West Virginia

West Virginia
Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

mercoledì 30 aprile 2025

Il Silenzio del Leone - Ricordo di Sergio Leone (30 aprile)



 Sergio Leone: quando il silenzio del west diventò leggenda


Il 30 aprile. Una data che, per gli amanti del cinema con la "C" maiuscola, risuona con un eco malinconico. È il giorno in cui, nel 1989, il sipario calò per sempre su Sergio Leone, un maestro che con la sua visione audace e il suo stile inconfondibile ha ridefinito i confini del genere western e lasciato un'impronta indelebile nella storia della settima arte.

Leone non fu un semplice regista. Fu un demiurgo di mondi polverosi, un narratore epico capace di trasformare paesaggi aridi in teatri di passioni intense e silenzi carichi di tensione. Il suo "spaghetti western" non fu un'imitazione sbiadita del modello americano, ma una sua vibrante e stilizzata rilettura, un'opera di decostruzione e successiva glorificazione che seppe conquistare il pubblico e influenzare generazioni di cineasti.

Pensare a Leone significa immediatamente evocare immagini iconiche: i primi piani intensi che scrutano l'anima dei personaggi, le lunghe attese cariche di suspense, le sparatorie improvvise e fragorose che squarciano il silenzio. La sua macchina da presa danzava con eleganza tra i volti segnati dal sole e le desolate distese del West, creando un'atmosfera unica e inimitabile, amplificata dalle musiche immortali del suo sodale Ennio Morricone.

Da "Per un pugno di dollari" a "C'era una volta in America", Leone ha costruito un universo cinematografico coerente e affascinante, popolato da antieroi ambigui, figure tormentate dalla sete di vendetta o dal desiderio di redenzione. I suoi film non raccontavano semplici storie di buoni contro cattivi, ma esploravano la complessità dell'animo umano, le sfumature del bene e del male in un contesto storico spesso brutale e spietato.

La sua maestria nel dilatare il tempo narrativo, nel costruire la tensione attraverso dettagli apparentemente insignificanti, nel valorizzare il potere del silenzio e dello sguardo, ha rappresentato una vera e propria lezione di cinema. Leone non aveva fretta di raccontare; preferiva immergere lo spettatore in un'esperienza sensoriale completa, dove l'immagine, il suono e la musica si fondevano in un'armonia perfetta.

La sua scomparsa, avvenuta prematuramente all'età di sessant'anni, ha lasciato un vuoto incolmabile nel panorama cinematografico mondiale. Ma l'eredità di Sergio Leone è viva e pulsante, rintracciabile nell'opera di numerosi registi che hanno saputo cogliere la sua lezione di stile e di narrazione. I suoi film continuano ad affascinare e a ispirare, a trasportarci in quei mondi epici e polverosi dove il silenzio parla più delle parole e uno sguardo può valere più di mille pallottole.

Il 30 aprile non è solo una data sul calendario, ma un momento per ricordare e celebrare un gigante del cinema, un autore che ha saputo trasformare un genere popolare in un'arte sublime. Il silenzio che avvolse il mondo del cinema quel giorno non ha mai del tutto soffocato l'eco potente e duraturo dei suoi capolavori.






martedì 29 aprile 2025

L'Ombra del Maestro - A quarantacinque anni dal silenzio di Hitchcock

 


Quarantacinque anni senza il re del brivido: ma i suoi incubi eleganti continuano a perseguitarci


Alfred Hitchcock

(Londra, 13 agosto 1899 – Los Angeles, 29 aprile 1980)


Il calendario segna, con la sua consueta, imperturbabile progressione, il ventinove di aprile. Per molti, una data come un'altra, intrisa delle ordinarie dinamiche del quotidiano. Ma per gli amanti del cinema, per coloro che hanno imparato a scrutare le ombre proiettate sullo schermo come finestre sull'inconscio, questo giorno porta con sé un'eco particolare, un sussurro di silenzio che risuona attraverso i decenni. Quarantacinque anni. Un lasso di tempo considerevole, eppure la sua assenza si percepisce ancora con una nitidezza sorprendente, come un fotogramma improvvisamente tagliato da una pellicola magistrale. Parliamo, inevitabilmente, di Alfred Hitchcock.

Non un semplice regista, ma un demiurgo di incubi eleganti, un burattinaio di ansie sottili, un maestro nell'arte di trasformare la normalità in un terreno fertile per la paranoia. La sua filmografia, un corpus di opere che spaziano dal thriller psicologico al puro esercizio di suspense, non è solo un catalogo di storie avvincenti, ma un vero e proprio manuale sulla manipolazione delle emozioni cinematografiche. Chi non ha trattenuto il fiato di fronte alla doccia fatale di "Psycho", chi non ha provato un'angosciante claustrofobia osservando James Stewart immobilizzato in "La finestra sul cortile", chi non ha sentito il terrore primordiale di fronte all'attacco implacabile degli uccelli?

Hitchcock non si limitava a raccontare storie; le intesseva con una precisione chirurgica, utilizzando ogni elemento – l'angolazione della camera, il montaggio serrato, la colonna sonora inquietante – come un bisturi per incidere nella psiche dello spettatore. Il suo celebre "MacGuffin", un espediente narrativo, un oggetto come i documenti rubati in "Intrigo internazionale", che spinge i personaggi all'azione ma la cui vera importanza è secondaria per il pubblico, era solo una delle tante frecce nel suo arco. La vera magia risiedeva nella sua capacità di rendere universali le paure più intime, di trasformare la quotidianità in un potenziale scenario di terrore.

Eppure, ridurre Hitchcock al mero "maestro del suspense" sarebbe riduttivo. Il suo cinema era intriso di una sofisticata ambiguità morale, di un'ironia sottile e di una profonda osservazione della fragilità umana. I suoi personaggi, spesso intrappolati in circostanze che sfuggono al loro controllo, si muovevano in un mondo di apparenze ingannevoli, dove la fiducia veniva costantemente messa alla prova e il confine tra vittima e carnefice si faceva pericolosamente labile.

