West Virginia

West Virginia
Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

martedì 29 aprile 2014

Indietro Tutta


Ho una discreta avversione per gli attuali programmi televisivi.
Avversione non è un termine esagerato, perché il mio è un totale rifiuto di trasmissioni e personaggi che ritengo insopportabili.
In questo giudizio inserisco anche il mio amato calcio, che è bellissimo da giocare, magari da vedere, di certo non da “sentire”.
Ma sono davvero esigente?
Come si fa a contestare senza proporre niente?
Beh, intanto la mia protesta è innocua, perché ha come unico risvolto il fatto di non considerare, se non in rari casi, la TV (anche se ho appena pagato il canone).
E poi un esempio di qualcosa che "mi prendeva", tutte le sere, un pò di anni fa, lo presento a seguire.
Parlo della trasmissione "Indietro Tutta", ideata da quel genio di Arbore, format che nasceva dalle ceneri di "Quelli della Notte".
Non avendo seguito il "primo atto", posso solo testimoniare le “seconde” meraviglie di Arbore e Frassica, nel caso specifico assieme a Troisi.
Cose semplici, gag a raffica, ma risultato davvero piacevole.
Ah Renzo... dove sei finito!




mercoledì 23 aprile 2014

L'ultima fiamma-il dramma


Trentadue anni di vita lavorativa all'epilogo con lo spegnimento dell'ultima fiamma...

De : Enrile, Athos (Carlo) 

Envoyé : samedi 2 juin 2012 16:18

À : Mounier, Marc; Tagliabue, Danilo; Console, Giovanni; Banchero, Mario; Diana, Pietro; Poleti, Donato; Deluca, Franco; Cialfi, Andrea; Vado, CapoTurno; Auteri, Antonio; Brunasso, Valerio; Maurizio Bocchino; 
tulful@vodafone.it
Objet : The end

Alle ore 16.00 del giorno 2 giugno, con lo spegnimento dell’ultimo bruciatore installato finisce la storia del nostro sito, almeno come unità produttrice di filato di vetro.

ATHOS


lunedì 21 aprile 2014

Strafalcioni quotidiani




Nei momenti di vita quotidiana accade spesso di sentire da altri, o di esser protagonisti, di esilaranti “distorsioni” della lingua italiana.
Basta sbagliare una lettera od esprimere un concetto, distratti da altri pensieri, ed ecco uscir fuori la “barzelletta alla Totti” o quella sui "Carabinieri".
Quelle parole, se diffuse nell’ambiente in cui sono nate, diventano inizialmente 
un tormentone, e col passare del tempo si trasformano in linguaggio comune.
E’ di pochi giorni fa la brutta figura di un deputato 5 Stelle che, nell’enfasi della sua esposizione parlamentare, utilizzava la parola “circonciso” in luogo di “conciso”.
Non credo sia scarsa conoscenza della lingua, ma piuttosto l’abitudine ad utilizzare gag di personaggi pubblici, frasi che col tempo diventano usuali tra amici, e a volte ci si può dimenticare quale sia il contesto in cui vanno evitate.


Vediamo qualche esempio, rigorosamente ascoltato con le mie orecchie (ma che difficile cercare di rimanere seri, in diretta, al cospetto di certi “strafalcioni”!), che ho cercato di legare con un unico filo conduttore (la parte reale è quella in grassetto).

