh, mi piace pensare di vivere serena e voglio coltivare questa speranza nel mio cuore, e se riuscissi a pubblicare “Como Petalas ao Vento", sarei ancora più felice. Non credo esista un desiderio piùì forte per uno scrittore che quello di sapere che il suo scritto è diventato un frammento di vita del lettore!

Larissa Molina. Brazilian, journalist. I am 22 years old.




domenica 7 dicembre 2014

Carosello


Utilizzo questo spazio per lasciarmi andare, e spesso il mio “lasciarmi andare” significa tuffarsi nel passato.
Tante volte ho sentito rivolgermi il seguente bonario rimprovero:”… tu vivi troppo di ricordi!”.
Sì, ho molti ricordi, alcuni dei quali negativi, e me li tengo ben stretti, ci convivo, li faccio riemergere e li sotterro a piacimento.

Per una serie di collegamenti mentali che non è il caso di spiegare, questa mattina mi sono tornati alla mente i giorni dell’infanzia, e in particolare quelle sere in cui aspettavamo con ansia il “Carosello”.
Tutti quelli della mia generazione dicono:” … ah … dopo Carosello andavamo a nanna, e non poterlo vedere era una punizione!”

Incontrando un tipo che ricordava Ernesto Calindri, in un lampo sono arrivato alla “China Martini…” e poi mi sono divertito a formare un mio Carosello... di epoche diverse...



China Martini (1962)... Brodo Star(1967)... Brillantina Linetti(1962)... Caffe' Lavazza(1966)... Dentifricio Chlorodont(1958)








sabato 22 novembre 2014

Raffaello Corti


Accadde un paio di anni fa...

Quando mi ritrovo in un ambiente che percepisco confortevole, mi lascio andare e sciorino le mie perle di saggezza, le mie convinzioni, i miei dogmi, che mi sento autorizzato a descrivere perché… ho un po’ vissuto. Tra i tanti ce n’è uno che riguarda la musica, la sua capacità di abbattere le barriere e di far entrare rapidamente in sintonia persone che apparentemente non hanno molto in comune.
Non approfondisco, ma sabato 29 settembre, nel corso della premiazione del 1° Concorso letterario “La Parola e la Musica”, organizzato da MusicArTeam, mi sono ritrovato in questa situazione, nonostante alcune persone fossero lì quasi per dovere… alla fine si è percepita una sincera e non faticosa partecipazione.
Uno quasi obbligato alla presenza era Raffaello Corti, vincitore del 1° premio nella sezione “Racconto breve”, proveniente da Bergamo.
Uno scrittore eclettico, più portato alla poesia, per sua stessa ammissione, ma capace di “colpire” in qualunque caso. 
Un uomo dalla vita avventurosa e dolorosa, costellata però di soddisfazioni e di successi personali, sia in campo lavorativo che in quello delle passioni.
Per approfondire è sufficiente visitare il suo esauriente sito:


Lo scambio di battute a seguire rivelerà qualcosa in più di questo poeta particolare che ho avuto la fortuna di conoscere.


L’INTERVISTA

Ripeto una domanda posta nel momento del nostro incontro, sul palco. Cos’è per te la musica… oltre la letteratura?

Ho sempre amato la musica sin da ragazzo, con una predilezione per i cantautori italiani dei primi anni ‘70, da Gaber a De Andrè, da Lolli a Guccini e così via (di cui conservo con gelosia maniacale tutti i vinili all’epoca da me acquistati). Seguendo quindi l’istinto del 14enne d’allora mi iscrissi ad un corso di chitarra, dal quale fui però respinto perché secondo il Maestro avevo “le mani grosse… da meccanico… e non avrei mai potuto suonare”. Da allora, ho continuato il mio percorso come ascoltatore, affinando i miei gusti ed avvicinandomi al jazz e alla musica popolare, specialmente quella sudamericana, brasiliana e portoghese. Oggi, non potrei vivere senza musica, per me è uno “stato mentale”necessario, una sorta di “continuum” esistenziale quotidiano, un’estensione naturale dei miei pensieri muti, la forma d’aria trasparente con la quale avvolgere il mio Tutto. La musica ha il meraviglioso potere di modificare il mio stato d’animo, e guidarlo su mondi paralleli, ove ritrovare sensazioni ed emozioni unicamente mie.

Leggendo le note biografiche inserite nel tuo sito sono rimasto colpito dalla  descrizione della tua vita “faticosa”, soprattutto agli inizi, cosa che evidenzi contrapponendo i tuoi viaggi e il tuo lavoro, quasi a dire… però, sudando e soffrendo ce l’ho fatta lo stesso… e ti chiedo in modo un po’ retorico, ma utile a comprendere la tua storia: “ Che cosa ti ha dato tanta forza?”.

