Terra del fuoco
Immagine di Cristina Mantisi
Testo di Athos Enrile
"Terra del Fuoco": un nome che evoca fiamme e braci, eppure svela un paesaggio inatteso, saturo di tonalità calde e metalliche. Montagne scabre e imponenti si innalzano da acque che paiono oro fuso, la cui superficie è appena increspata da una brezza invisibile. Il cielo incombe come un drappo di un rosso cupo e denso, un presagio che soffoca ogni altra sfumatura.
Qui, il verde rigoglioso è assente, sostituito dalla severa maestosità della roccia nuda, scolpita da ere di vento e gelo. Le cime frastagliate si stagliano contro il cielo tormentato, quasi a sfidare la sua pesantezza. L'assenza di una luce chiara e definita avvolge l'intera scena in un'aura surreale, come se si fosse giunti ai confini di un mondo conosciuto, in un crepuscolo eterno o all'alba di una genesi primordiale.
Si percepisce una forza tellurica silenziosa, una potenza
latente racchiusa nella massa delle montagne e nel movimento lento e
inesorabile dell'acqua dorata. È una bellezza austera, priva di concessioni,
che narra di resistenza e di una natura selvaggia e indomita. Il nome
"Terra del Fuoco" non descrive un incendio visibile, ma l'ardore
interno di un pianeta in continua formazione, la testimonianza di forze
geologiche che hanno plasmato un paesaggio tanto inospitale quanto
affascinante. Si immagina il calore sotterraneo, la pressione che ha sollevato
queste vette verso un cielo ostile, un fuoco interiore che si manifesta in
questa grandiosità immobile e atemporale. E in quell'immobilità perenne, pulsa
il cuore metallico di un mondo in genesi.
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