Dalla plastica non ritirata al degrado quotidiano
In questi giorni, a Savona, l'allarme meteo ha impedito il
regolare ritiro della plastica, secondo regole stabilite ma non conosciute da
tutti, o cmq dimenticate. I cittadini hanno lasciato i sacchetti della plastica
per strada, e lì sono rimasi a lungo, creando una situazione di disagio e
confusione. Lasciamo perdere per una volta la ricerca del colpevole e
allarghiamo il discorso.
Questo evento, per quanto eccezionale, ha riportato in primo
piano una problematica più subdola e frequente: l'accumulo di rifiuti e il degrado
urbano come segnale di abbandono. Non è raro vedere sacchetti depositati fuori
orario, marciapiedi sporchi o cestini traboccanti, anche in assenza di allarmi.
Come qualcuno ha giustamente fatto notare, il degrado chiama degrado.
Questo circolo vizioso trova una spiegazione illuminante nella Teoria delle Finestre Rotte (Broken Windows Theory), un concetto che ha rivoluzionato il modo di pensare la sicurezza urbana e la lotta alla criminalità. Vediamo come un semplice sacchetto di plastica o una panchina danneggiata possano diventare i primi segnali di una spirale ben più pericolosa.
L'idea che il disordine fisico inneschi il caos sociale non
nasce solo da osservazioni generiche. Fu lo psicologo Philip Zimbardo a
fornire la base empirica già nel 1969 con un esperimento illuminante:
Zimbardo lasciò due auto identiche abbandonate in due
quartieri molto diversi: una nel Bronx a New York (area povera e ad alto
tasso di criminalità) e l'altra a Palo Alto in California (quartiere
ricco e tranquillo).
1.
Bronx: L'auto
fu rapidamente smontata e vandalizzata nel giro di poche ore.
2.
Palo Alto:
L'auto rimase intatta per giorni.
Tuttavia, il vero punto di svolta arrivò quando i ricercatori
ruppero un vetro dell'auto di Palo Alto. A quel punto, in breve tempo, anche
quell'auto fu completamente vandalizzata.
La conclusione fu chiara: non è solo la povertà o la demografia a innescare la criminalità. Il fattore decisivo è il segnale di abbandono veicolato da quella prima "finestra rotta". Se a nessuno importa di un danno, l'impunità è implicita e autorizza a commettere altri atti.
Riprendendo questo principio, alcuni sociologi coniarono, nel
1982, la Teoria delle Finestre Rotte. La loro idea è che il disordine
minore (come i graffiti, la spazzatura, o appunto una finestra rotta non
riparata) è l'inizio di una spirale discendente:
- Un
piccolo segno di incuria trasmette un messaggio chiaro: "A nessuno
importa. Qui le regole possono essere violate".
- Questa
percezione di impunità incoraggia i piccoli trasgressori e crea paura nei
residenti onesti.
- I
cittadini smettono di frequentare gli spazi comuni e diminuiscono la sorveglianza
informale sul vicinato.
- Questo "vuoto di controllo" viene percepito dai criminali più seri come un invito, portando all'escalation verso il crimine maggiore.
L'applicazione più famosa e controversa si ebbe a New York
City negli anni '90, dove l'amministrazione di Rudy Giuliani e il commissario William
Bratton adottarono una politica di tolleranza zero (zero tolerance).
Reprimendo severamente i reati minori, miravano a ristabilire l'ordine fin
dalle basi. I tassi di criminalità scesero drasticamente, ma non senza pesanti
conseguenze.
Il punto più dolente è che la politica di "tolleranza
zero" è stata accusata di aver portato a un'applicazione della legge sproporzionata
nei confronti di minoranze e persone a basso reddito. Molti studiosi, inoltre,
sostengono che la caduta della criminalità a New York fu dovuta anche a fattori
demografici ed economici, ridimensionando il ruolo esclusivo della teoria.
In conclusione, la Teoria delle Finestre Rotte ci insegna che l'ambiente in cui viviamo ha un impatto profondo sul nostro comportamento e sul senso di comunità. La vera sfida, quindi, è duplice: le istituzioni devono agire prontamente per riparare le "finestre rotte" fisiche, ma i cittadini devono fare la loro parte nel mantenere il controllo sociale informale, vigilando sui propri spazi e non tollerando i piccoli segni di abbandono.
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