La falsa promessa del silenzio assoluto: quando il corpo diventa rumore
L'anelito al silenzio è un desiderio profondamente radicato nell'animo umano. Lo immaginiamo come un rifugio inviolabile, un vuoto sonoro in cui la mente può finalmente distendersi, libera dal bombardamento incessante di suoni che definiscono la nostra esistenza quotidiana. Che si tratti del fruscio del vento tra le foglie, del rombo lontano del traffico cittadino, o del chiacchiericcio costante delle interazioni sociali, siamo immersi in un oceano di vibrazioni acustiche. E in questo contesto, l'idea di un silenzio totale assume i contorni di un'utopia sensoriale.
Eppure, la scienza ci offre un banco di prova singolare per
questa aspirazione: la camera anecoica. Questi ambienti, meticolosamente
progettati per assorbire ogni riflesso sonoro, rappresentano l'apice della
tecnologia volta all'annullamento del rumore esterno. Le loro pareti rivestite
di cunei fonoassorbenti, il pavimento sospeso su molle per isolare dalle
vibrazioni del terreno, tutto converge verso un unico obiettivo: creare
un'assenza di eco e di riverbero così radicale da alterare la nostra stessa
percezione dello spazio.
Sottolineo che le riflessioni qui presentate non nascono da
un'esperienza diretta in una camera anecoica. Tuttavia, si basano sulle
testimonianze di coloro che hanno avuto l'opportunità di immergersi in questo
singolare ambiente. I loro racconti, spesso carichi di stupore e a volte di un
sottile disagio, costituiscono la fonte primaria per comprendere questa
peculiare "non-esistenza" del silenzio assoluto per l'orecchio umano.
Attraverso le loro parole, possiamo intravedere un paesaggio sonoro inaspettato,
dominato non dall'assenza, ma dalla prepotente presenza dei suoni interni al
nostro stesso corpo.
Infatti, coloro che hanno avuto l'opportunità di sperimentare il silenzio di una camera anecoica, descrivono un'esperienza straniante, a tratti persino perturbante. Invece della pace e della tranquillità attese, si trovano immersi in un paesaggio sonoro inaspettato, dominato da una fonte di rumore del tutto nuova: il proprio corpo.
Il battito cardiaco, quel ritmo costante che ci accompagna dalla nascita, si amplifica fino a diventare un martellante tamburo nell'orecchio. Il respiro, solitamente un atto quasi inconscio, si trasforma in un fruscio vigoroso, la prova tangibile della nostra stessa esistenza. I movimenti intestinali, i gorgoglii dello stomaco, persino il delicato crepitio delle articolazioni durante un piccolo spostamento, emergono con una chiarezza sorprendente, strappandoci all'illusione di un corpo silente.
Ma forse il suono più inatteso e rivelatore è il fruscio del sangue che scorre nelle nostre vene e arterie. Questo flusso vitale, incessante eppure generalmente inudibile, si manifesta come un sussurro continuo, una sinfonia biologica che pulsa ininterrottamente. È la prova inconfutabile che, anche nel tentativo più estremo di eliminare il rumore esterno, il nostro stesso organismo è una sorgente sonora inesauribile.
Questa scoperta ribalta la nostra concezione del silenzio. Non è un'assenza di suono, ma piuttosto l'assenza di suoni esterni che sovrastano la miriade di rumori interni che ci accompagnano costantemente. Per chi è nato sordo, la realtà del silenzio è intrinsecamente diversa, un vuoto sensoriale che noi udenti possiamo solo congetturare. Il loro mondo è definito dall'assenza di vibrazioni acustiche, una condizione di quiete assoluta che noi, con i nostri corpi rumorosi, non potremo mai sperimentare pienamente.
La camera anecoica, quindi, non ci offre il silenzio promesso, ma piuttosto una lente d'ingrandimento sulla nostra intrinseca sonorità. Ci costringe ad ascoltare quella sinfonia nascosta che pulsa dentro di noi, un promemoria costante della nostra natura biologica e della nostra incessante attività vitale. Ci rivela che il silenzio assoluto, per chi ha l'udito, è un paradosso, un'illusione infranta dal fruscio del nostro stesso sangue.
Questa consapevolezza ha implicazioni profonde. Ci spinge a riconsiderare il nostro rapporto con il suono e con il silenzio. Forse la quiete che cerchiamo non è l'annullamento di ogni vibrazione, ma piuttosto un equilibrio, una tregua dal bombardamento sonoro esterno che ci permetta di percepire, e magari persino di apprezzare, la sottile melodia del nostro essere interiore. In fondo, quel fruscio del sangue, quel battito del cuore, non sono forse la colonna sonora più intima e costante della nostra esistenza?
Un dato di fatto sorprendente, e per certi versi inquietante per chiunque lavori con il suono, è l'esperienza di un musicista in una camera anecoica. Questo ambiente, progettato per assorbire ogni riflessione sonora, priva la musica di un elemento fondamentale: il riverbero. Di conseguenza, il suono prodotto risulta innaturale, secco e privo della risonanza a cui un orecchio musicale è abituato. La difficoltà di auto-ascolto, dovuta alla mancanza di un ambiente acustico che restituisca il suono, unita alla sensazione di isolamento e alla amplificazione dei rumori corporei, rende l'esecuzione musicale in un contesto simile estremamente problematica.
Per un ensemble,
l'assenza di un 'collante' sonoro rende quasi impossibile la sincronizzazione.
In definitiva, la camera anecoica, pur essendo un ambiente scientificamente
interessante, si rivela inadatto, se non ostile, alla creazione e alla
fruizione musicale.
E allora... sarà un'esperienza da fare una volta nella vita? Cambierebbe qualcosa nella nostra visione del mondo?
Nel 1951, il compositore John Cage cercò il silenzio definitivo rinchiudendosi nella camera anecoica dei Bell Labs, un ambiente progettato per eliminare ogni suono proveniente dall'esterno, creando uno spazio acusticamente inerte. Tuttavia, la sua ricerca del silenzio assoluto si rivelò sorprendente. Ben presto, Cage percepì distintamente un ritmo cupo e pulsante, accompagnato da un fruscio leggero: erano i suoni del suo stesso corpo, il battito cardiaco e il flusso sanguigno. Successivamente, un fischio acuto e quasi intollerabile si aggiunse a queste percezioni, interpretato come il rumore intrinseco del suo sistema nervoso. Da questa immersione nel presunto silenzio, Cage trasse una conclusione fondamentale: per l'essere umano, la totale assenza di suono è un'illusione. Questa esperienza fu la genesi di una delle sue opere più emblematiche, i celebri '4'33'', paradossalmente intitolati "di silenzio".
La permanenza prolungata all'interno di una camera anecoica
si è rivelata una sfida insormontabile per chiunque vi abbia tentato. Il limite
massimo di sopportazione registrato si attesta intorno ai 45 minuti. Questo
ambiente di totale assenza sonora, paradossalmente, genera un disagio tale da
poter essere paragonato all'irritante intensità di un martello pneumatico.
Lungi dall'essere un vuoto, l'esperienza del
"silenzio" ci ricorda che, finché saremo vivi, una sottile, intima
colonna sonora ci accompagnerà... sempre.
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