Il 7 dicembre 1967Otis
Reddingentrò negli studi della
Stax Records a Memphis per quella che sarebbe stata la sua ultima sessione di
registrazione. In quell’occasione incise Sittin’ On The Dock of the Bay,
un brano che segnava una svolta rispetto al suo repertorio più energico e
intriso di soul e gospel. La canzone aveva un tono diverso, sospeso e
malinconico, con un arrangiamento essenziale curato da Steve Cropper dei
Booker T. & the MG’s, che ne fu co-autore e produttore. Redding stesso
parlava di un “nuovo suono”, un passo verso un linguaggio musicale più intimo e
universale, capace di superare i confini del soul tradizionale.
Tre giorni dopo, il 10 dicembre, la sua vita si
interruppe tragicamente in un incidente aereo nei pressi di Madison, Wisconsin,
insieme a gran parte della sua band, i Bar-Kays. Aveva soltanto ventisei anni.
La registrazione rimase incompiuta, con quel celebre fischio finale che oggi appare
come un segno di interruzione e allo stesso tempo di continuità, un gesto
spontaneo che divenne simbolo di un’opera lasciata in sospeso. Pubblicata
postuma nel gennaio 1968, la canzone raggiunse il primo posto della classifica
Billboard Hot 100, vendette milioni di copie e divenne un inno universale di
malinconia e speranza.
Ancora oggi Dock of the Bay è considerata un
capolavoro assoluto, ponte tra la tradizione afroamericana e la sensibilità pop
internazionale, testimonianza di un talento spezzato troppo presto ma capace di
lasciare un segno eterno nella storia della musica.
Come musicofilo e appassionato, ho spesso trovato
affascinante il modo in cui alcuni brani riescano a cambiare la nostra
percezione del ritmo. Quando si prova a spiegare il concetto di tempo dispari a
qualcuno, c'è un punto di partenza quasi obbligato: "Take Five".
La sua melodia, così accessibile nonostante la complessità ritmica, lo rende
l'esempio didattico perfetto.
Oggi, 6 dicembre, ricordiamo la nascita di Dave Brubeck(1920-2012),
il pianista, compositore e leader di band che ha portato questa complessità
ritmica al successo globale.
La carriera di Brubeck fu principalmente definita dal Dave
Brubeck Quartet, un gruppo che raggiunse il culmine della popolarità con
l'inclusione del sassofonista alto Paul Desmond. Insieme, hanno realizzato uno
degli album più influenti e commercialmente di successo della storia del jazz: Time Out (1959).
L'album Time Out rappresentò un punto di svolta per la
musica popolare americana, dimostrando che concetti musicali complessi potevano
raggiungere il grande pubblico. Il disco era notevole per l'esplorazione e
l'uso di metri e segnature di tempo inusuali per il jazz e la musica mainstream
dell'epoca.
Mentre la maggior parte della musica popolare si basava sul
comune 4/4 (un ritmo che percepiamo come "uno-due-tre-quattro"),
Brubeck e il suo quartetto attinsero a ritmi diversi, in particolare quelli
dell'Europa orientale e del Medio Oriente, che Brubeck aveva conosciuto durante
i suoi tour.
"Take Five", sebbene composto da Paul Desmond, divenne l'emblema di
questa sperimentazione con il suo ritmo distintivo in 5/4.
Per chi si avvicina per la prima volta a un tempo dispari
come il 5/4, il segreto è non contare cinque battiti isolati, ma suddividere il
ciclo in due gruppi più gestibili. Il brano Take Five suggerisce
naturalmente questa divisione: 3 + 2.
Se proviamo a battere il ritmo contando ad alta voce:
UN-due-treQUAT-tro-cinque
(dove le sillabe in maiuscolo ricevono l'accento metrico
principale), si ottiene immediatamente la pulsazione unica e dondolante del
pezzo. La melodia e l'accompagnamento del pianoforte di Brubeck sono costruiti
su questa struttura, rendendo il 5/4 non un'astrazione matematica, ma un ritmo
concreto e ballabile.
