West Virginia

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Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

lunedì 16 settembre 2024

Lucca, 14 settembre 2024, 2° presentazione del libro "Il filo di vetro racconta"

 


Secondo appuntamento dedicato alla presentazione del libro “Il filo di vetro racconta”, grappoli di aneddoti legati ad una vita di lavoro all’interno della Vetrotex Italia di Vado ligure.

Tutto quanto accaduto nel primo atto, quello del 18 aprile a Savona, è fruibile al seguente link: 

https://sfoghieracconti.blogspot.com/2024/04/presentazione-del-libro-il-filo-di.html


Ma questa seconda opportunità era doverosa, giacché l’ispiratore dell’iniziativa, Tullio Fulvio, risiede a Lucca, ed era quindi opportuno realizzare un momento di incontro “a casa sua”, a Capannori, nel Circolo Culturale Artemisia, che aveva ospitato nel 2023 una presentazione analoga.

Il giorno scelto è stato sabato 14 settembre.

Anche questa volta si è dimostrata compatta la squadra in movimento da Savona sino al punto di incontro, una reunion tra ex colleghi, non solo di carattere “savonese”, anzi, una fetta significativa aveva il marchio “Besana Brianza”, composta cioè da persone che avevano avuto ruoli trasversali, fondamentali, con cui è rimasto attivo un collante affettivo oggi depurato della rigidità che certe differenze di ruolo determinavano un tempo.

Palpabile l’emozione - qualche lacrimuccia è scesa -, tangibile la voglia di passare qualche ora insieme, per ricordare, per rivivere momenti toccanti, per coinvolgere anche quella parte di famiglia che ha spesso “subito” difficoltà lavorative non certo facili da comprendere.

Non farò elenchi di nomi, nei video a seguire e nelle foto sarà facile ritrovarsi, ma mi piace sottolineare l’atmosfera che si è creata, anche in questa occasione, tanto che il tempo è volato e si è sforato la durata prevista senza neanche accorgersene.

Il mio sondaggio fatto a posteriori su alcune moglie ha fatto emergere che, nonostante l’argomento fosse molto specifico, a volte tecnico, sicuramento basato su episodi chiari solo a chi li ha vissuti, la noia non è stata una delle componenti presenti, e avere un cospicuo numero di persone attente sino alla fine dell'evento ha rappresentato un ulteriore piccolo successo.

Tanto per riannodare le fila del contenitore letterario proposto, evidenzio che il libro non ha trama, non è un romanzo, ma è basato sui ricordi che chi ha voluto, in piena autonomia, ha rilasciato.

Un book che, difficilmente avrà una seconda chance, ma una porta verso la crescita è rimasta aperta, vale a dire la creazione di un libro digitale che ha il pregio di presentare tante fotografie (in questi casi importanti quanto le parti scritte), quelle impossibile da inserire in un cartaceo, e poi… se qualcuno vorrà aggiungere nuovi racconti, sarà agevole inserirli.

Il giorno dopo resta un senso di appagamento unito ad un briciolo di spleen, perché le storie emerse riguardano un passato lontano che però appare dietro l’angolo.

Trovare il piacere nel condividere momenti così semplici e genuini - magari giudicati negativamente da occhi esterni - conduce alla piacevole consapevolezza che eravamo - e siamo - anime virtuose, una bella soddisfazione quando si arriva a questo punto del percorso!

Ma forse le immagini video renderanno meglio l’idea dell’atmosfera di giornata.






giovedì 12 settembre 2024

Da Roma a Seattle e ritorno - Diario di bordo del mio primo tour degli Stati Uniti, di Massimo Pieretti (e Athos Enrile)

 

On stage

Massimo Pieretti propone a seguire una sintesi del suo recente viaggio negli Stati Uniti, un obiettivo di carattere musicale trasformato, ovviamente, in esperienza di vita.

La sua richiesta è quella di aggiungere qualche mio pensiero adeguato, ma sono talmente tante le cose viste e fatte negli USA che condensarle richiederebbe spazio notevole e… non voglio rubare la scena.

Posso però raccontare di come io abbia iniziato a sognare quel paese attraverso i film visti nella mia infanzia, e ricordo lo stupore del mio primo viaggio oltreoceano, nel ’93, quando New York mi si presentò davanti agli occhi proprio come l’avevo disegnata nella mente guardando la tv.

Da quel momento sono stati molti i viaggi verso quel mondo - che appare ideale, almeno per chi è di passaggio - l’ultima nel 2008, spesso per lavoro, ma ogni volta nasceva l’occasione per vivere e vedere qualcosa di sensazionale… la casa di Elvis a Memphis, il luogo in cui uccisero John Kennedy a Dallas, il museo di Andy Warol a Pittsburgh.

Avendo in comune con Pieretti l’argomento musica scelgo un aneddoto che racconto spesso di questi tempi nel corso delle presentazioni del mio libro (di cui sono coautore) su Woodstock.

È un sabato di fine ottobre, siamo nel 1996, e io sono in una cittadina della West Virginia, Buckhannon.

Alcuni colleghi mi raggiungeranno la domenica ma al momento sono solo, in una sorta di B&B in mezzo alla foresta, il Dear Park, oasi di pace in mezzo alla natura. I gestori mi accolgono come fossi uno di famiglia e per un paio di giorni vivrò con loro.

Il venerdì sera il direttore dell’azienda in cui sono impegnato mi consegna l’auto aziendale, una magnifica Buick azzurra, ed una piantina per orientare il mio soggiorno nel fine settimana.