La capacità di superare difficoltà di quella portata, penso sia stata soprattutto l’educazione e l’amore ( dolcemente  ruvido ) ricevuto dalla famiglia affidataria, con la quale ho condiviso qualche anno, tra un istituto e l’altro. Da bambini è difficile misurare l’intensità del dolore e la sua capacità distruttiva che si manifesta, solitamente, in età più adulta. Da bambini, specialmente se in gruppo ed uniti nello stessa sofferenza, si cerca inconsciamente ed istintivamente di lottare contro gli elementi esterni che aggrediscono il tuo essere, siano essi fisici e/o psicologici. Solo successivamente se ne comprende l’entità valutando, con la giusta misura, ciò che veramente si è subito e fatto. Oggi, a 52 anni, ogni qualvolta “rileggo” la mia vita, io stesso mi stupisco di come ho saputo reagire, di ciò che sono riuscito a costruire ! Porto ancora i segni della mia infanzia mancata e nel mio libro “Nomen Nescio n°55” descrivo le disavventure successe a me ed ai miei compagni e di come io sia riuscito a superarle.
Non saprei quindi cosa mi ha dato tanta forza in questi anni, forse solo e semplicemente, la paura di essere nuovamente abbandonato e di morire dentro, spingendomi, di conseguenza, a dimostrare a me stesso e al mondo che io c’ero… che nonostante tutto io ce l’avevo fatta!

E’ banale dire come l’appropriarsi di elementi di differenti culture sia utile per lo sviluppo personale, ma quali sono i maggiori insegnamenti che hai tratto dal vivere in posti lontani da quello in cui sei nato?

In realtà, io sono nato “già lontano”. La consapevolezza delle radici, della casa, della famiglia, mi appartiene di più ora, da adulto, perché fino a pochi anni fa il  pensiero di avere un luogo definito, deputato ad essere la magione in ogni senso era una concezione astratta. L’essere costretto a continui spostamenti, tra orfanatrofi, collegi, famiglie e quant’altro, mi ha creato da sempre un senso del viaggio, fisico e psicologico. Ognuno di questi cambiamenti, mi ha donato qualche cosa ed ha contribuito a rendermi diverso dai miei coetanei, rendendomi più “selvaggio” e più famelico di conoscenza, di sensazioni, di emozioni di cui ero stato privato. Il vivere poi, per diversi anni, in paesi stranieri culturalmente diversi tra loro, mi ha regalato una arricchimento personale incredibile. Ho imparato ad affrontare ed apprezzare le persone e la diversa umanità,  a “confondermi” con esse e con la loro cultura, per diventare insieme una sorta di opera d’arte comune, in cui ognuno donava all’altro le sue conoscenze, la sua sete di curiosità, la ragione del suo essere vivo. Ogni viaggio era come attraversare le pagine di un libro… ed era poesia il mio amico siberiano Victor, che mi portava nella tundra sul fiume e con cui comunicavo solo a mezzo disegno, mentre mangiavamo cetrioli, lardo e vodka… era poesia Pedro, che nella sua favelas della Rocihna mi invitava a “cena” con cocco e birra da condividere con lui e i suoi otto figli nelle notti violente di Rio de Janeiro… era poesia il piccolo monaco buddhista di Malacca, che durante l’ascolto dei mantra mi dedicava un sorriso e poi una ciotola di riso… era poesia la prostituta di Ho Chi Min City, che mi salutava ogni giorno con un sorriso smagliante sebbene avesse bruciato l’amore  per pochi dollari nel suo Apecar, trasformato in paradiso vellutato-rosso-fuoco. Ecco cosa ho portato con me dai miei viaggi intorno al mondo, e cosa ho appreso da tutto questo, la capacità di leggere “poesie” reali, di comprendere che non esiste il diverso, ma siamo noi stessi che ha volte non sappiamo vedere, né leggere, né interpretare gli altri, convinti, troppo spesso, e  arroccati sulle nostre “educazioni e certezze”, di essere i migliori!