Qual é la causa per cui un giovane risulta essere troppo viziato?
La saggezza popolare ci corre in aiuto e così scopriamo che: ” … quel bambino lo tengono troppo nella Barbagia…”. Ma perché lo stesso giovane viziato può causare danni, a sé e agli altri, all’uscita di una discoteca? Molto semplice… ”questi ragazzi ballano dopo essersi riempiti di Tachipirigna, e quando escono sono storditi…”, e poi in macchina …”basta un’inerzia” per farsi del male! Potrebbero stare più a casa, magari guardare un film in TV, ci sono spesso delle belle pellicole, come ”Il Colosso di Prodi” e “Conad il Barbaro”, o film più impegnati come “L’albero delle zoccole”. Oppure potrebbero andare a dormire prima, in fondo ormai:”... tutti hanno un letto con le toghe” e ciò “e’ un bene per lo sterco”. Ma questi giovani hanno davanti agli occhi esempi negativi che arrivano dalla TV, e tutti voglio “togliersi uno spizio” e “uscire dal seminario”, e la loro massima aspirazione è fare soldi, magari diventando “un magnete del petrolio”.
E quando questi ragazzi tornano a casa dopo un sabato di follie, e i genitori chiedono timide spiegazioni sulla scazzottata che hanno “scritta” in volto, la risposta é sempre la stessa…”Beh, c’e’ stata un pò di Maremma…”
Ma il massimo, o meglio l’ultimo "groviglio di parole", in ordine cronologico, é un trittico.
Detto crudamente risulta così:
Nell’amplesso, non ci sono fulmini di genio e quindi occorre andare con i piedi di piuma”.
Scorporiamo e troviamo i significati originali.
Nell’amplesso significa “nel complesso”.
Fulmini di genio “ e’ l’interpolazione tra “Fulmini di guerra e Lampi di genio”.
Piedi di Piuma” significa “Piedi di Piombo”.
Insomma, immaginiamo un presidente di calcio che chiede lumi al proprio allenatore relativamente ad una sconfitta, e che questi, trovando l’alibi dell’utilizzo di qualche riserva, induca il proprio ” capo “ a sospendere momentaneamente il giudizio.
La frase diventerebbe:”Nell’insieme, non avevamo una squadra molto dotata, a causa di molte assenze, per cui bisogna essere cauti nel prendere posizioni assolute!”.

Ovvero…”con i Fulmini di genio si può vincere , e se non li hai… devi muoverti coi piedi di piuma!”



venerdì 18 aprile 2014

Bardejovska Nova Ves


Bardejovska Nova Ves” è l'opera di un giovane scultore, Martin Hudacky, di Banska Bystrica, ed è dedicato ai bambini mai nati.
Il monumento esprime il rammarico e il pentimento delle le madri che hanno scelto di abortire, ma anche il perdono e l'amore dei bambini mai nati per le madri.
L'idea di creare un monumento ai "non nati" è stata di un gruppo di donne, madri consapevoli del valore di ogni vita umana e dei danni relativi, non solo per la perdita irreparabile di bambini, ma anche per la conseguente condizione precaria, mentale e fisica, attribuibile ad ogni donna che decide di abortire.





giovedì 17 aprile 2014

La mia città


Scrivevo un pò di tempo fa...

L'arrivo del Natale ci fa riscoprire la città e le sue luci migliori.
L'aria che si respira e' per taluni festosa, per altri un po' meno, ma il cuore cittadino pulsa come mai accade nel corso dell'anno.
Sono quei momenti in cui mi ritrovo a dire:"Ma è proprio bella Savona!", e in questa affermazione risiede la consapevolezza di conoscerla poco e di viverla ancor meno.
Passeggiando con i miei piccoli mi ritrovo a dire:"Vedi, qui un tempo avevamo paura al solo pensiero di passarci, ed ora la vecchia Darsena è un luogo tra i più vissuti e affascinanti!"
Girare in questo periodo mi intristisce, e molto, ma colgo questa occasione per "omaggiare la mia città, rispolverando vecchie fotografie, che per me sono cariche di significati.

Il tutto condito da "Imagine" di Lennon.





Citazione del giorno.
"La forma d'una città cambia, ahimè, più in fretta del cuore di un mortale."(Charles Baudelaire)


mercoledì 16 aprile 2014

Geografia di vita

Elaborazione grafica di Francesco Pullè

Geografia di vita

Non ero più soddisfatto e giunto alla maturità mi pareva fosse un obbligo scoprire il segreto che si nasconde dietro ad ogni angolo.