A distanza di quarantacinque anni dalla sua scomparsa, avvenuta in quel ventinove aprile che oggi commemoriamo, l'ombra lunga di Hitchcock continua a proiettarsi sul cinema contemporaneo. La sua influenza è palpabile nelle opere di innumerevoli registi che hanno appreso la lezione della tensione costruita con pazienza, del dettaglio rivelatore, del potere suggestivo dell'inquadratura. Il suo stile inconfondibile, il suo umorismo nero, il suo iconico profilo sono diventati parte integrante del linguaggio cinematografico.

Ricordare Alfred Hitchcock in questo giorno non è solo un atto di reverenza verso un gigante del passato, ma anche un'occasione per riflettere sul potere duraturo del cinema di esplorare le zone oscure dell'animo umano e di tenerci, ancora oggi, con il fiato sospeso. Il silenzio calato quarantacinque anni fa non ha spento l'eco dei suoi capolavori, che continuano a parlarci, a turbarci e, in definitiva, ad affascinarci. Il maestro è partito, ma la sua ombra, densa di mistero e di genio, rimane ben salda sul grande schermo.





lunedì 28 aprile 2025

L'efficacia persistente della ripetizione pubblicitaria: tra fastidio consapevole e influenza subconscia


Come molti, mi sono trovato spesso a riflettere sull’insistenza di certe pubblicità e, non trovando risposte immediate e chiare, ho deciso di approfondire la questione, condividendo ora le informazioni che ho raccolto


Nel panorama mediatico contemporaneo, caratterizzato da una saturazione di messaggi commerciali, la strategia della ripetizione pubblicitaria continua a rappresentare un pilastro per numerosi brand. Nonostante la reazione spesso negativa e il tentativo attivo di elusione da parte dei consumatori – come il cambio canale televisivo o la distrazione visiva durante gli spot online – l'efficacia di questa tattica persiste, radicandosi in meccanismi psicologici profondi e obiettivi di marketing strategici.

Ma perché dovrebbero funzionare informazioni noiose, ripetitive, da qui si potrebbe facilmente “fuggire”?


I Fondamenti Psicologici della Ripetizione

Il successo della pubblicità ripetitiva affonda le sue radici in principi psicologici consolidati. L'effetto di mera esposizione suggerisce che la semplice esposizione ripetuta a uno stimolo neutro o inizialmente poco gradito può portare a un aumento della sua valutazione positiva nel tempo. Anche se un individuo non presta attivamente attenzione al contenuto di uno spot ripetuto, la sua familiarità con il marchio e il messaggio aumenta a livello subconscio. Questa familiarità può tradursi in una maggiore fiducia e propensione all'acquisto nel momento decisionale.


Uno dei tanti “martellamenti” di DAZN…


Parallelamente, la ripetizione gioca un ruolo cruciale nel processo di memorizzazione. Ogni esposizione rafforza la traccia mnemonica del nome del marchio, del prodotto e degli slogan associati. Questo "martellamento" informativo mira a garantire che, al momento del bisogno o della considerazione d'acquisto, il marchio ripetutamente esposto emerga più facilmente dalla memoria del consumatore.


Obiettivi di Marketing Strategici

Dal punto di vista del marketing, la ripetizione persegue diversi obiettivi chiave:

Creazione e mantenimento della notorietà del marchio: in un mercato competitivo, la visibilità costante è fondamentale. La ripetizione assicura che il marchio rimanga "top-of-mind" nel panorama mentale del consumatore, aumentando la probabilità di essere considerato al momento dell'acquisto.

Rafforzamento del messaggio e del posizionamento: ogni ripetizione offre l'opportunità di veicolare e rinforzare specifici attributi del prodotto, benefici o valori del marchio. Questa coerenza comunicativa contribuisce a definire e consolidare il posizionamento del brand nella mente del target audience.

Raggiungimento di un pubblico ampio e diversificato: la ripetizione su diversi canali e in orari differenti massimizza la copertura del messaggio, intercettando segmenti di pubblico con abitudini di consumo mediatico variegate.

"Usura" della resistenza e influenza subliminale: sebbene controintuitivo, l'esposizione continua può gradualmente diminuire la resistenza emotiva negativa verso la pubblicità. Il messaggio, pur non essendo attivamente elaborato, può comunque esercitare un'influenza sottile a livello subconscio.


Il paradosso del fastidio e dell'efficacia:

La reazione di fastidio e l'elusione attiva da parte di molti consumatori rappresentano un paradosso nell'efficacia della ripetizione. Tuttavia, è cruciale considerare che non tutti i consumatori reagiscono allo stesso modo, e la soglia di tolleranza alla ripetizione varia significativamente tra gli individui.

L'efficacia non si basa necessariamente sull'apprezzamento, perché l'obiettivo primario non è l'amore per la pubblicità, ma la memorizzazione del marchio e l'associazione con specifici bisogni o desideri.

Occorre anche dire che il subconscio è meno "filtrante" della coscienza: anche se la mente rifiuta il messaggio, l'esposizione ripetuta può comunque lasciare un'impronta a un livello meno consapevole.

Quindi…

nonostante l'evoluzione delle strategie di marketing verso forme di comunicazione più coinvolgenti e personalizzate, la ripetizione pubblicitaria mantiene una sua validità, supportata da solidi principi psicologici e obiettivi di marketing focalizzati sulla notorietà e sul ricordo del marchio. Sebbene il fastidio generato sia una preoccupazione legittima, le aziende continuano a investire in questa tattica, bilanciando il potenziale di alienazione con i benefici in termini di visibilità e influenza a lungo termine sul comportamento del consumatore. Comprendere questa dinamica complessa è fondamentale per analizzare criticamente il panorama pubblicitario contemporaneo e le sue strategie persuasive.