Questa fusione di complessità ritmica e accessibilità
melodica contribuì a posizionare Brubeck come una figura di ponte tra il jazz
tradizionale e le correnti più intellettuali e sperimentali.
Un aspetto che ricorre nel ricordo di Dave Brubeck è la
singolare coincidenza delle date che segnano l'inizio e la fine della sua vita.
Il 6 dicembre è l'anniversario della sua nascita, ma la sua scomparsa è
avvenuta quasi esattamente 24 ore prima.
Brubeck è morto il 5 dicembre 2012 per insufficienza
cardiaca, alla vigilia del suo 92° compleanno. È un dettaglio che, per un
musicista la cui opera è stata interamente dedicata allo studio e alla
manipolazione del tempo, aggiunge una nota particolare al suo ricordo.
Oggi, il 6 dicembre, si rinnova l'occasione per riconoscere
l'eredità di un musicista che ha esteso i confini del jazz. La sua musica
continua a essere un punto di riferimento, per la sua qualità artistica e per
aver reso la matematica del ritmo uno strumento espressivo alla portata di
tutti.
Ricorre oggi, 5 dicembre, l’anniversario che risuona
con particolare malinconia nella storia della musica italiana: il 31°
compleanno di La musica che mi gira intorno,
l'ultimo album in studio pubblicato in vita da Mia
Martini.
Uscito proprio il 5 dicembre 1994, il disco non fu
percepito all'epoca come un "testamento". Era semplicemente il lavoro
di una grande artista al culmine della sua maturità interpretativa, tornata da
poco in primo piano dopo anni difficili. Oggi, sapendo che Mimì ci avrebbe lasciato
solo pochi mesi dopo, nell'aprile del 1995, l'album acquisisce un peso e un
significato che vanno ben oltre la sua pur impeccabile fattura artistica.
“La musica che mi gira intorno” è un progetto intimo,
lontano dalle grandi orchestrazioni, che privilegia l'essenzialità e la potenza
della sua voce. Il titolo stesso è una dichiarazione d'amore e di dipendenza
totale dall'arte che l'ha definita.
Il disco contiene perle di rara intensità, come "Mimì sarà", forse il brano più toccante, una riflessione sull'identità e
sul destino che, con la consapevolezza del tempo trascorso, si rivela di una
lucidità quasi profetica.
Trentuno anni dopo, questo album risulta un pilastro della
sua discografia, rappresenta l'apice della Martini "post-ritorno",
una donna che aveva ritrovato la sua forza sul palco e in studio.
Quando si ascoltano, oggi, le tracce di "La musica
che mi gira intorno", si percepisce l'eredità di una delle più grandi
interpreti che il nostro Paese abbia mai avuto. La musica che le girava intorno
è diventata la musica che, fortunatamente, continua a girare intorno a tutti
noi.
Il comunicato che pose fine a un'era
del Rock: la band si scioglie per il profondo rispetto verso il batterista John
Bonham, scomparso a settembre
Il 4 dicembre 1980, il mondo del rock fu scosso da un
annuncio tanto inaspettato quanto definitivo: i Led Zeppelin, la band
che aveva ridefinito l'hard rock degli anni Settanta, comunicarono il loro
scioglimento ufficiale. Non si trattava di divergenze creative o liti interne,
ma di una decisione presa con un profondo senso di rispetto e lutto, in seguito
alla tragica scomparsa del loro batterista, John
Bonham, avvenuta solo due mesi prima, il 25 settembre.
Il comunicato stampa, diramato dai membri superstiti – il
chitarrista Jimmy Page, il cantante Robert Plant e il
bassista/tastierista John Paul Jones – fu lapidario e toccante:
“Desideriamo rendere noto che la perdita del nostro caro
amico e il profondo senso di rispetto che nutriamo verso la sua famiglia ci
hanno portato a decidere – in piena armonia tra noi ed il nostro manager – che
non possiamo più continuare come eravamo.”
Quelle poche righe segnarono la fine di dodici anni di
carriera leggendaria, fatta di successi planetari, tour da record e una fusione
unica di heavy, blues e folk che influenzò generazioni di musicisti.