Consulto immediatamente la mappa e vengo colpito dal nome “Woodstock”, evocativo e importante nella mia formazione musicale.

Mi metto in viaggio e proseguo per tre ore verso la meta dei miei sogni.

Una volta sul posto mi giro intorno ma non vedo segnali che riportano all’evento del ’69… impossibile! Un museo? Una targa?

Fortunatamente trovo un gruppo di italiani residenti in loco da sei mesi, napoletani, gestori di una pizzeria appena aperta. E così mi illuminano… nessun festival, nessun museo… la mia Woodstock si trova in un luogo ben diverso, a 150 chilometri da New York!

Tanta strada per niente? Beh, fu un viaggio magnifico, toccando cittadine decentrate, campi da football, benzinai… insomma, quello che “Happy Days” mi aveva insegnato.

Woodstock, quella vera, mi sta ancora aspettando!

Ho scritto un libro dove ho raccolto i miei ricordi usando protagonisti inventati (https://athosenrile.blogspot.com/2019/12/accadde-buckannon-un-racconto-di-athos.html), ma sono al contrario reali i musicisti e i personaggi che Pieretti descrive ripercorrendo le tappe del suo recente viaggio, impreziosito dalla valenza professionale condita dall’empatia che nasce spontanea tra persone che, pur di cultura e lingua differente, parlano il linguaggio universale della Musica con la M maiuscola.

Leggiamo il suo racconto…

  

Da Roma a Seattle e ritorno - Diario di bordo del mio primo tour degli Stati Uniti

Di Massimo Pieretti


Premessa


Circa un anno fa, nell’agosto del 2023, grazie a Mark Preising di Progressive Rock Central, venivo messo in contatto con il cantautore e polistrumentista di Seattle Michael Trew, lead vocalist dei Moon Letters.
Con Michael, artista vero e mente illuminata, si è creata sin da subito un’ ottima intesa e unità d’intenti e, infatti, lui si è reso immediatamente disponibile ad interpretare uno dei miei nuovi brani, l’inno pacifista “I dreamed of flying”, scritto da me insieme a mia sorella Patrizia e al mio fido collaboratore Gianluca Del Torto.

 Il brano è uscito il 18 maggio scorso come secondo singolo dal mio nuovo imminente progetto da solista, “The Next Dream”, e ha ricevuto un discreto riscontro di critica nei vari siti e nelle emittenti radiofoniche di settore (anche grazie alla partecipazione di importanti ospiti, tra i quali Amy Breathe alla seconda voce, Ms Lisa Green al violino e Mattias Olsson degli Anglagard alle percussioni).

In seguito all’uscita di questo singolo, è proseguita una sempre più fitta collaborazione di carattere promozionale tra me e Michael e a metà aprile abbiamo iniziato a parlare della possibilità di organizzare un piccolo tour nel Nord Ovest degli Stati Uniti, Seattle, Portland e zone limitrofe.
Era da molto tempo che desideravo tornare a visitare l’America e quale migliore opportunità di questa, insieme ad un artista del posto, per lo più indipendente e non allineato, proprio come me! Quindi, superate le non poche perplessità iniziali (la paura di volare su tutte) e concordato ogni cosa nei minimi particolari con Michael, ho deciso di imbarcarmi in questa nuova incredibile avventura.

Il periodo scelto è stato quello di agosto, partenza da Roma il 1° ritorno il 20.


I fatti

Michael si è occupato praticamente di tutto, dall’organizzazione logistica della mia sistemazione sino all’allestimento e il coordinamento della band con cui esibirci ma, soprattutto, il reperimento delle varie serate arrivando a trovare ben sette club disposti ad accogliere noi ed altre band locali, tra cui i Maiden Moss, uno dei gruppi dell’area di Seattle in cui Michael milita come bassista e corista.

Appena atterrato sul suolo americano Michael era lì ad aspettarmi, mi ha accolto come uno di famiglia in casa sua, uno splendido cottage di campagna nei pressi di Seattle con tanto di scoiattoli selvatici, jacuzzi nel giardino e studio di registrazione annesso.
L’indomani è iniziata l’avventura, con le prime indimenticabili prove e a seguire i concerti in giro per il nord ovest degli States, tra gli stati di Washington e l’Oregon, in una cornice di natura incontaminata di rara bellezza.
Il primo concerto si è svolto il 4 agosto, proprio nella tenuta di Michael, di fronte a tanti nuovi amici accorsi ad ascoltare la mia musica e quella delle altre band che si sono esibite dopo di noi: i Flying Caravan e i Wavicle di Portland e, appunto, i Maiden Moss di Seattle.
La nostra scaletta iniziava sempre con una prima parte in acustico, piano, voce e flauto traverso, e che prevedeva: Dancing with the moonlit knight dei Genesis in medley con Spirit of the water dei Camel e Mother of violence di Peter Gabriel; seguivano Never going to touch the ground - il nuovo singolo di Michael - e la “nostra” I dream of flying.
A questo punto entravano in scena due componenti dei Maiden Moss, Jose Simonet alla chitarra e Kai Strandskov alla batteria, e con Michael in veste di bassista/cantante venivano eseguite nell’ordine: il mio ultimo singolo Creatures of the night part 1 e tre brani dal mio disco d’esordio, A new beginning Oh Father, In November e Growing old.                                                                               Concludeva il set Vassagonia, un brano di Michael dal suo primo album da solista.