Le pubblicità degli anni ’70…








domenica 27 aprile 2025

La storia di Jack Henry Abbott: dalle viscere della bestia al baratro

 


La storia di Jack Henry Abbott è una delle più oscure e controverse del panorama letterario americano. Nato nel 1944 e con una lunga fedina penale alle spalle, Abbott divenne un improbabile protagonista del mondo intellettuale grazie alla sua potente voce narrante proveniente dalle profondità del sistema carcerario statunitense.

La sua vita, come lui stesso la descrisse, fu quella di un "galeotto cresciuto dallo Stato", trascorrendo gran parte della sua esistenza, fin dall'età di dodici anni, dietro le sbarre, spesso in isolamento. Questa prolungata immersione in un ambiente violento e privo di vie di fuga forgiò in Abbott una visione del mondo paranoica, dove ogni incontro era percepito come una potenziale minaccia.

La svolta nella sua esistenza avvenne nel 1977, quando Abbott, detenuto per falsificazione e omicidio colposo, lesse che il celebre scrittore Norman Mailer stava lavorando a un libro sul condannato a morte Gary Gilmore. Abbott scrisse a Mailer, criticando la presunta edulcorazione delle esperienze carcerarie da parte di Gilmore e offrendosi di raccontare la sua verità sulla vita in prigione.

Mailer, colpito dalla forza e dall'autenticità della scrittura di Abbott, non solo accettò la proposta, ma si impegnò attivamente per la pubblicazione delle sue memorie, raccolte nel libro "Nel ventre della bestia". Quest'opera, composta dalle lettere di Abbott a Mailer, offriva uno sguardo crudo e senza filtri sulla brutalità e la disumanizzazione del sistema carcerario, ricevendo l'elogio di numerosi critici letterari.

Il talento letterario di Abbott e la potente denuncia del sistema carcerario contenuta nel suo libro conquistarono l'attenzione di diverse figure di spicco del mondo culturale. Oltre a Norman Mailer, anche altri intellettuali, scrittori e persino attori si schierarono pubblicamente a favore della sua libertà vigilata, colpiti dalla sua eloquenza e dalla speranza di una sua possibile riabilitazione. Tra questi, si annoverava anche lo scrittore Jerzy Kosinski, che in seguito avrebbe ammesso che la loro difesa di Abbott era stata, in sostanza, "una frode".

Forte del sostegno di queste voci influenti, Abbott ottenne la libertà vigilata nel giugno del 1981, nonostante i seri dubbi espressi dagli stessi funzionari carcerari sulla sua reale riabilitazione e sul suo equilibrio mentale.

La libertà, tuttavia, si rivelò effimera e tragica. Sei settimane dopo il suo rilascio, in una notte di luglio, Abbott accoltellò a morte Richard Adan, un giovane cameriere fuori da un caffè di New York, a seguito di un banale litigio sull'uso del bagno del locale.

L'omicidio sconvolse l'ambiente letterario e gettò un'ombra cupa sulla figura di Abbott e su coloro che avevano creduto nella sua redenzione. Il giorno dopo l'omicidio, ironicamente, il "New York Times" pubblicò una recensione positiva di "Nel ventre della bestia".

Dopo una breve fuga, Abbott fu catturato e processato. Nonostante il sostegno iniziale di alcune celebrità, tra cui lo stesso Jerzy Kosinski, che poi ritrattò la sua posizione, fu condannato per omicidio colposo e rimandato in carcere. Norman Mailer, profondamente turbato dall'accaduto, ammise in seguito di non trovare nulla di cui rallegrarsi o di essere orgoglioso nel suo coinvolgimento con Abbott, definendolo "un altro episodio della mia vita" di cui si rammaricava.

Gli ultimi anni di vita di Jack Henry Abbott trascorsero nuovamente dietro le sbarre. Il suo secondo libro, "My Return" (1987), non replicò il successo del primo. Nel 2001, la sua richiesta di libertà vigilata fu respinta a causa della mancanza di rimorso, della lunga fedina penale e dei problemi disciplinari in carcere.

Il 10 febbraio 2002, Abbott si tolse la vita nella sua cella, lasciando dietro di sé un biglietto il cui contenuto rimase privato.

La vicenda di Jack Henry Abbott solleva interrogativi inquietanti sul potere della scrittura, sulla possibilità di redenzione e sulla complessa relazione tra arte e moralità. La sua testimonianza brutale e autentica sul mondo carcerario rimane un documento potente e disturbante, ma la sua incapacità di integrarsi nella società libera e il suo atto di violenza finale rappresentano un tragico fallimento e un monito sulla persistenza delle radici profonde della criminalità. La sua storia ci costringe a confrontarci con i limiti della riabilitazione e con la fragilità della speranza di cambiamento, anche quando espressa con una voce letteraria di indubbio talento, capace di sedurre e convincere anche le menti più brillanti.






sabato 26 aprile 2025

L'eco delle nostre azioni: fisica e sentimenti



La danza invisibile. Dietro ogni interazione si nasconde una legge fondamentale: ad ogni azione corrisponde una reazione. Scopriamola insieme


Immaginiamo di dare una spinta a un amico sull'altalena. Lo si spinge in avanti (azione), e lui, dopo un po', torna indietro verso di noi (reazione). Questa idea semplice, che ogni azione provoca una reazione, è un principio fondamentale che governa il mondo intorno a noi. Si chiama il terzo principio della dinamica.

Pensiamo a quando camminiamo: spingiamo il piede all'indietro sul pavimento (azione), e il pavimento ci spinge in avanti, facendoci muovere (reazione). È come un "do ut des" della fisica!


Un piccolo fatto di vita quotidiana: il sospiro pesante sull'autobus

Mettiamoci nei panni di una persona che sta tornando a casa in autobus dopo una lunga giornata di lavoro. Il traffico è bloccato, l'autobus è pieno e l'aria un po' pesante. Questa persona, sentendosi frustrata e stanca, lascia scappare un sospiro molto rumoroso (azione).