Mi parli un po’ delle opere letterarie che hai realizzato?ù+

Scrivo da metà degli anni 70, inizialmente pensieri gettati tra la folla, generati dal contesto sociale e politico dell’epoca, versi di rabbia e di speranza. Poi lentamente ho modificato il mio scrivere seguendo la mia maturità e la realizzazione di ciò che ero stato e di ciò che avevo vissuto, quindi la scrittura diventa catarsi, valvola di sfogo per metabolizzare il passato, e via di uscita per scoprire l’amore. Ho raccolto, quindi, negli anni un numero sempre più alto di poesie, che lette in sequenza compongono la mia vita. Ma solo negli ultimi quattro anni, grazie alla spinta di mia moglie, ho avutola la forza e il coraggio di propormi al pubblico, al suo giudizio e alla critica. Nasce così il primo librino d’artista edito da Pulcinoelefante con un’opera dell’artista/amico Carlo Oberti. A seguire vede la luce  “ Disegnando sull’acqua” una raccolta di poesie interamente dedicate a mia moglie, da cui si evince il desiderio e l’importanza che questo nuovo amore ha su di me, la mia opera più venduta. Segue poi la raccolta “Visioni imperfette”, opera che racchiude una serie di pensieri minimi e di brevi emozioni tracciate dal ricordo, menzione d’onore al Concorso Oubliette Magazine e finalista al Premio “Parole e Poesia” di Modena. Nel Marzo 2011 viene pubblicato “Scatti… di parole”, in questo volumetto la modalità creativa fiorisce nell’accostamento di poesia e fotografia e trae forza da due elementi: la trasposizione del pensiero in forma poetica e l’osservazione attenta e curiosa della realtà. La fotografia, tuttavia, non è semplice strumento esplicativo dei versi, ma offre uno spunto diverso, come fosse una “macchina” per tracciare liriche analogie. Poi nel Maggio 2011, vede la luce l’opera a me più cara, quella più sofferta e dolorosa, un’opera difficile e cruda “Nomen Nescio n°55”, titolo che rappresenta il mio identificativo al brefotrofio di Bergamo all’atto della nascita. Dalla prefazione di Maria Guerriero un breve estratto “…il componimento è scritto nella forma dell’autobiografia in versi liberi in cui l’autore, venuto al mondo come figlio di N.N. (Nomen Nescio), indaga nel suo profondo il germinare di ricordi, di stati d’animo e sentimenti legati ai primi anni di vita; la materia toccante di questo lavoro è il senso dell’abbandono, sofferto fin dalla nascita. Il racconto lirico diventa un journal intime in cui un flusso di coscienza, misurato e composto, rifonde dignità anche agli accadimenti più drammatici e umilianti aprendosi di continuo in una poesia degli affetti...”. Il libro raccoglie un buon successo di critica e vince il 3° premio al Concorso Oubliette Magazine, ed è in fase di elaborazione una breve pièce teatrale legata al tema del libro.
Verranno poi la silloge “Passi”, ed altre due pubblicazioni vincitrici di concorsi letterari e quindi edite dai rispettivi editori  ; “Impercettibili sospensioni” edito e tradotto anche in inglese da Edizioni Miele, e “Scorrerò pagine di memoria al tuo fianco” edito da Cicogna editore di Bologna.

Hai vinto il 1° premio del concorso letterario “La Parola e la Musica” con un racconto breve, ma mi hai raccontato di come tu prediliga la poesia. Che cosa ti da in più l’una rispetto all’altro?

Scrivere è per me un viaggio nell’anima, luogo deputato alla raccolta e alla elaborazione di tutti i ricordi ed emozioni. Diciamo quindi che non esiste una predilezione per l’uno o l’altro genere, penso però di esprimermi al meglio con la poesia, in quanto segue un flusso emozionale diretto, immediato, legato ad una immagine, un ricordo, un profumo, un luogo, qualsiasi cosa che risvegli in me sensazioni immediate, che trasporto sulla carta al momento, elaborandole poi con calma e dando loro una forma, che seppur breve nella maggiore parte dei miei componimenti, racchiude l’essenza di un attimo. I racconti, a cui mi sono avvicinato da poco, richiedono una elaborazione più complessa, più strutturale, e tendo quando compongo un racconto a lasciarmi trascinare dalla poesia, mischiando così a volte i due stili. Per questo mi limito alle “short story”, ai racconti brevi, che sono più affini alla mia forma di scrivere “di getto” sull’onda di un pensiero o di una immagine reale o fantastica che sia. Ho scritto diversi racconti brevi, quasi tutti pubblicati in antologie di vari editori, che seguono sempre una linea surreale, come il racconto con cui ho vinto il vostro premio. Direi quindi che la poesia, rappresenta la parte più profonda di me, mentre il racconto viaggia più sulla fantasia, sull’onirico, mettendo a nudo il mio essere sognatore ed un po’ utopista.

Trasportare su di un foglio di carta, o elettronico, le emozioni di un momento significa renderle eterne. Eppure non è la razionalità che porta a scrivere una poesia, che non potrebbe essere sincera se fosse frutto di un calcolo. Che cosa provi quando ti capita di rileggere le cose scritte nel passato?

Rileggere le proprie opere a distanza di anni, a volte è sorprendente, in quanto ritrovo una persona diversa, e mi accorgo di come sia cambiata la mia visione delle cose nel corso del tempo. A volte alcuni componimenti non li trovo particolarmente belli e/o rispondenti alla mia forma attuale di espressione, ma non li modifico perché sono una parte di me stesso e di com’ero: rileggo la distinta capacità di esprimere la rabbia, più violenta nel passato, più metaforica e potente ora, la diversa forma di disegnare l’amore vissuto o desiderato. E’ praticamente un percorso nella memoria che osservo sempre con un sorriso ed a volte con una lacrima, io sono le mie parole, che esse mi piacciano o meno!

Che cosa è per te la felicità?