Il minitour ci ha poi visti protagonisti nelle seguenti date:
-4 agosto, Lake Forest Park, Seattle, WA;
-6 agosto Atlantis Lounge, Portland, OR;
-8 agosto Conway Muse, Conway, WA;
-10 agosto Coast Fork Brewing, Cottage Grove, OR;
-13 agosto Rhythm’s Coffee, Olympia, WA.


La data di Portland è stata una delle più emozionanti in virtù della partecipazione del mio grande amico e collaboratore Billy Allen al basso.
Terminato il tour e salutato i miei nuovi amici, mi sono trasferito dalla casa di Michael in un albergo del centro di Seattle, a due passi dall’oceano, per vivere da turista gli ultimi giorni del mio soggiorno in terra americana.

In conclusione, posso dire di aver vissuto fino in fondo e goduto pienamente ogni singolo istante della mia incredibile “avventura americana”. Ogni serata è stata, a suo modo, un evento unico e speciale per me e difficilmente dimenticherò questa incredibile esperienza che porterò per sempre con me.

 
God bless America!

https://massimopieretti.bandcamp.com/

https://wall.cdclick-europe.com/projects/A_New_Beginning_vinyl


Reportage fotografico

Arrivo a Seattle

Band to Cottage Grove

Con Billy Allen


Con Frankie McCabe

Con Michael

Olympia

Olympia

Olympia

Portland

Tour poster

Ultimo giorno






lunedì 9 settembre 2024

Claudio Sottocornola: "A che punto è la notte-Tracce di pensiero vigile"- Commento di Elisa Enrile

 


A che punto è la notte-Tracce di pensiero vigile

Di Claudio Sottocornola

Di Elisa Enrile

Uno spaccato sulle domande della contemporaneità e del passato

 

Sfogliando “A che punto è la notte” non è immediata la comprensione di quello che si sta per andare a leggere.

Si capisce che non si tratta di un romanzo, ma la divisione in capitoli e la varietà di argomenti trattati lo rendono un prodotto a metà tra un insieme di saggi e un compendio accademico, che potrebbe essere assegnato in un corso monografico all’università o consigliato come lettura da professori di liceo ad alunni particolarmente curiosi.

Avvicinandosi con più attenzione al volume, si apprende che in effetti si tratta di una raccolta di 10 saggi pubblicati dall’autore nella rivista “Il Cenacolo” nel 2023, a scopo appunto divulgativo. L’audience a cui lo scrittore, giornalista e ricercatore si rivolge è varia e spazia per età e formazione, condizione che lo porta a cercare di unire nei modi – così come nei temi – l’inclusività all’interesse e alla professionalità.

Si ramificano così attraverso i saggi alcune domande di interesse e cultura generale, alternandosi con quesiti esistenziali su alcune delle contraddizioni e degli aspetti più o meno evidenti della società, della cultura e della religione.

In un valzer che unisce cultura pop, scienza, politica e spiritualità, Claudio Sottocornola sfida i lettori a interrogarsi sui perché dell’umanità, fornendo un’analisi critica e oculata delle tematiche trattate sotto diversi punti di vista, tutti atti a stimolare il dialogo, l’ulteriore ricerca e la curiosità. Quali sono le forme narrative adatte per la nostra nuova società? Gli animali possono ancora essere considerati solo una fonte proteica da inserire nel nostro piatto? Esistono forme di vita intelligenti, oltre a noi e se sì, come la scienza trova un compromesso con la religione? Come i gender studies possono aprirci gli occhi sul mondo contemporaneo?

L’autore prova a dare una risposta a tutti questi interrogativi servendosi di diverse fonti e usandole in maniera puntuale per creare una trama narrativa ricca e coinvolgente, permettendo a ciascuno di aggrapparsi alle realtà meglio conosciute e avvicinarsi in punta di piedi alle altre, accogliendole o scontrandosi, in un cerchio che si apre e si chiude armonicamente senza mai risultare perentorio o saccente. Le domande vengono affrontate analiticamente ma la risposta non risulta chiara e univoca, permettendo a ciascuno la riflessione e la creazione interiore di una propria versione, di una propria verità, permettendo però ai lettori di avere gli strumenti per andare nella giusta direzione.

In un’azione che ripercorre l’attività ermeneutica dei grandi filosofi del passato, Sottocornola cerca di unire diverse voci e di dedicare a tutte lo spazio necessario per farle vibrare, permettendo al fil rouge dell’eterna attesa, che pure viene subito dichiarato dal titolo biblico, di agire indisturbato in sottofondo.  

“A che punto è la notte” ci proietta in un buio metafisico, un continuum notturno dal quale sembra difficile uscire ma non impossibile se le tenebre vengono scalfite con la giusta luce, quella della conoscenza e soprattutto della ricerca a cui si vuole dare una risposta.

 

L'AUTORE

Claudio Sottocornola (Bergamo, 1959) si è laureato all’Università Cattolica di Milano con una tesi in Storia della teologia. Già ordinario di Filosofia e Storia nei licei, è stato anche docente di IRC, Materie letterarie, Scienze dell’educazione e Storia della canzone e dello spettacolo alla Terza Università di Bergamo. Iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 1991, ha collaborato con diverse testate, radio e tv.

Come filosofo si caratterizza per una forte attenzione alla categoria di interpretazione, alla cui luce indaga il mondo contemporaneo, ed ha spesso utilizzato musica, poesia e immagini per parlare a un pubblico trasversale, nelle scuole, nei teatri e nei più svariati luoghi del quotidiano.