Cosa succede intorno a lei? La fisica non ci dice che l'autobus farà un sospiro di rimando! Ma le persone intorno a lei potrebbero reagire:

Qualcuno si gira a guardarla: magari con un'espressione interrogativa o un po' infastidita (reazione immediata).

Qualcun altro, già di cattivo umore per il ritardo, si sente ancora più irritato per questo "segnale" di impazienza (reazione emotiva).

La persona che ha sospirato potrebbe sentirsi un po' a disagio nel vedere le reazioni degli altri, magari pentendosi del suo gesto (reazione psicologica interna).


Cosa vuol dire questo per noi? Le nostre azioni "Fanno Eco"

Questo piccolo esempio ci aiuta a capire che ogni cosa che facciamo o diciamo ha un effetto sugli altri, proprio come la spinta sull'altalena ha un effetto sul nostro amico.

Le nostre parole e i nostri comportamenti sono come delle "azioni" che mandiamo verso gli altri. Un sorriso (azione) di solito porta a un altro sorriso (reazione). Un'alzata di voce (azione) può portare a paura o rabbia (reazione).

Le "reazioni" che riceviamo dagli altri ci fanno sentire qualcosa. Se qualcuno ci fa un complimento (azione), ci sentiamo felici (reazione). Se qualcuno ci critica (azione), ci sentiamo tristi o arrabbiati (reazione).

A volte, non ci pensiamo abbastanza a come le nostre azioni potrebbero far sentire gli altri. La persona che ha sospirato sull'autobus magari non voleva infastidire nessuno, ma il suo gesto ha comunque avuto un impatto sull'ambiente circostante.

Capire che ogni nostra azione ha una "risposta" dagli altri (e anche dentro di noi) ci può aiutare a essere più gentili e attenti a quello che facciamo. Proprio come stiamo attenti a non spingere troppo forte l'amico sull'altalena, possiamo imparare a "spingere" con più delicatezza anche nelle nostre relazioni, cercando di creare reazioni positive e un ambiente più sereno per tutti. In fondo, le nostre azioni sono come onde: si propagano e influenzano il mondo intorno a noi, un piccolo gesto alla volta.





venerdì 25 aprile 2025

Il Vento Nuovo

 


Il sole di fine aprile inondava di luce tiepida le vie ancora silenziose. L'aria, frizzante di promesse, portava con sé un profumo di fiori appena sbocciati e un'eco lontana di campane a festa. Non era un giorno come gli altri, questo venticinque aprile. C'era nell'atmosfera una palpabile sensazione di attesa, un respiro collettivo che si era trattenuto a lungo e ora si liberava, lento ma inesorabile.

Silvana si affacciò alla finestra, osservando il risveglio pigro della città. Le persiane verdi del palazzo di fronte erano ancora chiuse, e il selciato lucido rifletteva un cielo di un azzurro intenso, quasi irreale. Ricordava i racconti di sua nonna, le voci sommesse e cariche di speranza che filtravano dalle radio clandestine, l'attesa febbrile di un annuncio che avrebbe cambiato tutto. Parole come "liberazione" allora sussurrate con cautela, oggi risuonavano con una forza nuova, un eco che superava il frastuono della quotidianità.

Per lei, nata molti anni dopo, quella parola aveva assunto nel tempo contorni quasi mitologici. La libertà non era più l'assenza di catene fisiche, ma un orizzonte più ampio, un diritto acquisito che si manifestava nella possibilità di esprimere un pensiero senza timore, di scegliere il proprio cammino, di coltivare le proprie passioni senza costrizioni. Eppure, in quel mattino di primavera, sentiva che quel termine, così spesso dato per scontato, vibrava di un significato più profondo.

Scendendo in strada, Silvana notò i primi segni di un'energia diversa. Gruppi di persone si radunavano, scambiandosi sorrisi e parole cariche di una gioiosa solennità. C'era un senso di appartenenza, un filo invisibile che legava sconosciuti in un unico sentimento. Non si trattava solo di celebrare un evento storico, ma di riaffermare un valore fondamentale, un pilastro su cui si fondava la loro convivenza civile.

Si unì al piccolo corteo che si stava formando spontaneamente, attratta dalla melodia di un vecchio canto che si levava da un angolo della piazza. Volti di ogni età, uniti da un ricordo comune, da una speranza condivisa. Negli occhi di alcuni anziani, Silvana intravide la scintilla di un'emozione ancora viva, il ricordo di un'attesa sofferta e di una gioia incontenibile.

Camminando tra la folla, Silvana rifletteva su come la libertà fosse un bene fragile, una pianta delicata che necessitava di essere costantemente nutrita e protetta. Non era una conquista definitiva, scolpita nella pietra una volta per tutte, ma un impegno quotidiano, fatto di scelte consapevoli, di rispetto per l'altro, di partecipazione attiva alla vita della comunità.

Il vento leggero le scompigliò i capelli mentre il corteo sfilava lentamente, portando con sé un messaggio silenzioso ma potente: la libertà era un dono prezioso, un'eredità da custodire con cura, un orizzonte da conquistare ogni giorno, con la stessa tenacia e la stessa speranza che avevano animato coloro che l'avevano riconquistata tanto tempo prima. E in quel venticinque aprile, sotto il sole tiepido della primavera, Silvana sentiva di far parte di quella lunga catena, un anello che si stringeva con orgoglio al valore eterno della libertà.

 

Liberte' de andà,

liberte' de sciortì

senza dì dove ti ve'.

Accattà quello che ti veu

e pagàlo co-i to dine'.

Libertè de sercate

i amixi che te piaxe.

Libertè de sbagliate.

Libertè ürtima:

avei o coraggio

de no assomeggià

a nisciün.

 

Sandro Pertini – Dialetto di Stella (Sv) 


LIBERTA' 

Libertà di andare

libertà di uscire

senza dire dove vai.

Comprarti quello che vuoi

e pagarlo con i tuoi soldi.

Libertà di cercarti

gli amici che ti piacciono.

Libertà di sbagliare.