Una domanda complessa che richiederebbe un’analisi profonda e non basterebbero tutte le pagine a disposizione. Ognuno ha descritto a suo mondo la felicità nel corso del tempo, le sue forme sono molteplici e soggettive, tracciare il mio concetto di felicità non è semplice, quindi la descriverei con una breve poesia dedicata a mia moglie, che racchiude il senso della mia felicità:

Ero tronco morto,
solo una piccola gemma
giaceva nascosta tra i rami.
Ora sono foglie verdi
E fiori profumati,
ora sono …Te!”

Mi hai raccontato del tuo amore per il jazz. Il blues soprattutto, ma analogamente il jazz, sono stati spesso la forma espressiva di chi soffriva, tanto che si è soliti dire…  no pain no blues. Quanto hanno a che fare i tuoi gusti musicali con i tuoi momenti difficili passati nell’infanzia?

Credo tutto, la musica è stata parte integrante del mio percorso fin dai primi dischi di musica classica ascoltati “in famiglia” all’età di 4 anni, alla scoperta dei cantautori che raccontavano le nostre piccole miserie in forma di poesie musicali, al blues e al jazz, che sono, per me, le parole che non riesco a scrivere, i momenti che non riesco a dimenticare, i volti di amici scomparsi troppo presto per colpe altrui. Ogni volta che mi immergo nell’ascolto di alcuni brani jazz, per esempio il piano di Luca Flores, il mio essere si divide, respiro la musica e mi allontano dalla mia fisicità, non più carne né ossa, solo immagini, brividi, sensazioni, storie che si muovono sotto le mie palpebre chiuse disegnando la mia malinconia e le mie piccole gioie.

 Che idea ti sei fatto, nonostante il poco tempo passato con noi, della nostra città e dell’ambiente trovato al Teatro Sacco?

Della città posso dire poco, in quanto ho fatto solo due passi e poi mi sono infilato in buon ristorante a mangiare dell’ottimo pesce, ma da quel poco che ho visto, credo sarà molto piacevole ritornarci e scoprirla con calma, assaporandone ogni angolo e sapore. Relativamente all’esperienza con voi presso il Teatro Sacco, sono rimasto davvero colpito ed emozionato. Non tanto per il premio vinto, che ovviamente mi riempie di orgoglio, ma per la sensazione di unità e di voglia di fare che aleggiava nell’aria, la passione per ciò che stavate facendo era palpabile, così come il senso di umanità e speranza che traspariva dalle vostre parole. Purtroppo le distanze non mi permetteranno di vivere appieno questa vostra avventura, ma farò quanto mi sarà possibile per essere partecipe anche da lontano, perché dietro quel palco ho trovato degli amici e delle persone rare, che fanno della propria passione un cammino di vita, ed io vorrei fare parte di tutto questo.

Che cosa ha pianificato Raffaello Corti per l’immediato futuro?

Al momento non ho progetti per l’immediato futuro, continuo a scrivere le mie poesie ed i miei micro racconti, partecipando a qualche concorso. Mi piacerebbe trovare la forma per potere promuovere meglio le mie opere ed il mio lavoro, anche se purtroppo la poesia è snobbata dai grandi distributori in quanto “non vende”. Raccoglierò sicuramente in un volumetto un’altra serie di poesie da sottoporre il prossimo anno a qualche editore, per il resto saranno le mie dita ed il mio cuore che guideranno il tempo a venire.

venerdì 31 ottobre 2014

Il mio Halloween




Oggi è il 31 ottobre.
Per noi italiani non è un momento particolare, se si esclude il fatto che rappresenta il passaggio verso l’inverno “vero”.
Ma le tradizioni cambiano a seconda del paese ed è risaputo che in America, ad esempio, oggi si celebra una festa decisamente importante, e non solo per i ragazzi.
Sto parlando di Halloween, cioè quel particolare giorno in cui i ragazzi si vestono come i nostri a carnevale, e girando di casa in casa “arraffano “ dolci formulando la fatidica frase: ”Dolcetto o scherzetto?”.
Da un pò di anni anche gli italiani si sono adeguati.
I giovani intravedono l’occasione per un divertimento supplementare ed i negozianti incrementano le vendite.
Ma francamente, la “nostra festa” ha un sapore lontano da quello visto in TV, nei film americani.
Sarà poi vero ciò che ci propinano da sempre?
Sì e’ vero, ho avuto la fortuna di provarlo, del 1996, e ho un ricordo bellissimo, che avevo descritto così:

“… il 31 ottobre è una tradizione in America, come il Tank’s Giving o appunto il Natale: Halloween!
Il paese dove mi trovo si chiama Boochannon, in West Virginia.
Sono invitato al party di una persona in vista. E’ il mio ultimo giorno in questo posto e sono un pò come ... un cliente, e tutti mi seguono con riguardo.
La casa è la solita mega abitazione, rigorosamente di legno, ed è disposta in linea con decine di case simili, e sul lato opposto la scena si ripete.
All’entrata di ognuna di esse è posizionato un cestino pieno di dolci, in attesa dei bambini mascherati.
La mia videocamera riprende tutto, dalle decine di invitati che riempiono tutti gli ambienti sino ai numerosi bambini che girano per le strade, con maschere spaventose.
Un gruppo variopinto arriva e sale i gradini con mani posticce che escono da ogni parte del corpo, io mi avvicino e mi faccio immortalare, tra gli schiamazzi assordanti, mentre sento la canonica frase:” Trick-or-treat?”.
E’ una festa incredibile, bambini ovunque, strade stracolme, vestiti di ogni genere... un carnevale atipico che sa contagiare anche chi, come me partecipa per la prima volta.
Cosa da bambini forse, ma talmente nitide e precise nei miei ricordi che vale la pena ricordarle…”

