Il vecchio orologio a pendolo nel salotto di Elias ticchettava con una regolarità quasi ossessiva. Ogni "tic" era un martello pneumatico che scalpellava la sua sanità mentale, ogni "tac" un eco cavernoso del suo fallimento. Elias, un tempo rinomato liutaio, ora viveva intrappolato in un silenzio autoimposto, rotto solo dalla monotona litania del tempo.
Il dilemma della meccanicità lo aveva inghiottito lentamente, come una marea inesorabile. Era iniziato con la costruzione del suo capolavoro: un violino così perfetto che avrebbe dovuto trascendere la musica stessa. Ogni curva era stata studiata, ogni pezzo di legno scelto con una devozione quasi religiosa. Aveva passato anni a perfezionarlo, convinto che una tale dedizione avrebbe prodotto uno strumento di ineguagliabile bellezza sonora.
Quando finalmente lo terminò, il violino era effettivamente un prodigio di artigianato. Le sue linee fluivano con una grazia innaturale, la vernice brillava come oro liquido. Ma quando Elias prese l'archetto e lo fece scorrere sulle corde, il suono che ne uscì fu... ordinario. Terribilmente, inesorabilmente ordinario.
L’incongruenza lo colpì con la forza di un pugno: come poteva un oggetto costruito con tale cura, con un tale amore per la perfezione, produrre un suono così banale? La meccanica precisa, l'attenzione maniacale ai dettagli, avrebbero dovuto tradursi in qualcosa di straordinario. Invece, il risultato era mediocre.
Questa discrepanza tra l'input meticoloso e l'output insipido divenne la sua ossessione. Iniziò a smontare e rimontare il violino, analizzando ogni componente, ogni giuntura. Cercava l'errore, il difetto nascosto che spiegasse quella deludente normalità. Ma non trovava nulla. La meccanica era impeccabile.
La sua psiche iniziò a sgretolarsi sotto il peso di questo enigma irrisolvibile. Se la perfezione meccanica non garantiva la bellezza, cosa significava la sua vita? I suoi anni di studio, la sua dedizione all'arte, erano forse privi di significato? Il ticchettio dell'orologio divenne la colonna sonora della sua disillusione, un promemoria costante della sua incapacità di comprendere il cuore della contraddizione.
Un giorno, una giovane violinista di nome Clara si presentò alla sua porta. Aveva sentito parlare della sua leggendaria abilità e sperava che potesse riparare il suo vecchio strumento. Elias, trasandato e con gli occhi persi nel vuoto, inizialmente rifiutò. Ma la passione che brillava negli occhi di Clara lo riportò vagamente a un tempo in cui anche lui credeva nel potere della musica.
Accettò con riluttanza. Mentre esaminava il violino di Clara, notò le imperfezioni, i piccoli graffi, le asimmetrie quasi impercettibili. Quando Clara iniziò a suonare, nonostante questi difetti, il suono che ne uscì era vibrante, pieno di emozione, di vita.
Elias la osservò, il ticchettio dell'orologio sullo sfondo. In quel momento, una fragile intuizione iniziò a farsi strada nella sua mente annebbiata. Forse la musica non risiedeva solo nella perfezione meccanica. Forse c'era qualcos'altro, un elemento intangibile, un'anima che la meccanica da sola non poteva catturare.
Il dilemma della meccanicità non era una legge ferrea, ma un'illusione. La perfezione tecnica era solo un contenitore; era l'imperfezione umana, la passione, la vulnerabilità dell'artista a infondere la vera magia nella musica.
Elias non tornò mai a costruire violini. Ma attraverso la musica di Clara, iniziò lentamente a ricostruire sé stesso. Il ticchettio dell'orologio non cessò, ma il suo significato cambiò. Non era più un lamento del fallimento, ma un promemoria del mistero insondabile che risiede nel cuore dell'arte, un mistero che va oltre la semplice meccanica e risuona nell'anima umana. Il paradosso meccanico aveva quasi distrutto Elias ma, inaspettatamente, osservare la sua fallibilità attraverso gli occhi di un altro fu ciò che iniziò a liberarlo.
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