Quarantacinque anni senza il re del brivido: ma i suoi incubi eleganti continuano a perseguitarci
Alfred Hitchcock
(Londra, 13 agosto 1899 – Los
Angeles, 29 aprile 1980)
Il calendario segna, con la sua consueta, imperturbabile progressione, il ventinove di aprile. Per molti, una data come un'altra, intrisa delle ordinarie dinamiche del quotidiano. Ma per gli amanti del cinema, per coloro che hanno imparato a scrutare le ombre proiettate sullo schermo come finestre sull'inconscio, questo giorno porta con sé un'eco particolare, un sussurro di silenzio che risuona attraverso i decenni. Quarantacinque anni. Un lasso di tempo considerevole, eppure la sua assenza si percepisce ancora con una nitidezza sorprendente, come un fotogramma improvvisamente tagliato da una pellicola magistrale. Parliamo, inevitabilmente, di Alfred Hitchcock.
Non un semplice regista, ma un demiurgo di incubi eleganti, un burattinaio di ansie sottili, un maestro nell'arte di trasformare la normalità in un terreno fertile per la paranoia. La sua filmografia, un corpus di opere che spaziano dal thriller psicologico al puro esercizio di suspense, non è solo un catalogo di storie avvincenti, ma un vero e proprio manuale sulla manipolazione delle emozioni cinematografiche. Chi non ha trattenuto il fiato di fronte alla doccia fatale di "Psycho", chi non ha provato un'angosciante claustrofobia osservando James Stewart immobilizzato in "La finestra sul cortile", chi non ha sentito il terrore primordiale di fronte all'attacco implacabile degli uccelli?
Hitchcock non si limitava a raccontare storie; le intesseva
con una precisione chirurgica, utilizzando ogni elemento – l'angolazione della
camera, il montaggio serrato, la colonna sonora inquietante – come un bisturi
per incidere nella psiche dello spettatore. Il suo celebre
"MacGuffin", un espediente narrativo, un oggetto come i documenti
rubati in "Intrigo internazionale", che spinge i personaggi
all'azione ma la cui vera importanza è secondaria per il pubblico, era solo una
delle tante frecce nel suo arco. La vera magia risiedeva nella sua capacità di
rendere universali le paure più intime, di trasformare la quotidianità in un
potenziale scenario di terrore.
Eppure, ridurre Hitchcock al mero "maestro del suspense" sarebbe riduttivo. Il suo cinema era intriso di una sofisticata ambiguità morale, di un'ironia sottile e di una profonda osservazione della fragilità umana. I suoi personaggi, spesso intrappolati in circostanze che sfuggono al loro controllo, si muovevano in un mondo di apparenze ingannevoli, dove la fiducia veniva costantemente messa alla prova e il confine tra vittima e carnefice si faceva pericolosamente labile.
A distanza di quarantacinque anni dalla sua scomparsa, avvenuta in quel ventinove aprile che oggi commemoriamo, l'ombra lunga di Hitchcock continua a proiettarsi sul cinema contemporaneo. La sua influenza è palpabile nelle opere di innumerevoli registi che hanno appreso la lezione della tensione costruita con pazienza, del dettaglio rivelatore, del potere suggestivo dell'inquadratura. Il suo stile inconfondibile, il suo umorismo nero, il suo iconico profilo sono diventati parte integrante del linguaggio cinematografico.
Ricordare Alfred Hitchcock in questo giorno non è solo un
atto di reverenza verso un gigante del passato, ma anche un'occasione per
riflettere sul potere duraturo del cinema di esplorare le zone oscure
dell'animo umano e di tenerci, ancora oggi, con il fiato sospeso. Il silenzio
calato quarantacinque anni fa non ha spento l'eco dei suoi capolavori, che
continuano a parlarci, a turbarci e, in definitiva, ad affascinarci. Il maestro
è partito, ma la sua ombra, densa di mistero e di genio, rimane ben salda sul
grande schermo.
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