È autore di numerose pubblicazioni, che coinvolgono tre aree tematiche prevalenti: l’autobiografia intellettuale, la cultura popular contemporanea, l’attuale crisi del sacro in Occidente e la sua possibile rimodulazione teologico-filosofica.

Fra le opere più recenti, Saggi Pop (Marna, 2018), Parole buone (Marna/Velar, 2020), Occhio di bue (Marna, 2021), Tra cielo e terra (Centro Eucaristico, 2023), Così vicino, così lontano (Velar, 2023).




giovedì 29 agosto 2024

L'ultimo libro di Sarah Cogni: "Anna Lobont"


Seguo Sarah Cogni dal 2012, anno, anzi, estate, in cui scoprii la sua passione per la scrittura, con un focus particolare sui romanzi storici e su eventi ambientati in un passato da lei indagato nei dettagli, trasformati poi in elementi utili alla sua narrativa piacevole e intelligente.

In rete è possibile reperire facilmente la sua biografia e il frutto del suo impegno, nonché le scelte di vita che hanno portato lei e la sua famiglia ad una vita defilata in quel di Frabosa Soprana, alla ricerca di una qualità esistenziale che si trova più facilmente in un ambiente bucolico, che credo sia poi fonte di ispirazione e concentrazione, tessere necessarie all’interno del puzzle creativo.

Nel mese di maggio è uscito “Anna Lobont”, Morellini Editore, un libro che ho divorato e il motivo, credo, scaturirà nelle prossime righe.

La lettura suscita diversi sentimenti, tocca il cuore della persona sensibile e riesce a coinvolgere, ad eliminare il distacco tra finzione e realtà, permettendo al lettore di diventare parte del contenitore creato dall’autrice.

Immagino che Cogni non tratti fatti di cui è stata testimone più o meno diretta, ma storie simili, con miglior o peggior epilogo, dominano il mondo, quello attuale e quello più antico.

Al centro del romanzo troviamo Anna, una bambina che i casi della vita portano lontano dal suo focolare - una madre che viene a mancare e un padre che decide di affrontare il futuro affidando le sue due figlie - e per questo in continuo equilibrio tra la comunità e famiglie atte alla custodia, spesso inadeguate. L’iter narrativo parte dai cinque anni di Anna - due della sorella Diana - e si conclude con i sedici anni della protagonista, momento in cui si apre una luminosa finestra in cui può entrare la luce della speranza, con la possibilità che la vita possa proporre, da quel momento in poi, un percorso sereno.

Situazioni drammatiche succedute da momenti di apparente calma, incomprensioni e delusioni per una bambina che affronta il momento della crescita in assenza dell’affetto richiesto, necessario soprattutto in quella fase di vita.

Nasce così la figura di Anna, scontrosa al punto giusto, diffidente, scostante, ribelle, spesso muta, in un caleidoscopio di disagio e resilienza in attesa, tra l’altro, del momento tradizionalmente più complicato, quello dell’adolescenza.

La musica, soprattutto quella dei Queen, diventa compagna di viaggio in un’era riconducibile agli anni Ottanta, tra “Happy Days” e “Portobello”, quando la lira era ancora di moda.

Ma qualcosa accadrà, fatti inaspettati, quasi da “noire”, mentre Anna, e di conseguenza Diana, impareranno una lezione che, con cautela, proveranno a mettere in atto, quel concetto di “dare una seconda chance” difficile da far digerire quando si è agli esordi del percorso di vita, ma avere la possibilità di ricostituire una famiglia, forse, vale qualche azzardo, un rischio da correre mentre ci si accorge che sentimenti come amicizia, amore e rispetto, possono guarire anche chi alberga nella propria mente i pensieri più oscuri.

Come accennato, ho letto con frenesia le vicende di Anna Lobont e di chi la circonda, apprezzando totalmente la scrittura scorrevole di Sarah Cogni, pronta a cogliere particolari che arricchiscono un racconto che potrebbe costituire la trama di un film.

Consigliatissimo!

Mi disse un giorno Sarah, quando uscì il suo primo libro: “La mia passione per la scrittura nasce parecchi anni fa quando, ragazzina delle superiori, mi dilettavo a scrivere piccole storie o romanzetti stile “Teenager”, che, riletti ora, mi fanno sorridere...”.

Beh, di strada ne è stata fatta!

Sarah Cogni è nata a Genova, dal 2018 vive con la famiglia a Frabosa Soprana. Insegnante di Scuola dell’Infanzia dal 1996, nel 2012 pubblica il suo primo romanzo storico, Il coraggio di Angela, cui nel 2013 fa seguito il secondo e ultimo capitolo di questa saga familiare, Il sentiero di Emma. Nel 2014 viene pubblicata la raccolta di racconti Magie di un Natale passato. È poi la volta del romanzo storico La signora dei gabbiani, nel 2016, e de La finestra sul ciliegio, nel 2018; nel 2020 viene pubblicato il breve romanzo storico Quando saremo liberi (Amazon kdp) e nel 2021 La bottega delle buone cose (Araba Fenice Edizioni).




venerdì 12 luglio 2024

Commento al libro "Villa Ponente", di Paola Zagarella.

 


Un incontro casuale in una libreria, savonese, mi ha condotto sulla strada di una scrittrice, genovese, che proponeva l’ultimo risultato della sua passione attraverso una delle tante pubblicizzazioni possibili, il “firmacopie”.

