Il sole di fine aprile inondava di luce tiepida le vie ancora silenziose. L'aria, frizzante di promesse, portava con sé un profumo di fiori appena sbocciati e un'eco lontana di campane a festa. Non era un giorno come gli altri, questo venticinque aprile. C'era nell'atmosfera una palpabile sensazione di attesa, un respiro collettivo che si era trattenuto a lungo e ora si liberava, lento ma inesorabile.
Silvana si affacciò alla finestra, osservando il risveglio pigro della città. Le persiane verdi del palazzo di fronte erano ancora chiuse, e il selciato lucido rifletteva un cielo di un azzurro intenso, quasi irreale. Ricordava i racconti di sua nonna, le voci sommesse e cariche di speranza che filtravano dalle radio clandestine, l'attesa febbrile di un annuncio che avrebbe cambiato tutto. Parole come "liberazione" allora sussurrate con cautela, oggi risuonavano con una forza nuova, un eco che superava il frastuono della quotidianità.
Per lei, nata molti anni dopo, quella parola aveva assunto nel tempo contorni quasi mitologici. La libertà non era più l'assenza di catene fisiche, ma un orizzonte più ampio, un diritto acquisito che si manifestava nella possibilità di esprimere un pensiero senza timore, di scegliere il proprio cammino, di coltivare le proprie passioni senza costrizioni. Eppure, in quel mattino di primavera, sentiva che quel termine, così spesso dato per scontato, vibrava di un significato più profondo.
Scendendo in strada, Silvana notò i primi segni di un'energia diversa. Gruppi di persone si radunavano, scambiandosi sorrisi e parole cariche di una gioiosa solennità. C'era un senso di appartenenza, un filo invisibile che legava sconosciuti in un unico sentimento. Non si trattava solo di celebrare un evento storico, ma di riaffermare un valore fondamentale, un pilastro su cui si fondava la loro convivenza civile.
Si unì al piccolo corteo che si stava formando spontaneamente, attratta dalla melodia di un vecchio canto che si levava da un angolo della piazza. Volti di ogni età, uniti da un ricordo comune, da una speranza condivisa. Negli occhi di alcuni anziani, Silvana intravide la scintilla di un'emozione ancora viva, il ricordo di un'attesa sofferta e di una gioia incontenibile.
Camminando tra la folla, Silvana rifletteva su come la libertà fosse un bene fragile, una pianta delicata che necessitava di essere costantemente nutrita e protetta. Non era una conquista definitiva, scolpita nella pietra una volta per tutte, ma un impegno quotidiano, fatto di scelte consapevoli, di rispetto per l'altro, di partecipazione attiva alla vita della comunità.
Il vento leggero le scompigliò i capelli mentre il corteo
sfilava lentamente, portando con sé un messaggio silenzioso ma potente: la
libertà era un dono prezioso, un'eredità da custodire con cura, un orizzonte da
conquistare ogni giorno, con la stessa tenacia e la stessa speranza che avevano
animato coloro che l'avevano riconquistata tanto tempo prima. E in quel
venticinque aprile, sotto il sole tiepido della primavera, Silvana sentiva di far
parte di quella lunga catena, un anello che si stringeva con orgoglio al valore
eterno della libertà.
Liberte' de andà,
liberte' de sciortì
senza dì dove ti ve'.
Accattà quello che ti veu
e pagàlo co-i to dine'.
Libertè de sercate
i amixi che te piaxe.
Libertè de sbagliate.
Libertè ürtima:
avei o coraggio
de no assomeggià
a nisciün.
Sandro Pertini – Dialetto di Stella
(Sv)
LIBERTA'
Libertà di andare
libertà di uscire
senza dire dove vai.
Comprarti quello che vuoi
e pagarlo con i tuoi soldi.
Libertà di cercarti
gli amici che ti piacciono.
Libertà di sbagliare.
Libertà ultima:
avere il coraggio
di non assomigliare
a nessuno.
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