Libertà ultima:

avere il coraggio

di non assomigliare

a nessuno.









mercoledì 23 aprile 2025

Non è l'età, è la paura: quando il rifiuto della tecnologia diventa un anacronismo


Tecnologia e generazioni: 

oltre lo scontro, la sfida dell'integrazione


In un'epoca definita dalla connettività pervasiva, dove il mondo digitale intreccia sempre più le trame della nostra esistenza, emerge con forza un dibattito generazionale sul rapporto con la tecnologia. Se le nuove generazioni navigano con naturalezza in questo mare di bit e algoritmi, una parte della popolazione, spesso associata alle fasce d'età più avanzate, manifesta una marcata resistenza, se non un vero e proprio rifiuto, verso qualsiasi forma di innovazione tecnologica.

È facile etichettare questa posizione come un mero attaccamento nostalgico a un passato idealizzato. Tuttavia, dietro questa apparente ritrosia si cela sovente una paura profonda: il timore di non comprendere, di sentirsi sopraffatti dalla complessità di interfacce sconosciute, di smarrire la bussola in una realtà che si dematerializza sempre più.

Eppure, demonizzare la tecnologia in toto è un errore speculare a quello di abbracciarla acriticamente. Essa è, nella sua essenza, uno strumento neutro. La sua capacità di edificare o di alienare dipende unicamente dall'utente e dalle sue intenzioni. Negare a priori i benefici che la tecnologia può apportare, trincerandosi dietro un rigido "ai miei tempi non esisteva", significa autoescludersi da un universo di opportunità capaci di arricchire significativamente la vita, a prescindere dall'età anagrafica.

Si pensi alla semplicità con cui è possibile colmare le distanze affettive grazie a una videochiamata. Si consideri la praticità di accedere a informazioni, servizi e persino consulti medici comodamente da casa. Si rifletta sulle illimitate possibilità di apprendimento e svago offerte dal panorama digitale. Rinunciare a tutto ciò in nome di un dogma ("la tecnologia è intrinsecamente negativa") appare come una forma di auto-sabotaggio.

È fondamentale sottolineare che non si tratta di sposare acriticamente ogni novità, né di sacrificare i preziosi rituali analogici sull'altare del progresso. Il piacere di una passeggiata immersi nella natura, la ricchezza di una conversazione autentica con un amico, la singolare esperienza tattile e olfattiva di un libro cartaceo sono insostituibili ancore che ci legano al mondo reale in modo profondo e significativo.

La chiave risiede nel coltivare un equilibrio consapevole. Dosare l'impiego della tecnologia, sfruttandone le potenzialità senza esserne fagocitati, e al contempo preservare e valorizzare quei comportamenti analogici che nutrono la nostra umanità e ci connettono con il mondo tangibile.

La vera linea di demarcazione non è l'età, bensì la disposizione mentale. Esistono giovani prigionieri di un'esistenza iper-digitale, incapaci di sollevare lo sguardo dallo schermo, e anziani curiosi e aperti, desiderosi di apprendere l'uso di un tablet per comunicare con i nipoti o esplorare nuovi interessi online.

L'ostacolo primario non è il passare degli anni, ma la reticenza ad affrontare l'inedito. Una reticenza comprensibile, ma che rischia di generare isolamento e di precludere l'accesso a strumenti preziosi. Invece di innalzare muri digitali, forse è il momento di costruire ponti, offrendo un sostegno paziente e rassicurante a chi si sente intimorito, mostrando come la tecnologia possa rappresentare un'alleata, un'estensione delle nostre capacità, e non una minaccia alla nostra identità.

In definitiva, l'evoluzione è un flusso inarrestabile. Opporsi ad essa unicamente in base all'anno di nascita significa rimanere ancorati a un passato che, pur nella sua rassicurante familiarità, non può fornire le risposte alle sfide e alle opportunità del presente e del futuro. La vera saggezza non risiede nel negare l'innovazione, ma nell'integrarla con la tradizione, tessendo quell'armonioso connubio tra il calore di un gesto manuale e la potenza, seppur fredda, della luce digitale.







lunedì 21 aprile 2025

Quando l'arte Incontra la natura: l'uovo tra Warhol e la gallina (il paradosso della bellezza inaspettata)

Un uovo bianco con un tuorlo dorato, su uno sfondo neutro che ne enfatizza la forma e il colore. La luce calda e morbida crea un'atmosfera di serenità e perfezione, mentre la leggera crepa nell'uovo suggerisce una fragile vulnerabilità.

L'immagine evoca la bellezza e la semplicità di un oggetto comune, ma anche la sua complessità e il potenziale nascosto. È una rappresentazione visiva della dualità dell'uovo, tra la sua forma perfetta e la sua origine più "terrena".

L'uovo. Un oggetto così comune da passare spesso inosservato, eppure custode di una dualità affascinante. Da un lato, la sua forma ovoidale si erge come un modello di perfezione geometrica, una curva continua che racchiude in sé efficienza strutturale e un'innata armonia estetica. La sua silhouette, studiata e ammirata per secoli, incarna un equilibrio tra volume e superficie che la natura ha sapientemente orchestrato per proteggere il fragile germe della vita. Artisti, filosofi e scienziati hanno trovato nell'uovo un simbolo potente, evocativo di nascita, potenziale e persino dell'ordine cosmico.

Basti pensare ad Andy Warhol, figura iconoclasta del XX secolo, che notoriamente elevò oggetti quotidiani al rango di arte. Per Warhol, la forma dell'uovo possedeva una perfezione intrinseca, una semplicità elegante che sfidava la complessità del mondo. Sebbene non abbia dedicato serie specifiche all'uovo come fece con le zuppe Campbell o le serigrafie di Marilyn Monroe, la sua ossessione per l'oggetto banale e la sua capacità di estrarne un'aura quasi sacrale suggeriscono un'ammirazione per la purezza della sua forma. In un universo artistico che celebrava spesso l'artificialità e la ripetizione, la perfezione naturale dell'uovo avrebbe potuto rappresentare un punto di riferimento inatteso, un'affermazione silenziosa di un design intrinseco e immutabile.