La decisione di porre fine all'esperienza Led Zeppelin era
maturata nel dolore seguito alla morte di Bonham, soprannominato
affettuosamente "Bonzo". Il batterista, noto per la sua potenza
ritmica ineguagliabile e il suo stile innovativo, morì a soli 32 anni soffocato
dal proprio vomito, a causa di un'intossicazione acuta da alcool, avvenuta
durante una sessione di prove nella casa di Jimmy Page a Windsor.
Per i restanti membri, e in particolare per Robert Plant che
era legato a Bonham da un'amicizia fraterna di lunga data, l'idea di sostituire
il batterista fu subito scartata. Bonham non era semplicemente un esecutore, ma
il cuore pulsante e l'energia vitale della band.
Come Page stesso avrebbe affermato in seguito: “Se fosse
toccato a chiunque altro di noi, non credo che saremo andati avanti. Eravamo
fatti così. Nessun altro aveva le capacità di John.”
A differenza di molti altri gruppi che tentano di proseguire
con nuovi membri, la scelta dei Led Zeppelin di sciogliersi dimostrò
un'integrità artistica assoluta. Riconobbero che la "formula" magica
creata da quei quattro musicisti era irripetibile e che qualsiasi tentativo di
andare avanti con un sostituto avrebbe sminuito il loro lascito.
Lo scioglimento arrivò a un anno di distanza dall'ultimo
album in studio, In Through The Out Door(1979). Due anni dopo,
nel 1982, fu pubblicato l'album postumo Coda, una raccolta di
brani inediti e scarti d'archivio, voluto principalmente da Jimmy Page per
onorare gli impegni contrattuali e, soprattutto, per celebrare il genio
musicale di Bonham.
Il 4 dicembre 1980 decretò la fine di una band e l'inizio di
un mito. L'interruzione netta e dolorosa della loro carriera ha cementato per
sempre la leggenda dei Led Zeppelin, preservandola da eventuali declini e
consacrandola come una delle più grandi, e ineguagliabili, della storia della
musica.
Il 3 dicembre 1948, a Birmingham, Inghilterra, nasceva
John Michael Osbourne, destinato a diventare noto in tutto il mondo come Ozzy Osbourne, il "Padrino dell'Heavy
Metal" e il "Principe delle Tenebre". La sua carriera è stata un
turbine di successi, controversie e una reinvenzione costante che lo ha reso
una leggenda vivente, la cui influenza si estende ben oltre i confini della
musica.
La pietra angolare della carriera di Ozzy è stata la
co-fondazione, nel 1968, dei Black Sabbath. Insieme al chitarrista Tony
Iommi, al bassista Geezer Butler e al batterista Bill Ward, Ozzy ha contribuito
a forgiare il suono dell'heavy metal.
Album seminali come Paranoid, Master of Reality
e Sabbath Bloody Sabbath hanno utilizzato i testi oscuri e le sonorità
pesanti per esplorare temi di guerra, droga e occultismo, definendo un genere
che avrebbe dominato la scena musicale per decenni. La sua presenza scenica,
caratterizzata da urla acute e un'energia caotica, era l'anima distintiva della
band.
Dopo essere stato allontanato dai Black Sabbath nel 1979 a
causa dei suoi problemi con l'abuso di sostanze, molti dubitavano che Ozzy
potesse risorgere. Invece, lanciò una carriera solista di enorme successo,
coadiuvato dal talento del chitarrista Randy Rhoads.
Il suo album di debutto solista, Blizzard of Ozz
(1980), contenente hit come "Crazy Train" e "Mr. Crowley",
stabilì un nuovo standard per l'heavy metal melodico e tecnicamente complesso.
La sua carriera solista, che include album come Diary of a Madman e No
More Tears, gli ha permesso di sviluppare una presenza scenica ancora più
grande, consolidando il suo status di icona.
Nel nuovo millennio, Ozzy ha compiuto una sorprendente
transizione da star del metal a celebrità della televisione reality con lo show
"The Osbournes" (2002-2005) su MTV.