In realtà il primo contatto è avvenuto con mia moglie, mentre io girovagavo tra i book nel reparto “narrativa musicale” alla ricerca, vana, di qualcosa di cui sono autore.

Dopo una breve conoscenza - e la scoperta di amicizie comuni - arriva l’acquisto, sulla fiducia, dovuta anche all’effetto “induzione”, ovvero… se conosce Sarah Cogni e ne condivide sentieri e idee, sarà sicuramente brava!

Lei è Paola Zagarella, e da quanto si evince dalle note ufficiali esordisce con una pubblicazione del 2020 (“Storie di una donna di oggi”), per poi proseguire l’attività sino ad arrivare all’oggi, rappresentato dal nuovo libro “Villa Ponente”.

Mi allargo e immagino scenari, magari sbagliando, ma ci provo.

Paola mi appare membro di un club nutritissimo, quello di chi trova forza, coraggio, magari solo l’occasione, di realizzare nel corso della maturità ciò avrebbe potuto essere il percorso della vita.

Accade in tutti i settori, dalla musica alla pittura, in ogni rappresentazione dell’arte e della creatività, e basterà lasciar scorrere poche pagine del book per catturare le grandi qualità dell’autrice.

Sono abituato al commento di situazioni musicali e oggi invado un campo che non mi appartiene, e quindi il mio pensiero è quello del comune lettore, che sente il bisogno di dire la sua alla fine di una lettura gratificante.

L’ambientazione in cui si snodano le vicende della famiglia Ponente mi è nota, un paese decentrato rispetto alla città, come ce ne sono tanti in Liguria, luogo perfetto per la narrazione di una saga familiare che si concentra sulla vita e sulle azioni di una famiglia, seguendone le vicissitudini di generazione in generazione e raccontando il modo in cui i suoi membri sono legati gli uni agli altri da scelte, tradizioni e destini personali.

In uno spazio temporale tutto sommato contenuto si dipanano le vite di un nucleo di anime benestanti, invidiate, chiacchierate, giudicate, osservate senza neanche troppa discrezione.

Una stirpe che nasce dall’intuito e dalle capacità di una persona, il capostipite da cui si diramano le naturali derivazioni, il generatore di nobiltà e ricchezza, il giovin Carlo, da cui tutto nasce e prolifica, attraverso l’opera degli eredi.

Un’azienda che funziona, una villa vicino al mare, un piacere nel rimarcare le diversità di ceto e di possibilità.

All’interno del nucleo famigliare si snodano vicende tipiche del patriarcato, ma il focus è rappresentato dai tanti aspetti relazionali, uno su tutti il rapporto tra le due sorelle Carla e Aurelia, lontane anni luce per quanto riguarda la visione del mondo, ma legate da qualcosa di profondo che emerge con lo scorrere delle pagine.

Ma se il rapporto tra sorelle riporta a differenze naturali - spesso incomprensibili -  tra persone coeve, quello esistente tra figlie e genitore è altrettanto complesso, ed evidenzia egoismi e pretese che, almeno all’apparenza, nulla hanno a che fare con l’amore, e mentre la pellicola scorre e gli anni passano rapidamente, le vicende presentano una drammaticità coinvolgente, e appare complicato non trovare connessioni con situazioni vissute personalmente.

Le scelte condizionano il futuro, come nel caso di Carla e Lia, e quando manca la forza di ribellarsi a ciò che altri hanno stabilito per noi, quando non è chiaro dove sia il giusto e il meno appropriato, quando una personalità importante sovrasta chi possiede meno forza morale, la nebbia si fa spessa, e l’idea che basterà solo aspettare affinché il cielo possa tornare limpido appare pura utopia.

La progressione temporale che descrive lo scorrere della vita di Lia induce profonda tristezza nel lettore, che intravede nella protagonista principale l’ovvia infelicità unita all’incapacità reattiva esasperata, mentre sullo sfondo emergono i tipici profumi della Liguria al passaggio delle stagioni.

Inaspettato l’epilogo, ma non mi spingo oltre per ovvi motivi.

Ho letto “Villa Ponente” tutto d’un fiato.

Trovo che il modello narrativo proprio di Paola Zagarella sia molto efficace, capace di mettere al centro messaggi universali conditi dalla piacevolezza del racconto e dei dettagli, ed è quindi un libro molto “trasversale” che consiglio a chiunque possegga un po’ di sensibilità e virtuosismo.

Chiudo con la dedica iniziale dell’autrice, una frase che faccio mia per sempre…


A chi non c’è più… e alle loro foto sui comodini.

 

 

 

 

 

martedì 30 aprile 2024

Presentazione del libro “Il filo di vetro racconta”: un po' di commento e la sintesi video

 


Dopo tanta attesa è arrivato il momento della presentazione ufficiale del libro “Il filo di vetro racconta”, un contenitore privo di un unico autore, ma con tanti protagonisti che hanno deciso, magari con fatica, di regalare il proprio pensiero.

Prima di delineare i contorni del contesto, mi piace sottolineare qualcosa che credo sia unico, o almeno inusuale, ovvero la voglia di unire storie ed epoche differenti, il cui collante, come qualcuno ha sottolineato, è il concetto di “lavoro”. Oltre trent’anni di vita passata insieme, tra momenti esaltanti ed altri di dawn, intrecci tra famiglia e attività che emergono dalla lettura, così come sono evidenziati dalla cospicua partecipazione alla giornata in oggetto, quella del 28 aprile 2024, giorno in cui ci si è ritrovati alla Taverna dello Zio Fester.