Proprio oggi, durante una visita al suggestivo Museo della Magia di Cherasco, un'osservazione apparentemente leggera del mago Marco Aimone ha riacceso questa riflessione. Con una battuta pensata per strappare un sorriso al pubblico, Aimone ha accostato la forma perfetta dell'uovo alla sua inaspettata provenienza animale. La risata che ne è seguita, tuttavia, ha innescato una considerazione più profonda: il contrasto inconciliabile tra l'eleganza geometrica e la sua derivazione organica decisamente meno poetica.

Dall'altro lato di questa medaglia, infatti, si staglia una realtà meno idilliaca: la modalità di deposizione dell'uovo. Questo "frutto", come lo si potrebbe definire in termini culinari, compie il suo ingresso nel mondo attraverso un processo tutt'altro che sublime, emergendo dal cloaca della gallina – il comune orifizio per i sistemi digestivo, urinario e riproduttivo. Questa verità, per quanto naturale e fondamentale, introduce un elemento di contrasto stridente con l'idealizzazione della sua forma.

È qui che risiede la vera peculiarità dell'uovo: la sua capacità di incarnare simultaneamente la perfezione e la quotidianità. Ci costringe a confrontarci con la natura ciclica della vita, dove la bellezza e il potenziale emergono spesso da processi biologici elementari e privi di un'aura romantica. Ammirare la curva elegante di un uovo sapendo da dove proviene ci spinge a riconsiderare le nostre nozioni di purezza e di ideale.

Questo contrasto può essere interpretato in molteplici modi. Può suscitare un sorriso ironico, un promemoria che anche le forme più perfette hanno radici nel mondo fisico. Può fungere da metafora della vita stessa, dove la bellezza e il significato possono germogliare anche da contesti ordinari e inaspettati. O, ancora, può invitarci a riflettere sulla nostra percezione, spesso incline a separare l'apparenza dalla sostanza, la forma dall'origine.

In definitiva, l'uovo rimane un enigma affascinante, un piccolo miracolo della natura che ci sfida a guardare oltre la sua superficie liscia e a considerare la complessità della sua esistenza, sospesa tra la perfezione formale e la sua innegabile, e un po' sorprendente, provenienza.


ED È COSI' CHE NASCE IL "PARADOSSO DELLA BELLEZZA INASPETTATA"!

 






sabato 19 aprile 2025

Il canto mutato della foresta, di Cristina Mantisi e Athos Enrile


Immagine di Cristina Mantisi e testo di Athos Enrile


In questo scenario onirico, dove l'ombra danza con bagliori di un azzurro innaturale e il rosso pulsa come un cuore alieno, il bosco si erge in una metamorfosi radicale. Dimenticate la sinfonia verde delle foglie accarezzate dal sole, la lenta alchimia della fotosintesi che ci regala l'aria. Qui, la vita arborea si nutre di un mistero ctonio, assorbendo energie sconosciute dalle viscere di un mondo inimmaginabile.

Le sagome degli alberi, stilizzate e quasi spettrali, si stagliano contro un cielo plumbeo, intessuto di trame oscure. Non c'è la dolce carezza dell'ossigeno che gonfia i nostri polmoni, ma forse un altro elemento, denso e inesplorato, che sostiene queste forme di vita silenziose. Le fronde, se così possiamo chiamarle, paiono irradiare una luce propria, fredda e lunare, in contrasto con le macchie rubescenti che vibrano come braci sopite.

È un bosco di un futuro lontano, o di un pianeta parallelo, dove le leggi della natura si sono riscritte. Un luogo di quiete inquietante, dove il vento non sussurra tra le foglie, ma forse vibra attraverso strutture cristalline e silenziose. L'assenza di verde e di ossigeno non evoca morte, ma una forma di esistenza alternativa, tenace e adattata a un ecosistema radicalmente diverso. Un invito a ripensare la vita stessa, al di là dei confini rassicuranti del nostro mondo.




giovedì 17 aprile 2025

Il viaggio cromatico dell'anima, eco di Kashmir

 

Un fremito di colore si propaga sulla tela, un'eco visiva di un viaggio interiore, quasi un sussurro delle lontane terre evocate da "Kashmir". Un viandante solitario, avvolto in un manto rosso di passione o nostalgia, si muove in un paesaggio nato dalla psiche, la sua figura un verso silente della ballata dei Led Zeppelin. La chitarra sulla sua schiena non è solo strumento, ma compagna muta di peregrinazioni atemporali, un ponte sonoro verso Shangri-La.

Il suolo si liquefa in verdi sognanti, gialli di terre promesse, bianchi di nebbia che vela i confini, come i sentieri nebulosi che la musica dipinge. Le pareti di questo spazio mentale si ergono come pensieri concretizzati, dipinte con la foga e la tenerezza di un'emozione vivida. Rosso e arancio pulsano come ricordi infuocati, contrastati dal fresco blu della riflessione e dal verde della speranza, una sinfonia visiva che risuona con l'intensità del brano.







martedì 15 aprile 2025

Oro Nero, Silenzi Infuocati. Di Cristina Mantisi e Athos Enrile

 

Terra del fuoco

Immagine di Cristina Mantisi

Testo di Athos Enrile

 

"Terra del Fuoco": un nome che evoca fiamme e braci, eppure svela un paesaggio inatteso, saturo di tonalità calde e metalliche. Montagne scabre e imponenti si innalzano da acque che paiono oro fuso, la cui superficie è appena increspata da una brezza invisibile. Il cielo incombe come un drappo di un rosso cupo e denso, un presagio che soffoca ogni altra sfumatura.

