“A me non interessano le
opinioni di una persona come me. Al contrario, mi interessa avere elementi per
poter scegliere da solo."
Questa frase dovrebbe essere incorniciata in ogni redazione
giornalistica. Riassume la mia frustrazione, ma spero di molti altri, di fronte
a un giornalismo che sempre più spesso confonde la cronaca con il commento, la
notizia con il giudizio. Ogni volta che accendo la TV e sento un giornalista
esprimere le proprie idee politiche o, peggio ancora, propinare quella che
sembra una verità assoluta, mi chiedo: "Ma perché?"
Credo che il mestiere del giornalista, nella sua essenza più
pura - ma probabilmente mi sbaglio, visto come vanno le cose - sia quello di
riportare i fatti, di fornire al pubblico gli strumenti, gli elementi oggettivi,
affinché ognuno possa farsi una propria idea, maturare una propria opinione.
Invece, troppo spesso, mi trovo di fronte a opinionisti mascherati da cronisti,
che non solo non ci lasciano lo spazio per pensare, ma spingono attivamente
verso una direzione specifica.
E qui arriva, a mio giudizio, un paradosso che: normalmente
non mi accorgo per quale squadra tifa un giornalista sportivo. Chi segue il
calcio, o qualsiasi altro sport, sa che il giornalista sportivo avrà
sicuramente una preferenza, un'inclinazione per una squadra. Magari lo si
intuisce da un'enfasi maggiore su un gol, da un commento leggermente più
entusiasta. Ma raramente, quasi mai, questa preferenza si traduce in una
manipolazione palese della cronaca della partita. Salvo i giornalisti-tifosi,
volutamente e dichiaratamente faziosi, ma quelli ser4vono per far spettacolo!
Il giornalista sportivo descrive il gol, la parata, il fallo. Analizza la tattica, la performance dei giocatori. Può commentare, certo, ma il suo commento verte sulla prestazione atletica, sul risultato tecnico, sul fair play. Non si permette di alterare il tabellino, di negare un rigore evidente o di inventare un'azione. La cronaca della partita rimane sacra, oggettiva nel suo essere la descrizione di un evento avvenuto. E anche se c'è un'analisi, questa si basa su dati inequivocabili: il punteggio, le statistiche, le azioni di gioco.
Perché questa disparità così netta tra il giornalismo
politico/di attualità e quello sportivo? Le ragioni sono molteplici e
complesse:
1.
La misurabilità del fatto: nello sport, il fatto è quasi sempre inequivocabile. Il gol
è entrato, il punto è stato segnato, la gara è stata vinta. Esiste un risultato
finale, delle regole chiare e un arbitraggio che, per quanto discutibile, tende
a definire la realtà sul campo. In politica o nell'attualità, i
"fatti" sono spesso dichiarazioni, intenzioni, processi in corso,
dati economici interpretabili. La realtà è più sfumata e meno immediatamente
verificabile.
2.
La posta in gioco personale e ideologica: la posta in gioco in politica è
infinitamente più alta e ha un impatto diretto sulla vita delle persone. Le
scelte politiche toccano l'economia, la sanità, i diritti, la sicurezza. Questo
rende il dibattito emotivamente più carico e spinge i giornalisti (e il
pubblico) a schierarsi, sentendosi quasi in dovere di "guidare"
l'opinione per il bene comune, o per i propri valori. Nello sport, pur
essendoci passione, la "posta in gioco" si limita al divertimento, al
risultato di una competizione. Non c'è un'implicazione ideologica profonda.
3.
Il contratto implicito con il pubblico: il pubblico sportivo si aspetta la cronaca della
partita e l'analisi tecnica. Sa che c'è un tifo di fondo, ma si aspetta che la
notizia sia riportata fedelmente. Il giornalista sportivo che manipolasse la
cronaca per favorire la propria squadra perderebbe immediatamente credibilità e
pubblico. Nel giornalismo politico, forse, si è creato un contratto implicito
diverso, dove una parte del pubblico si aspetta e quasi ricerca un giornalista
che rafforzi le proprie convinzioni.
4.
La costruzione di un "potere" personale: qui entra in gioco un fattore
cruciale: certi conduttori e giornalisti, specialmente in TV, finiscono per accumulare
un notevole potere e una rete di conoscenze che li posiziona in una sfera quasi
intoccabile. Frequentano i palazzi del potere, hanno accesso a informazioni
privilegiate (o che sembrano tali), e diventano figure di riferimento, opinion
maker. Questa posizione può portare a un senso di superiorità rispetto ai
"comuni mortali", convincendoli di essere depositari di verità più
profonde o di visioni più lucide, che sentono il dovere (o il diritto) di
imporre. Il loro successo e la loro visibilità possono rafforzare questa
percezione, alimentando un ciclo in cui il loro potere di influenzare si
auto-alimenta. La ricerca degli scoop, delle interviste esclusive, delle
"rivelazioni" a sensazione, diventa più importante della pura e
semplice cronaca dei fatti.
5. Il ruolo di "guida" e "intellettuale": in alcuni settori del giornalismo di attualità, persiste l'idea che il giornalista debba assumere un ruolo quasi di "guida intellettuale", di formatore dell'opinione pubblica, superando la semplice funzione di cronista. Questa visione, per quanto nobile nelle intenzioni, può degenerare nell'imposizione di una propria visione.
La differenza citata tra i due diversi tipi di giornalisti è
un campanello d'allarme e, allo stesso tempo, un'opportunità. Ci dimostra che
un giornalismo capace di distinguere tra fatto e opinione è possibile, anche in
contesti dove la passione è forte. La richiesta di "elementi per poter
scegliere da solo" è una richiesta di responsabilità ai giornalisti e alle
testate. È un invito a tornare alle basi del mestiere: informare, non
influenzare.
Forse il giornalismo di attualità dovrebbe guardare al
fratello sportivo e riscoprire l'importanza della cronaca nuda e cruda,
lasciando le opinioni negli spazi a loro dedicati, e solo dopo aver fornito un
quadro oggettivo.
Forse ripartire da questa distinzione sia un primo, fondamentale passo per riavvicinare il pubblico all'informazione e smantellare l'aura di "superiorità" che a volte circonda chi dovrebbe semplicemente informarci!
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