Difficile da spiegare l’aria che si respirava, l’atmosfera festaiola e contaminante.
Probabilmente il mio amore per quel paese mi rende poco obiettivo …
Sentiamo qualcosa che si riferisce all' America… suonato da inglesi, messi sotto accusa per aver bruciato polemicamente la bandiera a stelle e strisce, durante un concerto.

America (The Nice)





lunedì 27 ottobre 2014

Perfect day



Un piccolo ma sentito omaggio ai Velvet Undergroud, a Lou Reed, a Nico.
Un pò di tempo fa ho scritto un racconto che è rimasto in forma di bozza. Ha molto di autobiografico e c’è molta musica e, bello o brutto che sia, racchiude parte del mio passato ed è quindi assolutamente da preservare.
L’ho fatto leggere a poche persone, ma non ho notato alcun tipo di entusiasmo, della serie… “nessun commento critico per non ferire”. Tutto questo non mi ha incoraggiato, ovviamente, ma mi sono onestamente detto:” se non piace a nessuno vorrà dire che ha poco valore!”. In fondo non sono uno scrittore.
Però ogni tanto lo rileggo (e ogni volta modifico qualcosa) perché è la sintesi di ciò che mi spinge a scrivere quotidianamente: non per gli altri, ma per me, per poter riviver momenti che sono riuscito a fissare per sempre sulla carta. Naturalmente non abbandono mai l'idea di condividere, qualsiasi cosa io scriva.
Un passaggio di questo racconto mi da l’occasione di omaggiare Lou Reed e Nico, personaggi che mi hanno sempre intrigato.

Ryan e Uma sono i protagonisti, fidanzati (e successivamente marito e moglie) che assistono assieme al loro primo concerto, a Pittsbourgh. L'artista è Nico, con cui hanno un incontro ravvicinato in un bar, prima della performance. Non la riconoscono, ma rimangono entrambi ammaliati da ”una donna alta, magrissima, con un viso scarno segnato da rughe profonde, e su di esso si potevano leggere le vicende di una vita vissuta intensamente.”

Non era un caso se nella notte dei tormenti, un ricordo dell’adolescenza era ancora così forte.
Al Crazy Cafè era rimasto senza respiro e ora, a distanza di anni, sentiva l’angoscia crescere, mentre accostava i dolori di Nico, e la morte a cinquantanni anni dopo una vita sempre al limite, ai dolori dell’universo, dolori che in questa notte erano tutti sulle sue spalle.
Alle immagini associò una canzone di Lou Reed che spesso aveva dedicato a Uma, ma che racchiudeva molto più di una dimostrazione d’amore per una donna.
Quel breve e semplice testo era la ricerca della tranquillità e della pace dopo tanta sofferenza e allo stesso tempo l’ammissione delle proprie colpe, e nel senso della velata confessione la canzone assumeva per lui un senso quasi religioso.
Quel tipo di sofferenza apparteneva a tutti, anche a persone “quadrate” come Ryan, e forse era questo che lo turbava e gli impediva di dormire.
La canzone si chiamava “A Perfect Day”, un giorno perfetto.

Proprio una giornata perfetto
bere sangria nel parco
e poi, più tardi, quando fa buio
tornare a casa

Proprio una giornata perfetta
dar da mangiare agli animali nello zoo
e poi, più tardi, anche un film
e poi a casa

Oh, è una giornata così perfetta
sono contento di averla trascorsa con te
Oh, una giornata così perfetta
mi fai venir voglia di restare con te

Proprio una giornata perfetta
i problemi messi da parte
turisti solitari
è così divertente

Proprio una giornata perfetta
mi ha fatto dimenticare me stesso
ho pensato di essere un altro
una persona migliore

Oh, è stata una giornata così perfetta
sono contento di averla trascorsa con te
Raccoglierai ciò che hai seminato

Si rese conto di come certe parole, estrapolate dal contesto e dalla musica che le accompagnava potessero sembrare banali, ma nella sua visione quella canzone rappresentava un mondo di dolore e un mondo di felicità, condizione oggettiva di ogni essere umano.
Col passare degli anni ci sarebbero state molte occasioni per tornare su quel brano, che Uma prese a pretesto per spiegare ciò che per lei significava una canzone.
Avendo perso l’esigenza primitiva di fare selezione musicale in funzione del nome dell’artista, Uma era arrivata a un’unica distinzione, quella tra buona e cattiva musica.
La buona musica era per lei quella che riusciva a darle forti emozioni e non quella riconosciuta in modo universale, secondo canoni stabiliti da altri.
Non era poi un percorso così facile.
Prendendo come esempio “Un giorno perfetto” aveva fatto un’analisi precisa e convincente per Ryan.