Qui, il verde rigoglioso è assente, sostituito dalla severa maestosità della roccia nuda, scolpita da ere di vento e gelo. Le cime frastagliate si stagliano contro il cielo tormentato, quasi a sfidare la sua pesantezza. L'assenza di una luce chiara e definita avvolge l'intera scena in un'aura surreale, come se si fosse giunti ai confini di un mondo conosciuto, in un crepuscolo eterno o all'alba di una genesi primordiale.

Si percepisce una forza tellurica silenziosa, una potenza latente racchiusa nella massa delle montagne e nel movimento lento e inesorabile dell'acqua dorata. È una bellezza austera, priva di concessioni, che narra di resistenza e di una natura selvaggia e indomita. Il nome "Terra del Fuoco" non descrive un incendio visibile, ma l'ardore interno di un pianeta in continua formazione, la testimonianza di forze geologiche che hanno plasmato un paesaggio tanto inospitale quanto affascinante. Si immagina il calore sotterraneo, la pressione che ha sollevato queste vette verso un cielo ostile, un fuoco interiore che si manifesta in questa grandiosità immobile e atemporale. E in quell'immobilità perenne, pulsa il cuore metallico di un mondo in genesi.







sabato 12 aprile 2025

Dove l'ombra si fa liquida, la luce si tinge di mistero-di Cristina Mantisi e Athos Enrile


Tempesta magnetica

Immagine di Cristina Mantisi

Testo di Athos Enrile


Dalle fauci di una notte senza luna, un azzurro liquido si svela, cascata di spettri luminosi che stillano dal cuore dell'ombra. Ogni filo di luce è un sussurro di energia, un nervo scoperto che vibra nel silenzio siderale. Paiono lacrime di un cielo ignoto, precipitate in un abisso di velluto nero, o forse radici di un albero di cristallo che affonda nel nulla. La trama densa è un fremito di scintille silenziose, un linguaggio arcano tessuto nell'oscurità. È la bellezza fredda e inafferrabile di un fenomeno che danza ai confini del visibile, un mistero che si manifesta in un'epifania di blu elettrico, lasciando nell'anima un'eco di meraviglia inquieta.... e in quell'azzurro vibrante, non si cela forse la domanda più antica dell'universo?







giovedì 10 aprile 2025

Un omaggio cromatico all'essenza di ogni cosa, di Cristina Mantisi e Athos Enrile


Il bosco di Ognissanti

Immagine di Cristina Mantisi

Testo di Athos Enrile


Un sussurro di foglie colorate, un manto cangiante steso sulla terra umida. Il Bosco di Ognissanti non è un luogo, ma un respiro dell'anima, dove i colori vibrano di una luce interiore, quasi magica. Tronchi antichi si ergono come silenziose sentinelle, custodi di storie sussurrate dal vento. L'aria profuma di muschio e di terra, un incenso naturale che eleva lo spirito. In questo spazio senza tempo, l'ordinario si vela di mistero, e ogni passo è una carezza all'essenza della vita, un omaggio alla bellezza effimera del creato.





mercoledì 9 aprile 2025

Il lago quieto, crepuscolo dell'anima, riflette un cuore che tace in attesa. Immagine di Cristina Mantisi, testo di Athos Enrile


 Sognando le Terre d'Oriente
Immagine di Cristina Mantisi
Testo di Athos Enrile


Il lago si stende quieto sotto un cielo di bruma rosata, un velo di crepuscolo che smorza i contorni del mondo. Le montagne sullo sfondo, silenziose sentinelle, si stagliano in tonalità più scure, quasi un eco lontano di un tempo primordiale. La superficie dell'acqua riflette questo paesaggio etereo, creando un doppio mondo di quiete e mistero.

Una piccola barca, solitaria, galleggia al centro, un punto scuro in questa distesa liquida. Sembra sospesa tra il cielo e la terra, un invito alla riflessione, un simbolo di un viaggio interiore o forse di un’attesa silenziosa. La vegetazione in primo piano, con i suoi toni scuri e saturi, incornicia la scena, radicandola in una realtà terrena che contrasta con l'atmosfera quasi onirica del resto del paesaggio.

C'è una profonda pace in questa immagine, una sensazione di tempo sospeso, di un momento tra il giorno e la notte, tra la veglia e il sogno. È un invito alla contemplazione, a perdersi nella bellezza semplice e malinconica di un paesaggio che respira quiete. 

... e in quel crepuscolo rosato, la quiete del lago custodisce storie silenziose, sussurrate dal vento tra le montagne.







martedì 8 aprile 2025

L'anima imperfetta dello strumento perfetto: il paradosso di Elias


Il vecchio orologio a pendolo nel salotto di Elias ticchettava con una regolarità quasi ossessiva. Ogni "tic" era un martello pneumatico che scalpellava la sua sanità mentale, ogni "tac" un eco cavernoso del suo fallimento. Elias, un tempo rinomato liutaio, ora viveva intrappolato in un silenzio autoimposto, rotto solo dalla monotona litania del tempo.

Il dilemma della meccanicità lo aveva inghiottito lentamente, come una marea inesorabile. Era iniziato con la costruzione del suo capolavoro: un violino così perfetto che avrebbe dovuto trascendere la musica stessa. Ogni curva era stata studiata, ogni pezzo di legno scelto con una devozione quasi religiosa. Aveva passato anni a perfezionarlo, convinto che una tale dedizione avrebbe prodotto uno strumento di ineguagliabile bellezza sonora.

Quando finalmente lo terminò, il violino era effettivamente un prodigio di artigianato. Le sue linee fluivano con una grazia innaturale, la vernice brillava come oro liquido. Ma quando Elias prese l'archetto e lo fece scorrere sulle corde, il suono che ne uscì fu... ordinario. Terribilmente, inesorabilmente ordinario.

L’incongruenza lo colpì con la forza di un pugno: come poteva un oggetto costruito con tale cura, con un tale amore per la perfezione, produrre un suono così banale? La meccanica precisa, l'attenzione maniacale ai dettagli, avrebbero dovuto tradursi in qualcosa di straordinario. Invece, il risultato era mediocre.