Avevo perso troppo tempo, ma per fare il balzo in avanti serve coraggio, o forse solo l’occasione giusta.

L’acqua azzurra, la sabbia fine e il sole tiepido non avevano più valore… da sempre a mia disposizione e ormai parte di una noiosa routine.

Ho iniziato il mio gioco, il mio viaggio senza meta apparente, ma in realtà l’obiettivo di una vita.

Un lungo percorso, passo dopo passo, giorno dopo giorno, con il blu negli occhi e nella mente, un colore che incominciava a mancarmi mentre la pioggia si alternava ai miei passi sempre più grevi.

Dietro ad ogni curva una nuova curva, dopo ogni facile discesa una ripida salita, senza toccare mai un segnale di piena luce, anche se l’esperienza, solitamente, illumina.

Un giorno, un mese, un anno, e senza accorgermi del tempo volato sono tornato al punto di partenza.

Mi giro su me stesso mentre la scena muta, e tutto appare come nuovo, e mentre inizio ad apprezzare ciò che ho sempre avuto, l’immagine si schiarisce, prende forma e apre la mia mente: avevo già quello che serviva, ma non più gli occhi per vedere.

Un viaggio, una fotografia, una riflessione, possono condurre ad una fetta di verità… un buon punto di partenza.


I “Little Planet” sono immagini di grande impatto che vengono create partendo da fotografie a 360°, che verranno poi trasformate geometricamente attraverso apposite tecniche. Fedeli agli originale nei contenuti, i Little Planet propongono prospettive e punti di vista inusuali e intriganti.


lunedì 14 aprile 2014

Football allo stadio... un altro mondo!



Nel recente passato ho potuto constatare di persona come un grande evento sportivo di massa passa essere vissuto come la maggior parte delle persone lo vorrebbe: una festa per le famiglie, nessun pericolo nascosto, ovvia competizione, colore, rumore, musica, momento di relax da passare in piena comunione.
Era il 2009 e nell’occasione del fine settimana, al termine di un breve periodo di lavoro in South Carolina, ci veniva proposta una domenica allo stadio, per assistere ad una partita di Football Americano tra la squadra del Clemson e … non ricordo il nome dell’antagonista.
E’ uno sport che non amo, e l’averlo vissuto in diretta non mi ha fatto cambiare idea, ma poter passare alcune ore immerso nella vera cultura americana aveva per me un certo fascino, così come lo avrebbero avuto una partita di Baseball o Basket.
Nella breve esperienza siamo stati quasi guidati per mano da chi si è preoccupato di condurci in auto, dopo aver pensato per noi a indumenti adatti all’imminente pioggia in arrivo.
L’avvicinamento fa parte della comprensione dell’evento, e sapere che annessi ai biglietti ci sarebbero stati anche i posti auto nei vari parking è  stato di per se già sorprendente.
Arrivati sui prati che circondano lo stadio il verde si è trasformato in arancione, quello dei colori dell’equipe di casa.
Ho visto intere famiglie, giunte al mattino, installare le loro strutture mobili, fatte di televisioni, barbecue, tutti i confort che si possono trasferire dall’abitazione alla “strada”.
Ho visto bimbi giocare cercando di emulare i campioni che dopo poco sarebbero scesi in campo, e gruppi familiari vivere una giornata serena, che non verrà guastata dal risultato sportivo negativo.
Ho visto ancora la banda scorrere per le strade circostanti, con l’ostentazione di un folklore che sa di sano e divertente.
Piccolo particolare: partita della massima serie e all’interno dello stadio ci ritroveremo circondati da… 80000 persone… una finale dei mondiali!
Entriamo nell’arena e i numeri sono ancora contenuti. Intanto prendiamo confidenza con le usanze.
Anche lo stadio cambia progressivamente colore e si tinge di arancione, ma… una piccola fetta è blu, il segno distintivo degli avversari e, cosa anomala per la mentalità italiana, sono a contatto tra di loro, divisi da niente, curva nord e sud vicine come fossero amiconi.
Sul green si succedono le manifestazioni, e una serie di majorette ha uno spazio riservato sugli spalti, una sorta di eco a ciò che accade in campo.
Prima dell’inizio va in scena il galà delle celebrità, con tanti ex campioni e persone famose che sfilano davanti ad una folla incandescente, che dimostra di apprezzare con ovazioni ad ogni nuova entrata. Entra sul rettangolo verde la banda e la scenografia esplode, anche se la mia sorpresa personale arriverà quando nella pausa tra i tempi si esibirà con brani dei The Who.
Il match sta per iniziare e il tifo inizia, con standing ovation guidate da quello che alla fine risulterà il massimo incitamento al perseguire la causa “cittadina”: da un grande display si illumina una frase che tradotta significa…” Alzati in piedi e fa più rumore possibile!”.

