Nel novembre del 1968, nel pieno di una rivoluzione culturale e sociale che scuoteva il mondo, usciva un album destinato a cambiare per sempre la storia della musica italiana: Tutti morimmo a stento di Fabrizio De André. Lontano dalle sonorità tipiche del cantautorato dell'epoca, questo lavoro segnò una svolta radicale, elevando il concetto di album a quello di vera e propria opera d'arte.
Non è semplicemente una raccolta di canzoni, ma un vero e proprio concept album, una Via Crucis laica dedicata a "gli ultimi", i reietti e i dimenticati della società. De André, in collaborazione con il poeta Giuseppe Bentivoglio per i testi e con il maestro Gian Piero Reverberi per gli arrangiamenti, dipinge un affresco crudo e poetico che dà voce a chi è condannato, al tossicodipendente, all'eretico. Il titolo stesso, tratto dalla poesia "Mors", di Agostino di Ippona, suggerisce la sofferenza universale e la dignità nella morte di chi ha vissuto ai margini.
"Tutti morimmo a stento" fu il primo album in cui De André si avvalse di un'intera orchestra. Gli arrangiamenti di Gian Piero Reverberi sono sontuosi e complessi, unendo la delicatezza della musica da camera con la potenza sinfonica, senza mai soffocare la voce e la profondità dei testi. Questo mix audace creò un suono unico e riconoscibile, che spingeva i confini della canzone d'autore verso nuovi orizzonti artistici, quasi a metà strada tra la musica folk, la classica e la poesia recitata.
Ogni traccia è un tassello fondamentale in questo racconto di miseria e speranza. Canzoni come "La ballata degli impiccati", che narra il testamento di un condannato a morte, offrono una prospettiva insolita sulla giustizia e la moralità. Ma è in "Cantico dei drogati" che l'album raggiunge uno dei suoi apici più toccanti. Con una lucidità disarmante, De André descrive la disperazione e il dolore della dipendenza, in un brano che, per l'epoca, era di una forza e onestà quasi scioccanti.
Nonostante le iniziali perplessità di pubblico e critica, che
lo ritenevano troppo complesso, l'album ha resistito alla prova del tempo. Oggi
è riconosciuto come uno dei vertici della discografia di Fabrizio De André e un
pilastro della musica italiana.
"Tutti morimmo a stento" non è solo un disco da ascoltare, ma un'opera da studiare, un testamento artistico che ha dimostrato come la musica popolare potesse farsi veicolo di contenuti profondi e di un impegno civile e umano senza compromessi. A oltre cinquant'anni dalla sua uscita, continua a risuonare potente e attuale, ricordandoci che la vera poesia non ha tempo.


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