Questa discrepanza tra l'input meticoloso e l'output insipido divenne la sua ossessione. Iniziò a smontare e rimontare il violino, analizzando ogni componente, ogni giuntura. Cercava l'errore, il difetto nascosto che spiegasse quella deludente normalità. Ma non trovava nulla. La meccanica era impeccabile.

La sua psiche iniziò a sgretolarsi sotto il peso di questo enigma irrisolvibile. Se la perfezione meccanica non garantiva la bellezza, cosa significava la sua vita? I suoi anni di studio, la sua dedizione all'arte, erano forse privi di significato? Il ticchettio dell'orologio divenne la colonna sonora della sua disillusione, un promemoria costante della sua incapacità di comprendere il cuore della contraddizione.

Un giorno, una giovane violinista di nome Clara si presentò alla sua porta. Aveva sentito parlare della sua leggendaria abilità e sperava che potesse riparare il suo vecchio strumento. Elias, trasandato e con gli occhi persi nel vuoto, inizialmente rifiutò. Ma la passione che brillava negli occhi di Clara lo riportò vagamente a un tempo in cui anche lui credeva nel potere della musica.

Accettò con riluttanza. Mentre esaminava il violino di Clara, notò le imperfezioni, i piccoli graffi, le asimmetrie quasi impercettibili. Quando Clara iniziò a suonare, nonostante questi difetti, il suono che ne uscì era vibrante, pieno di emozione, di vita.

Elias la osservò, il ticchettio dell'orologio sullo sfondo. In quel momento, una fragile intuizione iniziò a farsi strada nella sua mente annebbiata. Forse la musica non risiedeva solo nella perfezione meccanica. Forse c'era qualcos'altro, un elemento intangibile, un'anima che la meccanica da sola non poteva catturare.

Il dilemma della meccanicità non era una legge ferrea, ma un'illusione. La perfezione tecnica era solo un contenitore; era l'imperfezione umana, la passione, la vulnerabilità dell'artista a infondere la vera magia nella musica.

Elias non tornò mai a costruire violini. Ma attraverso la musica di Clara, iniziò lentamente a ricostruire sé stesso. Il ticchettio dell'orologio non cessò, ma il suo significato cambiò. Non era più un lamento del fallimento, ma un promemoria del mistero insondabile che risiede nel cuore dell'arte, un mistero che va oltre la semplice meccanica e risuona nell'anima umana. Il paradosso meccanico aveva quasi distrutto Elias ma, inaspettatamente, osservare la sua fallibilità attraverso gli occhi di un altro fu ciò che iniziò a liberarlo.





lunedì 7 aprile 2025

"Nell'inferno di colori, ogni barca è un'anima verso l'abisso." Testo di Athos Enrile, immagine di Cristina Mantisi


 

Viaggio agli Inferi

Immagine di Cristina Mantisi

Testo di Athos Enrile


Il mare si contorce in spasmi di rosso e blu, un liquido inferno increspato da onde che sembrano lingue di fuoco danzanti. Un’imbarcazione solitaria, scura e fragile, si fa strada in questo paesaggio da incubo, fendendo le acque agitate come un’anima condannata nel suo viaggio verso l’ignoto.

Le montagne sullo sfondo si ergono cupe e minacciose, le loro cime avvolte in un crepuscolo eterno di nero e ocra, come le porte di un regno proibito. Il cielo sopra è un turbinio di colori violenti, un presagio di tempesta o forse il riflesso del fuoco che arde sotto.

Non c'è pace in questo viaggio. Ogni onda è un sussurro di disperazione, ogni ombra una presenza incombente. La barca prosegue, spinta da una forza invisibile, verso un orizzonte incerto, dove la promessa di oscurità eterna si mescola al terrore della rivelazione.

Questo non è un viaggio di speranza, ma un’immersione nel cuore di un abisso colorato e tormentato, un vero e proprio viaggio agli inferi.




domenica 6 aprile 2025

Echi di Primavera: L'Arte Invade la Ferraris Pancaldo


L'evento "La magia del colore", curato da Angie Macrì, ha segnato l'inizio della primavera 2025 con una vibrante esplosione di creatività, offrendo un antidoto colorato al grigiore delle notizie quotidiane. 

La mostra, tenutasi presso la Mostra Permanente delle Scienze Nautiche "Ferraris Pancaldo", ha celebrato la bellezza e l'umanità attraverso le opere di artisti eclettici e talentuosi.

Alessia Artoni ha presentato la sua visione futuristica, mentre Annamaria Galleano ha portato una carica di espressività naturale e vitalità. Caterina Frasione ha incantato con eleganza e delicatezza, e Debora Chiarla ha offerto un figurativo esotico e coinvolgente. Elena Poppi ha espresso la sua passione e impegno con equilibrio formale, e Laura Marra ha condotto il pubblico in un viaggio cosmico di colori e forme. Micol Masio ha dimostrato la potenza del suo talento con opere che riflettono lavoro e dedizione, e Silvana Valente ha trasformato la materia in dinamismo cromatico.

Enrico Parodi ha dipinto l'amore per la vita con sentimento ed energia, e Luca Enrile ha stupito con la sua scultura espressiva. Mirko Lorusso ha fuso pittura, musica e grafia in un mix esplosivo di fantasia. Silvana Guarino, presentata da Antonio Rossello, ha raccontato una storia di coraggio e amore durante la Seconda Guerra Mondiale. Infine, il talentuoso trio Franco, Adelio & Franco ha omaggiato la musica italiana.

La Mostra Permanente delle Scienze Nautiche "Ferraris Pancaldo", con la sua ricca storia e fascino, ha fornito la cornice ideale per "La magia del colore".

L'evento è stato reso possibile grazie alla collaborazione di Francesco Ottonello, Mara Cosce, Marcella Pera e Dario Zucchetti, che hanno offerto la loro disponibilità e supporto.

A seguire un nutrito reportage fotografico…


Angie Macrì con l’artista, scrittore, poeta, cantante e musicista, Mirko Lorusso