ALZATI IN PIEDI E FA PIU’ RUMORE POSSIBILE!

Che lezione di civiltà! Ottantamila persone che convivono senza scontri e, sottolineo ancora, il team casalingo, quello che poteva contare sulla stragrande maggioranza di presenti, sarà sconfitto, e nessuno si farà male.
Insomma, qualcosa di invidiabile questi americani ce l'hanno, ed è questo un fatto oggettivo.
Ho provato a riassumere le mie parole nel video a seguire, che ripercorre alla buona il mio racconto.

Tanto per dimostrare che non ho inventato niente!





venerdì 11 aprile 2014

Il mio ricordo di John Kennedy


Chi mi conosce sa del mio amore generico per l'America.
Sono cresciuto guardando i filmetti d'oltreoceano e la prima volta che sono stato negli USA ho realizzato che esiste effettiva corrispondenza tra la fiction televisiva e la realtà.
In quella occasione, il '93, mia figlia era già stata concepita, senza che io e mia moglie lo sapessimo, per cui anche lei era in viaggio con noi ed è questo un motivo in più che mi fa amare quella terra. Sono conscio del fatto che viverci non deve essere cosi' idilliaco come in molti film, ma dopo esserci stato più volte mi sono fatto l'idea che per il passante, quale io sono sempre stato, le cose negative non emergono, mentre si rafforzano i giudizi positivi. E poi, per un ammalato di musica è davvero una pacchia! Tra lavoro e vacanza, mi sono imbattuto in momenti indimenticabili, di cui spesso mi vanto, come un ragazzino fa, quando parla della sua nuova conquista.

Uno di questi "attimi da ricordare" l'ho vissuto a Dallas nel novembre del 97, e nelle righe seguenti, scritte molto tempo fa, ne descrivo il motivo.

"Sono le 21 quando atterro a Dallas, e passa almeno un ora prima di arrivare all’Holliday Inn, nel pieno centro città.
Fa molto caldo, sembra estate piena.
La prima cosa di cui mi interesso, con l’impiegato di turno è l’esatto punto in cui e’ stato ucciso JFK.
E’ lontano?”
No, vicinissimo, segui la strada, giri a destra e troverai il “Six Floor Museum. Impossibile sbagliare.”
Ma cosa era questo museo? Del sesto piano?