-Prendi il testo e leggilo, da solo, immagina di averlo trovato scritto su un pezzo di carta, in casa di un amico, senza sapere a cosa sia legato.
Sembrano parole che potrebbe scrivere chiunque, quasi elementari.
Ora immagina di sentire solo la musica della canzone, il testo non esiste, solo un pianoforte, una batteria molto soft e un arrangiamento apparentemente povero.
Mi sembra un passo avanti notevole, e immagina un vecchio pianista che intrattiene gli ultimi clienti del pianobar … molto, molto triste, ma capace di dare uno scossone che il testo da solo non riesce a fare.
Ora unisci le due cose, il testo e la musica. Non diventa un piccolo capolavoro?
Ma si può avere di meglio!
Cerca di capire cosa c’è dietro a quelle parole, la vita di chi le ha scritte, il contesto.
Tutto cambia prospettiva e tutto assume un significato preciso.
Prova ad andare a letto dopo averla ascoltata in questa modalità e ti troverai quasi in tranche, incapace di prendere sonno, emozionato o addolorato, sicuramente non indifferente-.
Ovviamente Uma non doveva convincere Ryan, ma era come stesse parlando a una platea di studenti, cercando di fornire elementi oggettivi e al contempo provando a spingerli nella direzione per lei migliore.

In questa notte, benedetta o maledetta, Ryan non aveva sentito “A Perfect Day “, eppure non riusciva a dormire.

giovedì 23 ottobre 2014

YES rivisitati da Michael Kuhlmann



Girovagando in lungo e largo su youtube ho scoperto una versione al piano di un capolavoro targato "YES", "Turn of the Century".
La mano è di tal Michael Kuhlmann, artista forse famoso, ma a me sconosciuto.
Mi è piaciuta moltissimo e riproporla nella doppia versione, YES e Kuhlmann, mi da l'occasione per ricordare un gruppo immenso, una canzone senza tempo e oltre ogni etichetta, e dei musicisti impareggiabili.

Mi lascia uno strano sapore il rifacimento di un brano prog per la delizia di un maturo e attento pubblico, in un contesto serioso e classico. Questi artisti, a cavallo tra gli anni 60 e 70, avevano davvero qualcosa in più, a partire dalle idee per terminare col coraggio, passando per uno straordinario talento.

YES-Turn of the Century





Michael Kuhlmann-Turn of the Century




mercoledì 22 ottobre 2014

La strage di Bel Air


Ricordando il quarantennale di Woodstock, ho collegato che in contemporanea (una settimana prima) avvenne la strage di Bel Air.
Ero rimasto molto impressionato, all’epoca, dall’intera storia ma non l’avevo collocata nel giusto periodo, anche perché passarono due anni dal momento della strage alla scoperta della verità.
Le immagini di allora erano piene di dettagli dolorosi e i nomi di “personaggi” come Linda Kasabian, Susan Atkins o Charles «Tex» Watson divennero familiari e stimolarono una curiosità morbosa negli adolescenti dell’epoca.
Tra quegli adolescenti c’ero anche io e ricordo che l’evento fu accostato in qualche modo al mondo hippie , quello che tanto ci affascinava agli albori degli anni 70.
Ovviamente le filosofie di vita erano opposte e la non violenza dei figli dei fiori era anni luce lontana dalla ferocia della Manson’s Family, ma il semplice fatto che quella macabra tribù vivesse in piena comunione, favorì la similitudine.
Vorrei ricordare nei dettagli quei giorni, ma per farlo attendo di leggere il seguente libro di Vincent Bugliosi, l’uomo che scoprì la verità: “Helter Skelter, Storia del caso Charles Manson”.
Nel frattempo pubblico la breve storia trovata in rete.
Ne ho lette molte, con sfumature diverse, ma tutte evidenziano il percorso di vita drammatico che ha portato Charles Manson a diventare una delle menti più “feroci” e assassine di tutti i tempi, e quella che può sembrare una sorta di tentativo di giustificazione, credo sia in realtà la voglia di indagare e capire come si possa arrivare a tanta violenza gratuita, come si riesca ad abusare e infierire sul corpo di una giovane donna prossima alla maternità, come si possa pensare di uccidere ed essere nel giusto.