La serie offriva uno sguardo esilarante e spesso caotico
sulla vita domestica sua e della sua famiglia, in particolare della moglie e
manager Sharon Osbourne e dei figli Kelly e Jack. Questo programma lo ha
introdotto a una nuova generazione di fan, rivelando un lato più bonario e
confuso della sua personalità, in netto contrasto con la sua immagine di
"Principe delle Tenebre".
Ozzy Osbourne è un'istituzione culturale. È stato introdotto
nella Rock and Roll Hall of Fame come membro dei Black Sabbath nel 2006.
Nonostante le vicissitudini personali e i problemi di salute,
il suo impatto sul rock è inestimabile. Ha creato alcuni dei riff più
riconoscibili della storia e la sua voce inconfondibile rimane un punto di
riferimento per ogni musicista heavy metal. La sua storia è una testimonianza
di sopravvivenza, resilienza e del potere duraturo del rock'n'roll.
Curiosità: Ozzy ha fondato l'Ozzfest, uno dei festival di
musica heavy metal di maggior successo e più longevi, che ha lanciato le
carriere di innumerevoli band.
È venuto a
mancare il 22 luglio 2025, all'età di 76 anni.
La sera del 30 novembre, festa di S. Andrea, Savona
ha vissuto un momento destinato a restare inciso nella memoria collettiva. La Chiesa
di S. Andrea Apostolo, cuore pulsante della città, si è trasformata in un
mare di volti e di attese: ogni banco è risultato occupato, persone hanno
seguito in piedi lungo le navate, altre si sono raccolte persino ai lati
dell’altare. Un folto gruppo che non ha voluto mancare all’appuntamento con il
jazz sacro di Duke Ellington, portato in scena dall’Associazione
Musicale Rossini con la Big BandRapalline Jazz Band diretta dal Maestro
Riccardo Zegna.
Ellington ha composto i suoi Sacred Concerts
tra il 1965 e il 1973, opere che lui stesso ha considerato le più importanti
della sua carriera. Non semplici concerti, ma ponti tra jazz, gospel e
spiritual, capaci di parlare un linguaggio universale. Ieri sera quelle note
hanno risuonato sotto le volte della chiesa come un dialogo tra cielo e terra: Come
Sunday ha portato dolcezza e contemplazione, Freedom ha acceso
energia e liberazione, Praise God and Dance ha trasformato la musica in
movimento, in gioia condivisa.
La Rapalline Jazz Band ha mostrato fin dalle prime note una
compattezza sorprendente: i fiati si sono proposti con energia e precisione,
mentre la sezione ritmica ha sostenuto l’intera architettura sonora con
freschezza e vigore, creando un solido tessuto musicale. Il coro di vocalist
professioniste ha aggiunto una dimensione ulteriore, portando intensità
spirituale e varietà espressiva. Le voci si sono alternate tra momenti di
intimo raccoglimento, quasi sospesi, e improvvise esplosioni di energia gospel
che hanno riempito la chiesa di luce sonora, amplificando la forza emotiva dei
brani. Al centro di tutto, la direzione del Maestro Riccardo Zegna: elegante e
ferma, capace di trasformare ogni brano in un vero dialogo vivo tra orchestra,
coro e pubblico. Non si è trattato di una semplice conduzione tecnica, ma di un
gesto continuo di mediazione e ispirazione, che ha reso la musica un’esperienza
condivisa, vibrante e partecipata.
La coincidenza con la festa patronale ha reso la serata
ancora più significativa, con la chiesa, colma fino all’inverosimile, carica di
attesa e partecipazione. Ogni applauso è stato un atto di gratitudine, ogni
silenzio un momento di meditazione collettiva: un rito comunitario,
un’esperienza che ha unito fede e arte, memoria e presente. Grazie
all’Associazione Musicale Rossini, Savona ha celebrato S. Andrea con un evento
che ha riportato alla luce la potenza del jazz sacro di Ellington. In quella
chiesa gremita, la musica ha compiuto ciò che Ellington desiderava: parlare un
linguaggio che tutti hanno potuto comprendere, quello dell’anima.
Profumo video di serata... pessima la posizione, ma resta il ricordo!