Quel novembre del 1963, Kennedy e consorte iniziarono il corteo che sarebbe sfociato in Elm Street, la strada dritta che partiva dall’Holliday Inn, per poi svoltare e ritrovarsi nella Delaney Plaza.
Nei pressi della “Collina Erbosa”, sotto al vecchio deposito di libri scolastici, Kennedy fu ucciso da chissà’ chi e chissà come. Il vecchio “deposito di libri scolastici” e’ quello da cui, si presume, Lee Harwey Osvald abbia sparato a JFK, appunto da una stanzetta del sesto piano. Così ha decretato la Commissione Warren, incaricata dell’inchiesta ufficiale.
Questo sesto piano e’ ora un fantastico museo, dove, in tutte le lingue, si può seguire la storia di quegli anni e di quella gente. La stanza e’ protetta da cristalli spessissimi, ma all’interno tutto e’ stato riprodotto come scoperto quel lontano 22-11-1963.
Era novembre. Le scatole di cartone, destinate al contenimento dei libri, ma utilizzate come riparo e nascondiglio da Osvald, sembrano piazzate alla rinfusa, ma rispecchiano la disposizione originale. Giro tra le riproduzioni tridimensionali, i quadri, i films , come imbambolato.
E’ troppo vivo in me il ricordo in bianco e nero di quel giorno. Il significato di quel momento era incomprensibile per un bambino di 7 anni, eppure quella macchina, quegli spari , quel sangue, mi e’ rimasto dentro, come la morte di Papa Giovanni, come la prima volta sulla luna, alcuni anni dopo.
Dopo aver visto la sua tomba a Washington, la sua dimora e quella della moglie, ora stavo rivivendo la sua morte. Una volta uscito non riesco a staccarmi da quel palazzo. Mi seggo sulla panchina di fronte, mi godo il sole, e fisso quella finestra assassina...forse. Mi guardo attorno e rivedo il corteo, la gente eccitata, in pianto dopo gli spari. Rivedo Zapruder, fotografo dilettante, con la sua rudimentale cinepresa, ormai mitica e al sicuro all’interno del museo. Per tutto il giorno, e quello a seguire, ogni strada intrapresa in città, vicoli interni o vie di largo traffico, mi portano in quel punto , per me magico. Nella Delaney Plaza c’è la calamita, ed io, metallo ferroso, non posso e non voglio opporre resistenza.
Quello è il mio posto per il fine settimana.
Alla sera una concessione… solo la musica può vincere il magnetismo di quel posto.
Mi accordo con l’autista dell’hotel e mi faccio portare ad un altro Hard Rock Cafe’, dopo quello di New YorkMa esisterà qualcuno che nello spazio di due giorni e’ riuscito a vedere questo locale in due città cosi’ lontane?”.
Si, io.
La sera finisce per strada, in una piazza interna dove ovviamente si suona.
Il giorno dopo scatta il doppio magnetismo. Sono ancora davanti al museo e sono colpito da … spari. Una Lincoln blu mi passa davanti, e dopo alcuni colpi corre via ad alta velocita’.


Ecco cosa mi manca! Sarà la solita americanata, ma non posso perdermela. 
La macchina é lunga due km e la spesa del viaggio e’ condivisa con altri turisti, una famiglia di tre persone. Il bambino seduto davanti, con l’autista. Io a meta’ e il resto dietro. Che emozione!
Il giro e’ lentissimo e godo della vista della città.Stiamo percorrendo fedelmente la strada di Kennedy, quel giorno.
Mi sento agitato, in attesa degli spari che presto arriveranno.
Anche ora sono agitato!
Finita Elm Street svoltiamo... ci siamo quasi…
Il deposito e’ alla mia destra, e la collinetta e’ ben visibile… alcuni spari registrati… ancora brividi. L’auto accelera lungo la Stemmons Freeway, in direzione del Memorial Hospital.
La registrazione audio ripropone fedelmente le sirene e i clacson del tempo, mentre la Lyncoln corre impazzita verso l’ospedale. La cosa e’ talmente “vera” che la spettacolarIzzazione dell’evento passa in second’ordine.
Lo speed up finisce e, mestamente, ritorniamo verso il punto di partenza.
Registro tutto il possibile e mi sento davvero coinvolto.
La radio trasmette le parole di quel 22 novembre, con la cadenza ed il tono appropriato.
Il lutto si trasmette ai passeggeri dell’auto.
La musica di sottofondo sottolinea la tragedia, in un crescendo che amplificherà il mio disagio. Poi all’improvviso la calma, la quiete, il riposo… ciò che di solito segue la tempesta.
E siamo tornati all’origine.
Passero’ le ultime ore a Dallas restando nei paraggi, cercando di metabolizzare l’intensa esperienza appena vissuta.
Come mi piacerebbe poter trasferire efficacemente ciò che ho “sentito”, ciò che non e’tangibile!
Un ultimo giro nell’atrio del museo, giusto il tempo per acquistare il Cap del “VI FLOOR MUSEUM “, abbinato alla T-shirt, ed un giornale / copia, con su i titoli del giorno successivo all’attentato."