Due parole sul book, nato da un’idea di Tullio Fulvio, che dopo aver tracciato la propria testimonianza di vita nell’autobiografia “SCHIZZI DI MARE ed altri racconti”, uscita lo scorso anno, proponeva l’evoluzione della parte lavorativa da lui trattata, un’estensione a tutti coloro che avrebbero avuto la voglia di partecipare, ovviamente ex dipendenti del luogo comune di lavoro.

Stiamo parlando di una azienda vadese che, partendo dagli inizi, ha visto la progressione dalla APE, passando per Vitrofil, Vetrotex e terminando con OCV.

Il periodo più corposo e di rivoluzione tecnologica ha riguardato la multinazionale Saint Gobain, circa 21 anni di attività.

Ma quante cose accadono in un periodo così lungo!

Il libro è nato così, con la richiesta ai tanti ex colleghi di lasciarsi andare con i ricordi, mettendoli a disposizione della comunità, momenti che, quasi sicuramente, avranno un significato solo per chi li ha vissuti, mentre risulteranno incomprensibili per un lettore esterno, ma a conti fatti è bello constatare che esiste un legame indissolubile tra persone che si sono allontanate per mille motivi, ma che hanno mantenuto vivo il ricordo, quello legato a giornate cariche di eventi,  sentimenti sconosciuti agli amanti dello smart working.

Vedere alcune persone presenziare all’evento dopo aver fatto centinaia di chilometri avvalora la tesi.

Ovviamente non è tutto rose e fiori, come potrebbe apparire, ma di una giornata come quella del 28 aprile 2024 e della sua motivazione è bene salvare tutto ed evidenziare solo il positivo.

Un libro senza filo logico, se non una sequenza alfabetica dei partecipanti, con ogni autore accompagnato da un brano musicale di riferimento, seguendo il metodo più democratico possibile, ovvero… tutti possono scrivere, senza limitazioni e costrizioni, né di argomento né di spazio.

E proprio questo, che rappresenta un pregio oggettivo, è al contempo un limite, giacché non è garantita la rappresentatività aziendale, non tutti i settori risultano coperti e molte cose interessanti non sono emerse.

Ma la tecnologia viene in nostro soccorso, perché esiste un formato digitale - a disposizione di chi lo vorrà richiedere -, che è molto ricco, con tante immagini e la possibilità di ascoltare i brani scelti dagli scrittori. Sarà quindi possibile aggiungere in qualsiasi momento un nuovo racconto che potrà colmare i logici vuoti che sono connaturati al libro.

Ci siamo perciò inventati il “Libro Dinamico di Vetrotex”. Grazie Tony Auteri!

L’unica divisione logica ha riguardato le storie “normali” da quelle dedicate a persone che non ci sono più. Anche in questo caso nessuna scelta a tavolino, ma piena libertà di ricordare chi è maggiormente rimasto nel cuore.

L’evento principe era programmato a Lucca, semplicemente perché è quella la città in cui vive Tullio Fulvio ed è lì che è nata l’idea. Si farà, un po’ più avanti, e nell’attesa si è pensato di fare un incontro savonese, tanto da coinvolgere i protagonisti locali.


Dopo aver individuato il luogo e l’orario, si è passati alla “convocazione”, ovviamente aperta a famiglie e annessi.

In molti hanno risposto, molti di più sono arrivati.

Volti conosciuti - logicamente invecchiati -, altri nuovi, per effetto di familiari ed eredi, contenti di ricordare in piena comunione di intenti.

Ex Operai, ex Impiegati, ex Quadri, ex Dirigenti… TUTTI EX, nessuna categoria di riferimento.

Tutto è andato per il meglio, in parte improvvisato, con le parole miscelate a qualche immagine, con qualche intervento che ha suscitato ilarità mista a nostalgia, ma con un’attenzione costante dei partecipanti per almeno una ora e mezza - cosa da rimarcare!

Tra i tanti interventi sottolineo quello di Aldo Marenco - prima infermiere e poi medico - per il semplice fatto che tra i tanti presenti era l’unico ad aver conosciuto la realtà APE: la sua commozione - come quella di Ambrogio Merlo o di Giorgio Pinna - la dice lunga sui sentimenti che legano l’uomo alla propria storia, qualunque essa sia.

Commozione anche sui volti di chi ha perso importanti affetti: trovare nel libro qualche aneddoto per sempre potrebbe risultare piacevole.

Alla fine, il rifresco, giusto per alimentare la socializzazione, qualche parola e la voglia di prolungare al massimo una giornata che non potrà mai più avere tale seguito, almeno dal punto di vista della "quantità partecipativa".

E ora il focus delle presentazioni si sposterà a Lucca, per un bis con altri colleghi: sarà quella l’occasione per utilizzare un paio di chitarre e accompagnare i racconti, vero Vittorio Viano?

Oltre a Tullio Fulvio, un grande grazie a Giorgio Pinna e Antonio Auteri.

Nel video a seguire si ripercorrono alcuni momenti della presentazione… buona visione!



giovedì 23 novembre 2023

“C'è ancora domani”: le mie impressioni!



Non è usuale per me scrivere a proposito di un film visto, perché non ne ho le competenze, ma ho la licenza, come chiunque altro, di descrivere ciò che il contenuto di una pellicola mi suscita, e questo mio piccolo commento mi esce spontaneo e so già che andrò a personalizzare la cosa! Non ho quindi la pretesa di sfornare una recensione ma mi limito a descrivere quanto provato.

