West Virginia

West Virginia
Buckhannon, West Virginia dicembre 1996

mercoledì 21 maggio 2025

1969: l'anno in cui la luna sbarcò a Woodstock (e altre storie inquietanti)

 


L'incontro di ieri all'Uni 3 di Genova, stimolato dall'invito di Riccardo Storti, docente titolare del corso dedicato al rock, ha riacceso in me la fiamma di un anno che continua a interrogarmi e affascinarmi: il 1 969. Per un tredicenne come ero io all'epoca, quel periodo fu un turbine di scoperte, un'esplosione di eventi che avrebbero plasmato il mondo e la mia stessa percezione di esso. Dalle immagini sgranate di un uomo che calpestava la Luna al richiamo assordante di Woodstock, era un anno di sogni audaci e, a volte, di bruschi risvegli. Questo articolo è un viaggio in quel 1969, un tentativo di esplorare le connessioni, a volte palesi, a volte bizzarre, tra eventi apparentemente distanti ma profondamente intrecciati nel tessuto di un'epoca irripetibile.


L'anno 1969. Per un tredicenne come me, che iniziava ad affacciarsi sul mondo con quella curiosità famelica e quell'intensità emotiva tipiche dell'adolescenza, fu un periodo di scoperte folgoranti. Ricordo ancora le immagini sgranate, quasi irreali, in bianco e nero della televisione: un uomo che camminava sulla Luna. Sembrava fantascienza, un'impresa titanica che proiettava l'umanità in una dimensione completamente nuova. Allo stesso tempo, un altro tipo di vibrazione, più terrestre e assordante, iniziava a farsi strada attraverso i media: il richiamo di un festival chiamato Woodstock. Confesso che all'epoca, pur affascinato, ne capivo solo in parte la portata dirompente di libertà e ribellione.

Poi, con il passare degli anni, quella scintilla di interesse per il '69 è divampata in una vera e propria passione. Ho esplorato a fondo quel periodo dirompente, leggendo, ascoltando, cercando di afferrare ogni sfumatura di quell'anno cruciale. Quella ricerca mi ha portato, infine, a dedicare un intero libro all'epopea di Woodstock, cercando di catturare non solo la cronaca degli eventi, ma soprattutto lo spirito, le speranze e le profonde contraddizioni di quella straordinaria adunata. E, in questo lungo percorso di studio, ho iniziato a percepire una strana, quasi bizzarra, sensazione di connessioni sotterranee tra eventi apparentemente scollegati.

Mentre Neil Armstrong pronunciava quelle parole destinate a scolpirsi per sempre nella storia, "un piccolo passo per un uomo, un gigantesco balzo per l'umanità", un'eco sottile di quell'impresa titanica risuonava ben oltre la superficie lunare. Era l'eco di un'ambizione umana senza precedenti, la dimostrazione che i limiti potevano essere infranti, che i sogni più audaci potevano, in qualche modo, concretizzarsi. E sulla Terra, quell'eco trovava un terreno fertile in un'epoca di febbrile fermento sociale e culturale.

Ad agosto, le colline di Bethel, New York, si trasformarono in un alveare umano, pulsante di musica, colori e un'illusione – forse ingenua, ma potentissima – di fratellanza universale. Woodstock. Un nome che ancora oggi evoca un'immagine di pace, amore e armonia. Un'utopia effimera, certo, ma un'utopia che per alcuni giorni sembrò incredibilmente reale. Nel mio libro, ho cercato di esplorare le molteplici sfaccettature di quell'evento: la sua carica rivoluzionaria, il suo impatto culturale e, inevitabilmente, le sue intrinseche fragilità.

Perché, come spesso accade, l'ombra non tardò a farsi sentire. Solo pochi mesi dopo, al circuito di Altamont, quella stessa energia giovanile si trasformò in qualcosa di oscuro e violento. La tragica morte di Meredith Hunter, nel corso di un concerto dei Rolling Stones, divenne un simbolo brutale, la smentita cruda e dolorosa di un sogno di armonia. Ripensandoci oggi, forte della mia prospettiva di studioso di quel periodo, non posso fare a meno di vedere in Altamont una sorta di "anti-Woodstock", la manifestazione di quelle tensioni sotterranee che serpeggiavano in una società in rapida trasformazione.

E poi c'è quell'altro agosto, quello segnato dall'orrore nella villa di Bel Air. La strage perpetrata dalla "famiglia" Manson, con la sua efferata brutalità, sembrava provenire da un'altra dimensione, un'irruzione di caos primordiale nel cuore del sogno americano. All'apparenza, non aveva nulla a che fare con la musica o la corsa allo spazio. Eppure, se ci sforziamo di adottare una prospettiva meno ortodossa, non possiamo ignorare come anche quella violenza insensata possa essere interpretata come un sintomo di un'epoca inquieta, un'eruzione di un disagio profondo che covava sotto la superficie patinata del sogno americano.

Mentre tutto questo accadeva, un'altra rivoluzione, silenziosa eppure di portata epocale, stava muovendo i suoi primi passi: la nascita di Arpanet, l'antenato di Internet. Quasi in contemporanea, i Beatles, il gruppo che aveva incarnato lo spirito e i sogni di un'intera generazione, davano il loro ultimo, leggendario concerto improvvisato sul tetto della Apple Corps a Londra. Questa giustapposizione mi ha sempre colpito: la fine di un'era analogica, fatta di suoni condivisi, di presenze fisiche e di un'identità collettiva creata attorno a idoli rock, e l'alba di un mondo digitale, di connessioni impalpabili e potenzialmente infinite.

Nel corso della mia indagine, e ora ripensandoci con la consapevolezza di chi ha cercato di decifrare quel periodo attraverso la scrittura, mi chiedo ancora: qual è il filo sottile che lega questi eventi così diversi? Forse è la stessa febbrile ansia di cambiamento, la sensazione che il mondo stesse correndo a una velocità mai vista prima, aprendo nuove frontiere ma anche rivelando abissi inattesi. Il 1969 fu un anno di eccessi, di speranze sconfinate e di bruschi risvegli.

E allora, perché non abbandonarci a un'ipotesi più bizzarra? Immaginare che le vibrazioni sonore sprigionate dalla folla oceanica di Woodstock abbiano creato delle interferenze inattese con i primissimi segnali di Arpanet, generando delle piccole anomalie che, in qualche modo, abbiano potuto contribuire a destabilizzare un equilibrio sociale già precario, fino a culminare nella follia di Bel Air. O, ancora, fantasticare che l'energia emotiva sprigionata dall'ultimo concerto dei Beatles abbia viaggiato nell'etere, influenzando, chissà come, le decisioni degli astronauti sulla Luna, o magari, in una chiave più inquietante, risuonando con le oscure pulsioni che animavano le menti deviate della famiglia Manson.

So bene che queste sono solo suggestioni, voli pindarici al di là della razionalità storica. Ma credo che il fascino del 1969 risieda proprio in questa sua capacità di evocare connessioni inattese, di spingerci a cercare un significato più profondo in un arazzo di eventi tanto iconici quanto, a prima vista, distanti tra loro. Un anno che, nella mia memoria di tredicenne e nella mia successiva attività di studioso e scrittore, rimane un enigma affascinante, un nodo cruciale nella storia del nostro tempo, intriso di sogni, speranze e ombre che continuano a interrogarci.






Nessun commento:

Posta un commento