Nel filmato a seguire è riproposto l'attimo della tragedia e in successione l'uccisione di Lee Harwey Oswald, domenica 24 novembre, mentre viene trasferito dalla Centrale della polizia di Dallas alla prigione della contea, per mano di Jack Ruby, un gestore di un night club, affetto da turbe psichiche.






A tutt'oggi non e' dato di sapere cosa realmente sia accaduto quel 22 novembre del 1963.






Il mio omaggio odierno e' dedicato alla figura di JFK, la cui morte é rimasta impressa, in bianco e nero, nella mia memoria .
Con questo cerco lo spunto per agganciarmi a "Happy Days", al fumo in uscita dai tombini di N.Y., ai Yellow Cab, ai film girati a Little Italy, ai Gospel di Harleem , e cioè alle immagini della mia giovinezza, verificate poi sul campo col passare degli anni.

Vediamo i filmati.





Citazione del giorno:

"L'umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all'umanità (John Kennedy)



giovedì 10 aprile 2014

Liriche e musica... Se io lavoro


Le Orme-Storia o Leggenda (1977)

Se io lavoro
Se io lavoro è perché non so che fare
Ho pochi amici con cui passare il giorno
E non vorrei che si parlasse di me 
Che si dicesse che cerco solo di guadagnare
Perché questo non è vero, non è mai stato vero
Primavera, estate, autunno, inverno
Canto il giorno della terra in festa
E così sereno
Resto qui ad aspettar la sera

Se io lavoro è perché non so che fare
Perdere tempo vuol dire restare indietro
E se dovessi tornare a nascere un'altra volta
Direi al Signore di darmi la forza del contadino 
E non mi manca certo la gioia di vivere
Primavera, estate, autunno, inverno
Canto il giorno della terra in festa
E così sereno
Resto qui ad aspettar la sera




mercoledì 9 aprile 2014

Un bel ricordo di NIC...