Esiste un antefatto che risale a domenica scorsa, quando mi trovavo a Milano per la presentazione di un libro. I miei figli vivono e lavorano nel capoluogo lombardo, e a tavola Elisa ci racconta dell’esperienza appena vissuta, la visione di quello che comunemente è chiamato “il film della Cortellesi”. A tutti i presenti è piaciuto, e ciò mi ha incuriosito, perché in questo periodo tutto mi passa affianco senza che io me ne accorga, e così ho colto al volo la sollecitazione.

Argomento molto caldo che mette in risalto il ruolo della donna nella società, e il racconto a tavola si evolve tendente verso i macro-concetti su cui non si può non essere d’accordo. Mio figlio ammette che alla fine aveva le lacrime agli occhi e… mi fermo qui. Mi convinco, ci convinciamo. Risultato, blocchiamo subito un paio di biglietti per il mercoledì a seguire, ultimo giorno di proiezione savonese.

Ma perché mai dovrei andare a vedere un film dove il mio cuore tenero, ne sono certo, dovrà soffrire?

Sono abbastanza antico, ma ho ricordi indelebili di come funzionassero le famiglie a inizio anni ’60, una quindicina di anni dopo l’ambientazione storica del “film della cortellesi”. Ma non ho voglia di stare male, e so, mentre mi sto avvicinando alla sala cinematografica, che prestissimo dovrò fare i conti con la pellicola che scorrerà davanti ai miei occhi.

A metà strada incontro un amico che non vedevo da tempo e nel suo saluto finale ci scappa un suo: “hai visto il film della Cortellesi?”. Ormai non posso fuggire, tra pochi minuti capirò meglio!

Siccome non provo più alcuna vergogna nel mostrare i miei sentimenti, posso dire tranquillamente che anche a me sono scese le lacrimucce. L’ho fatto nella scena finale, ma mi è capitato anche ascoltando le canzoni di sottofondo, il cui abbinamento tra nuovo e antico mi ha colpito: non avrei mai creduto che funzionasse così bene! Il top del mio dolore interiore è arrivato quando una scena particolarmente toccante è stata colorata da “La sera dei miracoli”, di Lucio Dalla.

E gli altri brani? Eccoli…

Aprite le finestre – Fiorella Bini

Nessuno – MUSICA NUDA di Petra Magoni & Ferruccio Spinetti

Perdoniamoci – Achille Togliani

A bocca chiusa – Daniele Silvestri

M’innamoro davvero – Fabio Concato

La sera dei miracoli – Lucio Dalla

Calvin – The Jon Spencer Blues Explosion

B.O.B. – Bombs Over Baghdad – OUTKAST

The little things – Big Gigantic featuring Angela McCluskey

Swinging on the right side – Lorenzo Maffia e Alessandro La Corte

Tu sei il mio grande amor – Lorenzo Maffia e Alessandro La Corte (Voce Enrico Rispoli)

 

Qualche dato oggettivo, partendo dal titolo su cui sino ad ora ho giocato ma che è ben definito e induce alla speranza: C'è ancora domani”, per un film co-scritto, diretto e interpretato da Paola Cortellesi.

Girato in bianco e nero, riporta ad una Roma del 1946, appena terminata la guerra, ed è sinteticamente la storia di Delia, donna che, nel primissimo dopoguerra, si trova a mantenere - facendo tre lavori, oltre a quelli di casa - una famiglia in cui i due figli maschi seguono l’esempio paterno - un comportamento basato sulla violenza e disprezzo totale per lei - e la figlia femmina, rivedendosi nella madre, la accusa di non saper reagire.

Siamo nel mese di maggio, la città è divisa tra la povertà lasciata dalla Seconda guerra mondiale, le milizie degli Alleati in giro per le strade e la voglia di cambiamento alimentata dal referendum istituzionale e dall'elezione dell'Assemblea Costituente che avverrà nei successivi 2 e 3 giugno (la notazione temporale è funzionale ad un finale che non racconterò).

Non mi soffermo sui particolari della narrazione, e ancor meno sulla conclusione, per non rovinare una possibile futura visione a chi ancora non lo avesse visto, ma… la prendo alla larga.

Col passare dei minuti e lo scorrere delle immagini sono diverse le situazioni famigliari che evidenziano il rapporto moglie/marito, e anche laddove il comportamento è basato su una normale civiltà, il rigido rispetto dei ruoli all’interno della coppia rimane una costante, perché la donna era condannata alla sottomissione, con una quotidianità vissuta sotto gli occhi dei figli, che quando erano femmine apprendevano ciò che la società si aspettava da loro e se erano maschi captavano il presunto senso di superiorità che doveva farli prevalere all’interno della vita matrimoniale.

In questo caso abbiamo una violenza, una vessazione continua e immotivata, se non con la giustificazione dietro alla quale si nasconde Delia/Cortellesi, la protagonista, che, quando qualcuno le fa notare la cattiveria del marito afferma: “Eh, ma lui è stressato, ha fatto due guerre!”.

Una casa indecente, le cui finestre aperte regalano i piedi dei passanti, qualche topo che vagola sotto il letto, una camera dove trovano spazio la figlia Marcella e i due figli più piccoli e difficili da digerire! Un’altra stanza dedicata ad un suocero perennemente a letto, che rimprovera il figlio perché ha sposato un’estranea e non una cugina come il suo credo avrebbe suggerito, e che redarguisce la violenza del figlio, che andrebbe perpetrata non in modo continuo, ma ogni tanto e con grande impeto, insomma, “le mogli vanno picchiate ogni tanto, ma forte, in modo che non possano scordare chi comanda in casa!”.