Uno dei più famosi assassini della storia, lo psicopatico che ha dato adito a una serie innumerevole di leggende e di falsi resoconti sulla sua vita: Charles Manson è il prodotto malato di quello che furono gli sconvolgenti e irrefrenabili anni '60, il frutto marcio di una falsa idea di libertà partorito dalla frustrazione di non essere nessuno, mentre molti "nessuno" diventavano qualcuno.
Seguace dei Beatles e dei Rolling Stones, voleva diventare famoso: non riuscendoci con la musica, nel suo delirio ha scelto un'altra e ben più trasgressiva strada.
Nato il 12 novembre 1934 a Cincinnati, Ohio, l'infanzia del futuro mostro è stata assai squallida e segnata da continui abbandoni da parte della giovane madre, una prostituta alcolizzata, finita poi in carcere con lo zio per rapina. Il giovane Charles Manson imbocca ben presto la carriera del criminale, tanto che all'età di trent'anni, dopo una vita passata fra vari riformatori, ha già un curriculum da record, completo di contraffazioni, violazioni di libertà vigilata, furti d'auto, tentate fughe dalle carceri, aggressioni, stupri di donne e uomini.
Nel 1967, rilasciato definitivamente dopo anni di violentissime detenzioni in galera, in cui conobbe stupri ed abusi di ogni genere, sia fatti che subiti, comincia a frequentare la zona di Haight-Sansbury a San Francisco. Nel pieno della cultura hippy fonda una comune, poi ribattezzata in seguito con il nome di "Famiglia Manson". Nel suo periodo di punta, la Famiglia contava qualcosa come cinquanta membri, tutti naturalmente soggiogati dal carisma violento e fanatico di Charles. Il gruppo presto si trasferisce in un ranch nella valle di Simi dove si dedica alle attività più varie, tra la musica dei Beatles (Manson era convinto di essere il quinto Beatle mancato), il consumo di LSD e altre droghe allucinogene. Essendo sostanzialmente un gruppo di sbandati (Manson aveva raccolto intorno a sé tutte persone con gravi difficoltà di inserimento sociale o giovani dal passato difficile), la Famiglia si dedicava inoltre ai furti e agli scassi. Charles Manson intanto profetizza la cultura satanica e l'olocausto razziale che avrebbe dovuto portare la razza bianca al dominio totale su quella nera. E' in questo periodo che si consumano i primi bagni di sangue.
La notte del 9 agosto 1969 avviene il primo massacro. Un gruppo di quattro dei ragazzi di Manson irrompe nella villa dei coniugi Polanski a "Cielo Drive". Qui ha luogo la tristemente nota carneficina che vede coinvolta, come povera vittima sacrificale, anche l'attrice Sharon Tate: la compagna del regista all'ottavo mese di gravidanza, viene accoltellata ed uccisa. Con lei vengono trucidate altre cinque persone, tutti amici di Polanski o semplici conoscenti. Roman Polanski si salva per puro caso perchè assente per impegni di lavoro. La strage non risparmia comunque il guardiano della villa e lo sfortunato giovane cugino capitato sul luogo del delitto. Il giorno dopo stessa sorte tocca ai coniugi La Bianca, anch'essi assassinati nella loro casa con più di quaranta coltellate nel petto. E l'eccidio continua con l'uccisione di Gary Hinman, un insegnante di musica che precedentemente aveva ospitato Manson e la famiglia. Sono le scritte "morte ai maiali" e "Helter skelter" (nota canzone dei Beatles il cui significato simboleggiava la fine del mondo) tracciate con il sangue delle vittime sulle pareti della casa a condurre l'avvocato Vincent T. Bugliosi sulla pista di Charles Manson.
E' l'avvocato stesso a portare avanti la maggior parte delle indagini che durano oltre due anni. Convinto che a tirare i fili di questi macabri delitti vi sia proprio Manson, Bugliosi visita più volte il ranch "comune" dove intervista i ragazzi per cercare di capire come dei giovani innocenti si siano potuti trasformare in assassini spietati.
A poco a poco il puzzle viene assemblato: gli omicidi Tate-La Bianca-Hinman, e gli altri fino a quel momento rimasti estranei alle piste di indagine seguite dall'avvocato, sono tutti collegati. Gli autori sono proprio questi ragazzi appena ventenni che agiscono sotto i poteri allucinogeni delle droghe e, soprattutto, sotto l'influsso di Charles Manson. Arrivano anche le confessioni che inchiodano il loro mandante supremo. E' in particolare Linda Kasabian, un'adepta della Famiglia, la quale aveva fatto da palo all'omicidio di Sharon Tate, a divenire il più importante testimone d'accusa.
Nel giugno del 1970 comincia il processo contro Manson, poi ricordato come il più lungo mai svolto negli Stati Uniti, con oltre nove mesi di dibattimento. Il glaciale Manson, nella sua follia, confessa tutto e anche di più. Rivela che fra gli obiettivi della Famiglia, improntati alla sua filosofia malata, vi era quello di eliminare quanti più personaggi famosi possibile, fra cui emergono, tra i primi, i nome di Liz Taylor, Frank Sinatra, Richard Burton, Steve McQueen e Tom Jones.
Il 29 marzo 1971 Charles Manson e i suoi compagni di strage vengono condannati alla pena di morte. Nel 1972 lo stato della California abolisce la pena capitale e la condanna viene trasformata in carcere a vita. Tutt'oggi questo inquietante criminale è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza.