MARZO 2007-Palazzetto dello Sport di Loano

Domenica ho goduto per otto, intensissimi minuti.
Ho goduto guardando mio figlio in un contesto che non conoscevo.
Ho trattenuto il mio entusiasmo per evitare di farmi  “conoscere “da persone che non sanno chi io sia.
Ho finto indifferenza per non passare per il solito papà che si monta la testa proiettando se stesso sui propri prolungamenti, gongolandosi per le meraviglie del figlio, un bimbo di 9 anni.
Una caratteristica positiva, secondo me, di Niccolò, e’ la sua predisposizione allo sport in genere.
Quello che più ama, esercitato sin dai 5 anni, e’ il calcio, che e’ poi il mio amore.
Lo pratica con continuità, con passione, con dedizione, e direi anche con discreto successo.
Vederlo muoversi sul campo e’ per me un grande piacere.
E’ elegante, concreto, leader, desideroso di partecipare e anche di vincere.
A volte mi stupisce per le cose che riesce a fare.
A volte mi fa arrabbiare per certe banalità ed io non perdo occasione per elogiarlo o spiegargli gli errori.
Raccontata così sembra quasi una cosa seria .
Può non essere seria un’attività che si svolge per tre giorni alla settimana, che coinvolge tutti i genitori, che e’ seguita dai fratelli, dalle sorelle, dai nonni?
Nessuno di quei bimbi diventerà un campione, ma cresceranno e si formeranno sapendo cosa significhi far parte di una  squadra,  lavorare in  gruppo,  raggiungere un obiettivo comune.
E poi mi diverto, così come mia moglie, quando butta la palla in rete e corre verso il centrocampo facendo gesti visti in TV, pittoreschi, ma non irriverenti.
Spesso giochiamo assieme e io gli passo tutti i  trucchetti che conosco.
Per lui e’ faticoso ascoltarmi attivamente e mi accorgo che preferisce seguire l’istinto.
E’ esuberante a tal punto che abbiamo dovuto trovargli alternative al calcio, per coprire i vuoti che esistono tra i giorni di allenamento e la partita.
In questo noi genitori c’entriamo poco, anche se potrebbe sembrare una mania di grandezza.
Niccolò ci chiede di spendere energie quotidianamente, di sudare ogni volta che sia possibile, cioè chiede ciò che  io facevo alla sua età  tutti i giorni, all’oratorio.
Ma ora l’oratorio non c’e’ più e bisogna inventarsi alternative.
Dunque, escludendo la domenica dedicata alla famiglia, restano due giorni liberi dal calcio.
Uno lo si impegna col tennis.
Eh si, un’ ora di tennis a settimana .
Il tutto e’ iniziato con una prova nel campo di fronte a casa nostra.
Gli e’ piaciuto e quindi prosegue.
L’ultimo giorno e’ dedicato al Basket.
Nic e’ stato accettato alla scuola di pallacanestro (in fondo basta pagare!) con la formula del …“mi alleno una volta a settimana,  ma non contatemi per le gare”.
Da quindici giorni lui sapeva di una partita, di domenica mattina.
E ha incominciato a martellarmi.
Ti prego papi, portami almeno una volta a giocare!”
Ma no Niccolò, dobbiamo andare a messa, tra un po’ farai la Comunione, e poi ci dobbiamo alzare prestissimo per andare a Loano!”
Ma poi a me che importa del Basket!
Ma dire di no e’ difficile … meglio goderseli questi figli, finche si può.
Alle 9.30 siamo davanti al Palazzetto dello Sport, pronti a partire per Loano.
I bambini sono 12 e si gioca in 5.
Ma perchè lo avrà convocato?
Arriviamo e mi seggo defilato, assieme al padre di  un compagno di calcio di mio figlio, nelle stesse condizioni.
Non cerchiamo la confidenza col resto del gruppo  e  ci viene da fare confronti con la nostra compagnia del calcio.
Ci consideriamo occasionali  e snobbiamo l’avvenimento, dando l’impressione di quelli capitati li per caso.
Parlando col mister chiedo il nome della nostra squadra e mi immagino che abbia pensato ad un padre inesistente, che nemmeno conosce il team del suo bambino.
La struttura in cui ci troviamo e’ da professionisti.
Piscine, palestre, bar e mega corridoi.
Di basket non capisco nulla, ma da come si muovono i bambini “avversari” temo il peggio.
Ma non per mio figlio… lui non c’entra con questo sport.
Inizia la partita con la squadra base, penso la più forte possibile.
Ovviamente Nic non c’e’, e mi sembra giusto.
Finiscono i primi 8 minuti quasi tragicamente, con un punteggio pesantissimo, mi pare 35 a  5 per i nostri avversari.