Le vicende si snocciolano con la tragedia che si sposa alla comicità a cui la Cortellesi non ha voluto rinunciare, e che va colta nei dettagli nascosti negli anfratti, mentre la figlia dimostra ostilità verso una madre incapace di ribellarsi. Ho lasciato per ultimo Ivano/Valerio Mastandrea, attore, anche in questo caso superlativo, che riesce ad attirare su di sé l’odio dello spettatore, e che contribuisce a chiarire in modo perfetto il modello di famiglia dell’epoca.

Mi fermo qui per quanto riguarda la storia per non rischiare il reato di spoileraggio, ma qualche considerazione personale mi nasce spontanea.

Ciò che Paola Cortellesi descrive così bene nella sua creazione è una cartolina del lontano passato, perché esiste una logica evoluzione che ha modificato i rapporti uomo/donna esistenti un tempo, ma è proprio la quotidianità che ci racconta come il retaggio culturale antico abbia ancora in pancia delle scorie che non si vogliono eliminare. Senza entrare nel campo sociologico e antropologico che non padroneggio, evidenzio che l’unica vera distinzione tra i generi, quella che attraverso leggi di natura stabilisce una relazione di forza ben definita, è ancora utilizzata per prevaricare e sopprimere sentimenti e voleri altrui. Anche nel campo lavorativo ho esperienze dirette di come le opportunità e la considerazione professionale passino ancora attraverso la valutazione di genere.

Arriviamo agli attimi finali, da vivere col cuore che aumenta i battiti, come quando si è in attesa di un evento aspettato di cui non si intravede il possibile risultato, e… una emozione unica, e in quel finale, peraltro interpretabile, c’è la speranza di una famiglia, di una donna, di tutte le donne, che di lì a poco avrebbero visto un cambiamento epocale della società, e anche della loro condizione personale.

Sono tornato indietro nel tempo, ai ricordi, frutto di anni di pranzi e cene tra parenti che avevano vissuto in quello stesso periodo, ma anche io ho potuto constatare con i miei occhi i comportamenti e le relazioni di genitori e nonni, paragonandoli e notando come esistesse una totale sudditanza da parte di una donna nata nel 1909 nei confronti del marito nato nel 1909: i miei cari nonni. Nulla di violento, per carità, ma la figura di padre padrone ha campeggiato a lungo tra le mura domestiche.

Questo un mio ricordo scritto anni fa, messo in prosa e riferito a fine anni ’70, quando ormai l’impeto giovanile di Luccio e Olga era finito, anche se certi comportamenti rimangono appiccicati per sempre a chi è intriso di un credo radicato.

Lei era ormai vecchia… beh, in realtà avrà avuto una sessantina d’anni, ma ai miei occhi era anziana.

Aveva sofferto, per effetto delle vicissitudini legate alla guerra e per una vita non certo felice, con un marito padre padrone, che sperperava i tanti soldi disponibili in feste e donne, mentre lei doveva misurare ogni tipo di spesa.

Lui non era cattivo, ma aveva nel DNA il distorto ruolo del capo famiglia, quell’immagine che tanto andava di moda agli inizi dello scorso secolo, atteggiamento difficile da modificare. Lei se ne andò molto prima di lui.

Ricordo un giorno, un episodio negativo che la turbò sino a condurla alle lacrime.

Era andata a fare la spesa, e per qualche strano motivo aveva perso il portafoglio, una misera busta che conteneva ciò che lui le aveva dato, come cifra quotidiana destinata all’acquisto del cibo.

Rifece la strada più volte, rientrò nei negozi disperata, si aggirò nel quartiere, accecata dalla preoccupazione, più che dalla rabbia. Ma niente, non c’era stato verso. Sarebbe stata sgridata come una bambina? Lo avrebbe sentito urlare?

Arrivò a casa piangendo e raccontò tutto... svuotò il sacco e si liberò.

“.. ma sì, vada come vada, non l’ho mica fatto apposta!”

Lui la guardò e… sdrammatizzò, si mise a ridere e lei, che si era mantenuta a debita distanza, incredula, diede dimostrazione di riconoscenza per quella reazione composta e adeguata alla pochezza dell’evento… fece un piccolo gesto che aveva un grande significato, anche se lui non poteva capire, come d’altronde accadeva da una vita.

Rimanendo sulla soglia della porta della cucina, alzò il braccio e, fissandolo negli occhi azzurri, avvicinò alla bocca il palmo della mano, contrasse le labbra e soffiò con estrema dolcezza.

Il bacio partì, uscì dalla bocca, rimbalzò sul polso e attraversò la mano, disperdendosi nell’aria.

Lei si convinse di aver centrato l’obiettivo, e questa fu alla fine la cosa più importante.

Non ho goduto abbastanza la mia nonna!

 


I cambiamenti culturali sono lenti, in qualunque rappresentazione della vita, e si accetta sempre, con entusiasmo moderato, una progressione, seppur minima, verso il positivo; certo, perlustrando altre strade, altre culture, altri modi di vivere c’è da rabbrividire al pensiero degli arretramenti che impediscono alle donne, in certi paesi, una conduzione di vita decente, giacché il concetto di “parità” non è certo contemplato!

Che sorpresa “C'è ancora domani”!