Nell'immaginario collettivo è divenuto la rappresentazione stessa del male, ma lui continua imperterrito a inoltrare richieste per la libertà vigilata.




martedì 21 ottobre 2014

Guillermo Fierens e i suoi alunni


Successe un po’ di anni fa…

Quando un lustro fa mia figlia si iscrisse alla prima media, fui molto felice di sapere che l’istituto a pochi passa da casa mia aveva una peculiarità, quella di essere dotato di una sezione di studio musicale, con orari supplementari e quattro strumenti possibili: chitarra, violino, pianoforte e flauto traverso. Per accedere ai corsi era obbligatorio un test attitudinale da sostenere mesi prima, necessario in funzione della logica del “numero chiuso”. Il motivo per cui ero soddisfatto è facile da intuire.
Mia figlia iniziò a suonare la chitarra. Il professore, insegnante di chitarra classica alle Scuole medie Guidobono, era Guillermo Fierens. Un insegnante come tanti? In rete ho trovato e “rubato” la seguente biografia:

Guillermo Fierens, considerato e celebrato come uno dei principali chitarristi al mondo, è nato in Argentina a Lomas de Zamora, ma dagli anni Ottanta è cittadino italiano.
Ha iniziato gli studi musicali in Argentina e si è diplomato al conservatorio “M. de Falla” di Buenos Aires. Ottenuta una borsa di studio, si è recato a Santiago de Compostela per seguire i corsi di perfezionamento del Maestro Andrès Segovia, proseguiti poi presso la sede di Berkeley dell’Università della California. Questa sua associazione con il leggendario Maestro fu di grande importanza negli anni che lo portarono al suo debutto professionale in Spagna. Il Maestro Segovia ha detto di lui: ”La sua tecnica è meravigliosa. Esegue i più intricati passaggi senza sciupare una nota, ma possiede qualcosa di assai più importante della sola tecnica: suona con l’anima”. Ha ottenuto tre Primi Premi Internazionali: al Concorso Internazionale di Caracas nel 1967, nel 1971 al Concorso Internazionale “Città di Alessandria” e al concorso dedicato al Compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos a Rio de Janero, dove la vedova del Compositore gli ha consegnato la medaglia d’oro, diventando in quel momento l’unico chitarrista ad aver vinto tre Concorsi Internazionali. Da allora la sua attività concertistica ha toccato tutto il mondo.
Ha suonato nella Tonhalle di Zurigo, nel Palais de Beaux Arts di Bruxelles e a Londra, Rotterdam, Milano, Barcellona, Amburgo, Oslo, Helsinki, ecc.
Ha realizzato tournées di concerti negli Stati Uniti, Canada e Australia.
Guillermo Fierens è molto conosciuto in Inghilterra dove è stato invitato dai principali festivals e ha suonato come solista con la “London Symphony”, la “Royal Philarmonic”, la “Hallè” e la “English Chamber Orchestra”.
E’ stato inviato dall’Orchestra Nazionale Spagnola per eseguire il “Concerto de Aranjuez” in una tournée in Spagna sotto la guida del direttore Garcia Asensio.
Per diversi anni presso la Grand Valley State University in Michigan è stato “Artist in residence”, cioè un ricercatore in campo musicale, a cui veniva concessa la libertà di continuare la carriera di concertista. Ha inciso per la casa discografica ASV di Londra.
Negli U.S.A. è rimasto fino al 1981.
Dopo un suo concerto a Milano nel 1989 il Corriere della Sera lo ha salutato come “erede del grande Segovia.
Oggi risiede a Cairo Montenotte con la famiglia ed è insegnante di chitarra.

Dopo queste note, è intuibile come non possa esistere miglior insegnante per un alunno in erba, o già collaudato. Aggiungerei alcune caratteristiche non proprio trascurabili.
Chiunque avesse tali competenze e tali "mostrine sulle spalle", si sentirebbe autorizzato a salire su un gradino più alto, portato a evidenziare i propri meriti e il proprio valore.
Per quello che ho visto da spettatore in questi anni, e per come mi viene descritto, Guillermo Fierens è un campione di umiltà e preferisce il backstage alle luci del palco, proponendosi sempre in punta di piedi. Questione di carattere.
Ora che mia figlia non è più alle medie, e che Fierens non è più alle Guidobono, le occasioni per gli incontri musicali non sono terminate.
Per tutto l'anno in corso, i chitarristi ex alunni, con l'aggiunta di una violinista, si sono "allenati" col loro professore, trovando una diversa collocazione logistica(grazie a Don Camillo, parroco della chiesa S. Paolo)."

Alcuni giorni fa si sono esibiti in un saggio conclusivo che oltre a mettere in evidenza ragazzi volenterosi di rimanere aggrappati al loro strumento e al miglior insegnante possibile, ha permesso di vedere all'opera il grande Guillermo.

Che fortuna per i nostri ragazzi!