Ma dove sono capitato?!
Il secondo tempo inizia ed entrano altri 5. Ovviamente Nic non c’e’ e mi sembra giusto.
Noi subiamo e basta e non riusciamo a fare  un  solo canestro in 8 minuti.
Loro sembrano dei piccoli Maradona imprestati ad altro sport e ci schiacciano sotto al nostro canestro.
Una tragedia.
55 a 5.
Inizia il terzo tempo.
Il mio vicino mi chiede se voglio un caffè, ma declino l’invito con una scusa.
In realtà voglio vedere cosa sa fare il mio piccolo.
Non mi aspetto molto, al di la del dinamismo, ma sono curioso.
Il mister riunisce tutta la squadra ed il quintetto che ne esce fuori non prevede la partecipazione di Niccolò.
Mi chiedo per quale motivo siamo in quel posto, cosa ci siamo alzati a fare, perchè perdere del tempo!
Soltanto ieri gli ho visto fare una tripletta contro il Ceriale, con un pallonetto da favola!
Quelle sono soddisfazioni!
L’allenatore fa bene a non investire su uno che  e’ li per caso, ma almeno un contentino potrebbe darglielo.
Niccolò, al centro della panchina, ranicchia le ginocchia e ci infila la testa in mezzo.
Si stropiccia gli occhi e intuisco il suo pianto.
Mi si stringe il cuore e vorrei portarlo via di corsa.
Il mister gli si avvicina e lo consola proponendo la sua  razionalità, ma in quel momento e’ un’arma sbagliata.
Mi guarda da lontano, cercando conforto con gli occhi.
Io restituisco e gli faccio intravedere il dito che simboleggia un ok.
E gli mando un bacio.
Come vorrei stringerlo a me e baciarlo, consolarlo, accarezzarlo.
Ma lui sta preparando la sua rivincita, nell’unico modo che conosce.
E carica le batterie in attesa dell’esplosione.
Il terzo tempo finisce col punteggio di 77 a 7.
Chiamo mia moglie e racconto il tutto.
Lei scoppia in riso, più stupito che divertito, quando sente il punteggio.
Ha giocato a Basket in serie B e forse parla con cognizione di causa.
Poi sento il suo dispiacere quando racconto di Nic.
Non e’ la fine del mondo, ci sta tutto e tutto e’ spiegabile.
Ma Niccolò e’ un animale da arena e non riesce proprio a capire la gabbia in cui si trova in quel momento.
Ed ora e’ il suo momento, suo e del suo amico di calcio, che comunque ha già avuto la chance nel secondo tempo, forse perchè prestante fisicamente.
Niccolò e’ tra i più piccoli però tutti spariscono  quando lui entra in campo.
Alla prima azione ruba palla al centro e corre a fare canestro, mentre tutti i genitori applaudono, finalmente, e l’allenatore lo elogia.
Sarà un caso questo canestro?
Lui corre ovunque, difende  come fa normalmente con i piedi, attacca come e’ solito fare su un campo di calcio.
Gli atri bambini sembrano trasformati e lui li guida, spiegando cosa devono fare.
Scappa ovunque senza che qualcuno riesca a fermarlo e segna un altro canestro.
Questo Basket incomincia a piacermi!
Anche il suo amico fa un canestro… questo e’ gioco di squadra.
La tattica consiste nel lanciare lungo verso Niccolò, che si smarca a piacimento e va a canestro.
L’allenatrice in seconda promette un gelato al raggiungimento dei 15 punti .
Gli avversari non esistono più e il quarto tempo si chiude col punteggio di 10 a 2 per noi.
I genitori mormorano tra il contento e l’invidioso.
Io mantengo il distacco che mi sono imposto,  ma dentro sono felice ed orgoglioso.
Un papà mi chiede qualcosa, ma io sottolineo che siamo solo di passaggio e che il basket non e’ affar nostro.
Immagino  il rammarico dell’allenatore che  deve allenare un ragazzino promettente che non potrà mai utilizzare con continuità.
Mentre aspetto l’uscita dagli spogliatoi telefono a mia moglie e racconto.
E’ incredula  e dispiaciuta di non aver partecipato alla trasferta.
Niccolò esce e mi chiede, come sempre: “ Come ho giocato?”
Grande Nic!”.
Sai papa’ mi e’ venuto un nervoso che ho dato tutto quello che avevo. Hai visto quel canestro fatto col terzo tempo?”
E che  cos’e’ il  terzo tempo Nic? ”.
Significa che tu devi…”
Magari non farà più una partita, magari non mi capiterà più di vederlo, magari lascerà ogni tipo di sport per dedicarsi ad altro, ma… quegli 8 minuti non li dimenticherò mai, e probabilmente nemmeno lui.
E intanto  Niccolò aspetta l’allenamento di martedì per pretendere il gelato dei 15 punti, per lui e per la sua squadra.